lunedì 29 ottobre 2012
Condannato il capoufficio che spia la posta elettronica dei dipendenti
Condannato il capoufficio che spia la posta elettronica dei dipendenti. Non può essere violato il domicilio informatico dei subordinati costituito dalla casella email qualsiasi ne sia il contenuto
Il capoufficio spione che legge abusivamente la posta elettronica dei propri subordinati può essere condannato penalmente. Secondo la Corte di Cassazione penale anche gli account sono tutelati dalla protezione del cosiddetto «domicilio informatico» indipendentemente dalla natura dei dati contenuti nella casella di posta elettronica.
La sentenza 42021 del 26 ottobre 2012, resa dalla quinta sezione penale della Suprema Corte - che Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta all’attenzione per censurare una prassi che continua a perpetuarsi in Italia, quella del controllo illegittimo dei dipendenti da parte dei datori – ha, infatti, ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal responsabile di un ufficio condannato dalla Corte d’appello di Roma a quasi un anno di reclusione per essersi introdotto abusivamente nel server di posta elettronica della società violando l’accesso a caselle postali e-mail di alcuni dipendenti dell’ufficio.
La quinta sezione penale ha quindi confermato la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 615 ter del codice penale, nei confronti del superiore riconosciuto titolare di conoscenze da tecnico informatico, rilevando che «l’articolo 615 ter del Cp, introdotto a seguito della legge 23 dicembre 1993, n. 547, il legislatore ha assicurato la protezione del “domicilio informatico” quale spazio ideale (ma anche fisico in cui sono contenuti i dati informatici) di pertinenza della persona, a esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto. Tuttavia l’articolo 615 ter Cp non si limita a tutelare solamente i contenuti personalissimi dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma offre una tutela più ampia che si concreta nello “jus excludendi alios”, quale che sia il contenuto dei dati racchiusi in esso, purché attinente alla sfera di pensiero o all’attività, lavorativa o non, dell’utente; con la conseguenza che la tutela della legge si estende anche agli aspetti economico-patrimoniali dei dati, sia che titolare dello “jus excludendi” sia persona fisica, persona giuridica, privata o pubblica, o altro ente».
Per dirla in altre parole l’introduzione abusiva nella posta elettronica altrui e l’uso illecito del relativo account è un reato riconosciuto dall’ordinamento penalmente punibile.
Nel caso in questione nel dichiarare inammissibile il ricorso, gli ermellini hanno confermato la condanna a quasi un anno di carcere ed un’ammenda di mille euro.
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