mercoledì 29 settembre 2010

Risponde di lesioni volontarie il padre che strattonando il figlio gli provoca un “colpo di frusta”

Una decisione della quinta sezione della Corte di Cassazione penale che farà discutere, secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, la numero 35075 depositata il 29 settembre 2010.
Risponde infatti di lesioni volontarie, secondo il principio espresso nella sentenza, il padre che strattona violentemente il figlio dopo aver tentato inutilmente di abbracciarlo e gli provoca il cosiddetto “colpo di frusta” anche se non aveva intenzione di fargli del male.
Gli ermellini hanno così rigettato il ricorso di un uomo condannato dal Tribunale di Milano per lesioni volontarie ai danni della figlia.
Più precisamente secondo quanto sarebbe emerso dal processo, il padre della piccola, dopo essersi recato a casa dell’ex moglie per incontrare i figli, aveva tentato di abbracciarla ed essendo stato respinto l’aveva strattonata violentemente procurandole un colpo di frusta e uno shock emotivo.
Secondo quanto sostenuto dalla difesa, l’imputato non poteva essere accusato del reato di lesioni volontarie, dal momento che lui non aveva mai voluto far del male alla figlia.
I giudici di piazza Cavour hanno però respinto il ricorso e confermato la condanna dell’uomo motivando che “è irrilevante l’assenza di specifica intenzione di produrre lesioni, qualora sia indubitabile la sua coscienza e volontà di strattonarla, tenendola per le spalle, e quindi di porre in essere nei suoi confronti un atto di violenza idoneo a provocare quel "colpo di frusta", che è notoriamente la frequente conseguenza di una sollecitazione delle vertebre cervicali dovuta alla forzata oscillazione del capo.”

martedì 28 settembre 2010

Video shock dei fumi di Taranto


Ancora un altro video shock dei fumi di Taranto ripreso dal presidente Fondo Antidiossina Taranto, prof. Fabio Matacchiera nella notte dell’11 settembre.


Il 30 aprile 2010 avevamo segnalato un video sui fumi notturni sulla zona industriale di Taranto che ci era stato girato dal presidente Fondo Antidiossina Taranto, prof. Fabio Matacchiera.
A distanza di circa cinque mesi l’inquietante scenario pare non sia cambiato tant’è che un nuovo video shock ripreso da Fabio Matacchiera la notte dell’11 settembre scorso, fotografa un’identica situazione ed induce Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori a segnalarne ancora una volta il link delle nuove riprese http://www.youtube.com/watch?v=xb4-ocyWFyg per portare all’attenzione dei media e di tutta la cittadinanza la Nostra preoccupazione che è anche quella di chi si batte da anni per la tutela del proprio Territorio e della salute dei cittadini.
Ancora una volta pur ribadendo di non essere a conoscenza se alla presenza di queste dense nubi di fumo corrisponda anche un superamento dei livelli di guardia dell’inquinamento atmosferico non possiamo che esprimere lo stupore misto a sconcerto per il nuovo fumoso “spettacolo” a dir poco sconcertante che avvolge di una densa nebbia il cielo notturno della vicina Taranto.
Alla luce di quest’ennesimo filmato e della delicatissima situazione ambientale di Taranto che coinvolge direttamente anche tutta la penisola salentina, non possiamo quindi non rinnovare l’appello agli organi competenti di verificare che siano monitorati costantemente i livelli di sostanze nocive presenti nell’aria di Taranto e quindi nelle ore notturne.

T.A.R. Puglia. La p.a. è obbligata a trasferire il dipendente in caso di gravi motivi personali anche in mancanza di posti vacanti


Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” interviene in materia di pubblico impiego e diritto al trasferimento per segnalare la recentissima sentenza n. 1990 del 24 ventiquattro settembre 2010.
In particolare, secondo il principio enucleato nella decisione, le gravi esigenze personali del dipendente prevalgono su quelle di organico della p.a. imponendo alla stessa di accogliere la richiesta di trasferimento del lavoratore giustificata da una grave situazione personale, come la necessità di assistere il coniuge malato, anche se nell’ufficio di destinazione non risultano essere disponibili posti vacanti con il conseguente rischio del “sovrannumero”.
I giudici amministrativi pugliesi hanno infatti accolto il ricorso di un ispettore capo in servizio presso la Questura di Brindisi contro il provvedimento con cui il Ministero dell’Interno gli negava il trasferimento presso gli uffici di Lecce per assistere la moglie gravemente ammalata e provvedere ai due figli di 9 e 15 anni.
La corte ha giudicato illegittimo il rifiuto dell’amministrazione, “atteso che è consentito il trasferimento del dipendente, in presenza di gravissime situazioni personali, “anche in soprannumero”, senza imporre alcuna espressa considerazione comparativa sulle esigenze organizzative degli uffici e impedendo all’Amministrazione, nel motivare il rigetto dell’istanza, di arrestarsi alla mera constatazione della mancanza di vacanze in organico.”

Cassazione penale: risponde di lesioni colpose e di omessa custodia dell’animale anche il semplice possessore del cane che azzanna un passante


Maggiore attenzione da parte di chi porta al guinzaglio il cane di un amico o della propria famiglia, almeno secondo la sentenza n. 34813 di oggi della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione che viene segnalata da Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”
Con la decisione suddetta la Suprema Corte ha infatti confermato la condanna a 100 euro di multa di un uomo palermitano dopo che il suo cane aveva morso una ragazza alla quale dovrà anche corrispondere i danni subiti.
L’imputato, aveva proposto comunque ricorso in cassazione adducendo che le corti di merito palermitane avevano stabilito la sua penale responsabilità senza considerare che il cane era di proprietà della madre e della nonna.
Gli ermellini hanno rigettato il ricorso facendo proprie le motivazioni dell’appello e di primo grado essendo stato provato che “l’animale era sicuramente in suo possesso” e che l’imputato “abitava con la madre e si rapportava quotidianamente con l’animale che gli ubbidiva e che portava a passeggio”.
I giudici di piazza Cavour hanno motivato la decisione statuendo che “in tema di custodia di animali, l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'art. 672 cod. pen., relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di. proprietà in senso civilistico.”

lunedì 27 settembre 2010

Raccolta funghi e pericoli per la salute


Non solo in montagna o collina, con le prime piogge e l’aumento dell’umidità, in tutta Italia scatta la mania della raccolta dei funghi.
Migliaia di raccoglitori, spesso improvvisati percorrono in questo periodo dell’anno campagne, prati e boschi alla ricerca di prataioli, spugnole, finferli, trombette, galletti e dei succulenti porcini.
Sarà il crescente interesse per la natura che fa muovere per le rare zone di verde rimaste intorno alle Nostre città intere orde di cittadini o la passione per l’arte culinaria che vede i funghi quali ingredienti a volte pregiati ed elemento peculiare di gustose ricette, in gran parte dei casi ci si muove in modo dilettantesco e quasi dimenticando che l’intossicazione è dietro l’angolo e può portare ad eventi tragici come non di rado continua ad accadere.
Alcune associazioni di esperti hanno provato a stilare alcune semplici regole comportamentali basilari che tutti i cittadini che si approcciano alla raccolta o al consumo dovrebbero osservare.
Al di là dell’importanza delle regole che ciascuno, raccoglitore, cuoco o casalinga dovrebbe conoscere, in parte derivate dalla tradizione e dall’esperienza, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” suggerisce ed invita a farsi accompagnare e consigliare da esperti del settore per evitare che l’improvvisazione si trasformi in fatalità per sé stessi e per gli amici che s’invitano a cena.

sabato 25 settembre 2010

La proposta: internet e reti wireless gratuite negli ospedali e nelle case di cura per alleviare la sofferenza


È un dato di fatto che nel Nostro Paese lo sviluppo tecnologico vada di pari passo con quello economico e si muova su cifre simili pari a prefissi telefonici o anche meno.
Da anni, peraltro, si dibatte sul difficile superamento anche in Italia del digital divide ossia del divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale anche perché il Belpaese resta al di sotto della media europea per quanto riguarda la copertura della cosiddetta banda larga intesa quale collegamento veloce ad Internet garantito dalla tecnologia ADSL.
Se lo Stato centrale e le Regioni iniziassero ad adottare efficacemente un piano per la diffusione della banda larga a partire da tutti gli edifici pubblici per poi passare alla copertura integrale del Territorio chiaramente il problema sarebbe superato, ma allo stato attuale pare che i segnali di quella che doveva essere una rivoluzione infrastrutturale necessaria per il Paese siano ancora da encefalogramma piatto o quasi.
Per venire incontro almeno alle esigenze delle categorie più deboli e in questo caso ci vengono in mente gli ammalati ed i degenti di lungo o medio periodo, a Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” sorge l’obbligo di formulare una proposta di non difficile attuazione: se gli ospedali e le case di cura fossero dotate di banda larga gratuita potrebbero essere alleviate almeno parzialmente le sofferenze di chi è costretto a letto o a non potervi uscire fisicamente.
Peraltro, la diffusione gratuita dell’adsl all’interno di dette strutture consentirebbe anche a quei pazienti dotati di un semplice notebook o dei piccolissimi netbook di poter vedere a qualsiasi ora del giorno o della notte i propri parenti ed amici anche a migliaia di chilometri di distanza utilizzando programmi tipo skype o simili.

venerdì 24 settembre 2010

Boom di professionisti abusivi


Boom di professionisti abusivi, un fenomeno inquietante l’esercito di falsi medici, dentisti, avvocati e commercialisti
Falsi dentisti e falsi medici, ma anche avvocati, commercialisti e chi più ne ha ne metta.
Si pensi che secondo una stima, nel momento in cui si scrive stiano operando solo a Roma, mille odontoiatri abusivi.
Si sa che l’arte di arrangiarsi fa parte della cultura del Belpaese, ma mai come in questi tempi l’italica disciplina ha raggiunto livelli così elevati.
Ed allora, fioccano, con costanza pressoché quotidiana le indagini delle forze dell’ordine su soggetti che magari, in non rari casi operavano da anni ed i pazienti o i clienti erano in gran parte dei casi soddisfatti e fidelizzati, finchè non si va a scoprire che l’abilitazione e persino la laurea erano false.
Storie ordinarie di truffe ed esercizi abusivi delle professione ai quali secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” bisogna porre un freno attraverso una modernizzazione degli ordini e l’aggiornamento costante delle banche dati on-line dei professionisti e delle loro specializzazioni, titoli e lauree.
L’iniziativa di alcuni ordini di creare un numero verde per la verifica dell’iscrizione può essere anche una soluzione che riteniamo debba essere normalizzata da un provvedimento di legge al fine di tutelare gli utenti ed i pazienti che sono i primi ed i soli a pagare per gli inevitabili errori di soggetti non specializzati, nonché il Fisco perché in gran parte dei casi si va a scoprire che sono anche evasori totali.

giovedì 23 settembre 2010

È punibile per il reato di estorsione il datore di lavoro che riduce lo stipendio sotto minaccia del licenziamento del lavoratore


Interessante decisione della VI Sezione penale della Cassazione che dovrebbe far iniziare a tremare quei datori di lavoro soliti alla vessazione sino a minacciare il licenziamento nel caso il lavoratore non accetti uno stipendio inferiore a quello indicato in busta paga.
I giudici di piazza Cavour con la sentenza del 31/08/2010 n. 32525 hanno infatti ritenuto punibile per il reato di estorsione il datore di lavoro che abbia prospettato il licenziamento nel caso in cui i lavoratori non accettino una retribuzione inferiore a quanto indicato nella busta paga ed analogamente per l'imposizione di apporre la propria firma su lettere di dimissioni in bianco onde evitare le disposizioni legislative dettate in tema di preavviso al licenziamento.
Gli ermellini ribadendo un orientamento consolidato della stessa corte hanno precisato che in nessun caso può essere legittimata e ricondotta "alla normale dinamica di rapporti di lavoro" un'attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dall'ordinamento giuridico, in attuazione delle garanzie che la Costituzione della Repubblica pone a tutela della libertà, della dignità e dei diritti di chi lavora.
La Suprema Corte ha inoltre sottolineato che la minaccia, intesa quale elemento costitutivo del reato di estorsione, non deve necessariamente essere ricondotta alla prospettazione, a fini di coartazione, di un male irreparabile alle persone o alle cose tale da impedire alla persona offesa di operare una libera scelta; è invece sufficiente che, in considerazione delle circostanze concrete in cui la condotta viene posta in essere, questa sia comunque idonea a far sorgere il timore di subire un concreto pregiudizio.
La sentenza della Cassazione secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” dimostra l’esistenza nell’ordinamento italiano dei rimedi e delle tutele alle vessazioni che molti lavoratori continuano a subire ed invita a non demordere chi si ritiene vittima d’ingiustizie ed illegittimità sul luogo di lavoro.

mercoledì 22 settembre 2010

Benefici agli immigrati e Lega Nord, lo straniero ha diritto ai sussidi se in difficoltà


Immigrazione, lo straniero in difficoltà in gravi difficoltà economica con permesso di soggiorno temporaneo ha diritto al sussidio del comune anche se le risorse sono scarse.

La sentenza 6353 resa in data di ieri dal TAR della Lombardia in merito ai diritti degli immigrati ed alle pari opportunità tra soggetti disagiati riveste particolare importanza secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” anche perché giunge dal Tribunale Amministrativo di un territorio che può essere considerato la roccaforte della Lega Nord ed in un momento in cui gli amministratori locali del movimento padano premono per l’eliminazione di ogni beneficio o sussidio per lo straniero.
Secondo i Giudici Amministrativi hanno diritto al beneficio del sussidio anche gli immigrati regolari titolari del permesso di soggiorno valido almeno un anno e non è necessario la carta di soggiorno di lungo periodo, inoltre il Comune non può motivare il diniego per la scarsità delle risorse di cassa.
Nel caso in questione la Corte ha accolto il ricorso di una cittadina straniera con un permesso di soggiorno in scadenza nel 2011 che aveva dimostrato di versare in gravissime condizioni economiche per di più invalida con il marito disoccupato e che si era vista rifiutare la richiesta di sussidio da parte del Comune di Milano che peraltro aveva motivato l’atto in virtù delle scarsità economiche dell’Ente. Secondo gli uffici comunali preposti infatti l’Ente aveva ampio margine di discrezionalità in quanto il tipo di beneficio richiesto si differenzierebbe dai livelli essenziali di prestazioni sociali erogabili dall’Inps e dovrebbe tenere conto delle risorse disponibili. Il Collegio nell’accogliere il ricorso ha ribaltato l’impostazione ribadendo l’illegittimità della negazione del beneficio stabilendo la negazione del sussidio non può basarsi sulla scarsità delle risorse dell’ente, anche perchè “tale esigenza può essere soddisfatta prevedendo limiti di reddito più bassi per poter ottenere i sussidi o criteri limitativi di altro genere, ma non limitando la platea di coloro che in astratto potrebbero fruire delle provvidenze in contrasto con previsioni normative e regolamentari.”

martedì 21 settembre 2010

Cassazione penale: aumentano le tutele nei confronti delle vittime di stalking


Con la sentenza n. 34015 del 21 settembre 2010, la Cassazione penale interviene in merito al reato di stalking ed interpretando estensivamente la norma di cui all’art. 612 bis del codice penale non fa altro che aumentare le tutele nei confronti delle vittime.
Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” commentando l’importante decisione della Suprema Corte che ha annullato la sentenza con cui il Tribunale del riesame di Napoli revocava l’obbligo di presentarsi alla polizia disposto dal Gip nei confronti di un uomo accusato di molestie nei confronti della ex.
Nel caso di specie la vittima non solo aveva subito le consuete molestie tipiche di tale reato come moltissime telefonate, ma era anche stata aggredita verbalmente di fronte a vari testimoni ed inoltre, l’ex fidanzato - indagato si era spinto sino a diffamarla presso il suo datore di lavoro con il fine di farla licenziare.
Gli ermellini hanno quindi accolto il ricorso della procura e ripristinato la misura cautelare, affermando che “il reato ex art. 612 bis cp è previsto quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, sia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, infine, tale da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Comitato “Strisce Blu” si susseguono gli esposti.


Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” a sostegno dell’iniziativa del Comitato “Strisce Blu” volta a far luce sui parcheggi a pagamento in provincia di Lecce.

Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” plaude alla coraggiosa iniziativa del cittadino Roberto Spennato, referente per la provincia di Lecce del Comitato “Strisce Blu” che vuole far luce su presunte illegittimità da parte di alcune amministrazioni comunali.
In data odierna, infatti, il presidente del comitato territoriale da tempo impegnato in una battaglia per la trasparenza dell’agire amministrativo, ha presentato ben otto esposti presso la Procura di Lecce al fine di verificare la sussistenza di eventuali reati o illegittimità nel comportamento di alcune amministrazioni in particolare, da una parte in merito alla gestione delle quote percentuali dei proventi delle sanzioni amministrative che secondo gli esposti finirebbero in parte nelle casse delle società concessionarie dei servizi e dall’altra relativamente al posizionamento delle strisce in aree non rispondenti ai requisiti del Codice della Strada.
La denuncia del comitato, assistito dall’avv. Francesco D’Agata, segue altri esposti presentati dal sottoscritto in merito alla gestione delle spese di notifica dei verbali relativi a sanzioni amministrative e certamente contribuirà a fare chiarezza in un settore quale quello dei parcheggi a pagamento, nel quale la trasparenza dovrebbe essere la linea guida anche perché spesso, non a torto, i cittadini si sentono ingiustificatamente vessati da pubbliche amministrazioni locali che hanno trovato nelle “strisce blu” e nelle relative sanzioni un nuovo modo per tassare i cittadini e per rimpinguare i propri bilanci.

domenica 19 settembre 2010

Emergenza punteruolo rosso a rischio di estinzione le palme in tutta l’area del bacino del Mediterraneo


Pochissimi avranno sentito parlare del Rhynchophorus ferrugineus, mentre molti ne hanno sentito il nome comune, il famigerato “Punteruolo Rosso” ma ne hanno sempre sottovalutato l’impatto sul verde pubblico o privato che sia, assieme a tanti amministratori locali, perché forse sino ad oggi non si era parlato troppo degli effetti devastanti che questo parassita delle palme sta iniziando a produrre su vaste aree del Mediterraneo.
A lanciare l’allarme a seguito delle forti preoccupazioni espresse da molti agronomi ed addetti del settore che lo hanno interpellato è Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Il particolare tipo di artropode dell’ordine dei coleotteri la cui diffusione è iniziata nel 1985 a partire dall’Asia, in particolare dagli Emirati Arabi grazie al commercio di palme infette, passando dall’Egitto è transitato in Europa probabilmente attraverso la Spagna e poi a macchia d’olio è passato dalla Costa Azzurra, diffondendosi sino alle Nostre regioni meridionali, ha causato la morte e l’abbattimento di migliaia di palme ornamentali sino a far parlare di estinzione in alcune regioni d’Italia.
Peraltro, forse non tutti sanno che nei paesi in via di sviluppo non disdegna palme da cocco e da olio con ciò compromettendo intere economie la cui sussistenza è affidata in gran parte proprio a queste piante.
Quella che è stata definita, non a torto, come una vera e propria “strage silenziosa” è determinata dal fatto che ad oggi non esiste un metodo definitivo e semplice per eliminare i parassiti e recuperare le piante infettate non solo per le difficoltà della diagnosi, dato che le larve del parassita si nutrono dall’interno e “consumano” in poche settimane la pianta sino a farla morire, ma anche perché le palme sono piantate anche nei centri abitati dove campagne di disinfestazione basate sui pesticidi metterebbero a rischio la salute pubblica.
L’unica soluzione che appare possibile per evitare la completa estinzione delle palme nel Nostro Paese e nel resto del Bacino del Mediterraneo, passa attraverso un monitoraggio certosino e capillare del territorio che solo i singoli comuni sarebbero in grado di realizzare se tutti fossero dotati di strutture in grado di farlo e che in molti di questi Enti Locali esistono già, conosciuti con il nome “Uffici del Verde”.
Non è raro, al contrario, che gran parte dei comuni si affidino a ditte terze che – come avviene in tutte le emergenze italiche - hanno subdorato il business sotteso al fenomeno del “Punteruolo Rosso” anche perché sostituire una pianta morta o malata in modo irreversibile così come trattare quelle malate comporta costi elevatissimi e quindi profitti notevoli, che probabilmente costituiscono un disincentivo a campagne d’intervento di massa.
Secondo D’Agata, al contrario, campagne d’intervento locale affidate agli “Uffici del Verde” comunali potrebbero efficacemente consentire l’individuazione delle aree particolarmente colpite delimitando quelle in cui sono necessari interventi drastici sulle piante attaccate, incentivandone da una parte la loro distruzione obbligando i proprietari o conduttori e dall’altra il recupero di quelle la cui diagnosi precoce lo consenta.

giovedì 16 settembre 2010

Infortuni sul lavoro: anche tutta la famiglia va risarcita in caso di infortunio sul lavoro.


Buone notizie per le famiglie dei lavoratori vittime di infortuni.
Nel caso di gravi incidenti sul lavoro, il risarcimento spetta non solo al lavoratore ma anche all'intera famiglia.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione decretando che danni di questo genere determinano uno "sconvolgimento delle abitudini di vita" che incide anche in ambito familiare.
Una decisione importante, secondo il componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, Giovanni D’AGATA, la recente sentenza della Terza sezione civile (sentenza n.19517/2010) che restituisce dignità alle famiglie confermando una condanna ad un risarcimento danni di complessivi 120.000 euro (per danni non patrimoniali) in favore della moglie e di due figlie di un dipendente Telecom infortunato che aveva riportato una invalidità dell'80%.
La decisione è l'invalidità oltretutto aveva compromesso anche la sfera sessuale. E' stato così confermata la condanna al risarimento dei danni non patrimoniali che i giudici di merito avevano accodato alla moglie (60mila euro) e alle due figlie (30mila euro ciascuna). Tra le altre cose la Cassazione (che non ha riconosciuto ulteriori danni morali) ha sottolineato che "il danno alla sfera sessuale conseguita all'infortunio e' stata fonte di sconvogimento delle abitudini di vita in relazione all'esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare".
L'invalidita' inoltre ha determinato una "corrispondente diminuzione del contributo relazione e di sostegno che a sua volta il familiare puo' offrire agli altri".
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti in conclusione i Supremi Giudici hanno riconosciuto che il totale risarcimento dei danni "conseguenti alla lesione dei diritti umani fondamentali, tra cui la salute e il diritto al lavoro va accordato anche alla famiglia”.

mercoledì 15 settembre 2010

Malasanità: il cittadino a cui il grave ritardo nella consegna delle analisi cliniche ha causato uno stato d’ansia può essere risarcito dall’Asl


La situazione d’incertezza che ha causato uno stato d’ansia nel paziente che abbia effettuato delle analisi cliniche cagionato dalla mancata diagnosi sul campione prelevato può essere fonte di responsabilità da parte dell’ASL e consentire il risarcimento del danno da stabilirsi in via d’equità.
E’ questo sostanzialmente il principio che è stato stabilito nell’importante sentenza della Corte d’Appello di Firenze la numero 1221 del 06/08/2010 nella causa civile iscritta al n. 371/2004 del ruolo generale degli affari contenziosi civili.
Nel caso di specie, infatti, il giudice del gravame ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva visto rigettata la domanda di risarcimento danni da parte di una paziente che si era sottoposta ad accertamenti clinici da parte dell’Asl, in particolare l’esame istologico di una cisti ovarica.
La corte di secondo grado ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidando in via d’equità la somma d’importo di 10mila euro avendo l’attrice provato lo stato d’ansia conseguente alla mancata comunicazione del risultato a seguito delle analisi a cui si era sottoposta, stante la lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute.
Secondo i togati, infatti, “Per quanto concerne invece la mancata diagnosi per mancato funzionamento dell’apparecchiatura, si deve ricordare che l’obbligazione gravante sull’Azienda, di fornire il risultato dell’analisi, è di natura contrattuale. L’onere di provare che il macchinario si era guastato per fatto che esulava da responsabilità dell’Azienda (ad esempio, per caso fortuito) e che a causa di detto guasto si era determinata un’alterazione del reperto prelevato alla paziente, spettava all’attuale appellata. In difetto di prova, l’Azienda non può andare esente dalle conseguenze del mancato adempimento dell’obbligazione … Nel caso concreto, l’ansia di cui si è avuta testimonianza ha impedito che l’interessata potesse estrinsecare con normalità gli aspetti propri della persona e della vita di relazione, oltrepassando dunque il confine di una mera manifestazione caratteriale per assumere l’entità di una lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute e che rende risarcibile (seguendo l’insegnamento di quella decisione di legittimità, Cass. Civ. sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, citata proprio dall’appellata) il danno, liquidato secondo equità”.
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza non può che servire da sprono nei confronti delle organizzazioni che gestiscono la sanità, sia pubbliche che private, affinché agiscano nel rispetto costante dei propri obblighi contrattuali e del permanente mantenimento quale “faro guida” del proprio agire del diritto alla salute di tutti i cittadini.
Nel contempo lo “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione per segnalare casi simili e fornire eventualmente assistenza gratuita per i cittadini che si sentono vittime della cosiddetta “malasanità”.

Responsabilità dell’ASL nel caso di caduta all’interno dell’ospedale perché bene immobile aperto al pubblico.


I danni conseguenti alla caduta all’interno di un ospedale pubblico devono essere risarciti dall’Azienda Unità sanitaria locale di competenza, in quanto sulla stessa gravano gli obblighi del custode. Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” segnala con soddisfazione il principio espresso dalla sentenza del Tribunale di Lecce, giudice dott. Giannaccari n. 1691/10 che ha condannato L’Azienda Unità sanitaria locale nella qualità di custode dell’Ospedale “Vito Fazzi” estendendo la responsabilità da cose in custodia anche nel caso in cui l’ospedale abbia una notevole estensione.
Secondo il togato, infatti, l’ampiezza del nosocomio non costituisce prova del caso fortuito, trattandosi non di bene demaniale avente uso generale e diretto (fattispecie nella quale è applicabile la previsione dell’art. 2043 cod.civ.), ma di bene aperto al pubblico e soggetto, per sua natura, a costante controllo e vigilanza.
In particolare, nella circostanza, la danneggiata era scivolata sul pavimento reso viscido da una sostanza oleosa, procurandosi lesioni.
Il Tribunale civile di Lecce in funzione di Giudice unico escludeva la responsabilità della ditta appaltatrice delle pulizie, chiamata in causa dalla AUSL, rilevando che la stessa esaurisce il suo obbligo contrattuale con l’azienda una volta effettuata la pulizia dei locali e non ha pertanto obbligo di custodia e vigilanza.
Non essendo stata provato dalla convenuta che il sinistro avvenne per circostanze imprevedibili o eccezionali o per il fatto del terzo o per responsabilità della stessa attrice, al Tribunale non restava che condannare la ASL al risarcimento dei danni.

martedì 14 settembre 2010

Patente a punti: nessuna multa per chi non indica il conducente in pendenza di ricorso alla sanzione principale


Per buona pace di migliaia di automobilisti ingiustificatamente multati, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” mette in evidenza la nota del Ministero dell’Interno in risposta a un quesito della Prefettura di Bologna che di fatto pone fine all’annosa questione dell’obbligo di comunicazione dei dati del conducente in pendenza di ricorso giurisdizionale o amministrativo.
Secondo la nota del Ministero, infatti, in caso di violazione che comporta la decurtazione di punti, se l'interessato ricorre avverso il verbale principale, l'organo di polizia stradale, fino alla definizione della vertenza, non può pretendere che siano comunicati i dati del conducente
In tal caso, infatti, il termine di 60 giorni per la indicazione del nominativo del conducente cui applicare la decurtazione dei punti della patente, posto a carico del proprietario del veicolo con il quale è stata commessa l’infrazione, decorre, quindi, solo dopo la definizione del giudizio di opposizione e sempre che il ricorso sia stato respinto.
Il parere del ministero, esprime, peraltro il principio secondo cui la presentazione del ricorso rientra tra i giustificati e documentati motivi per i quali può essere ammessa la mancata comunicazione.
Tale interpretazione estensiva, prende evidentemente spunto dalla nota sentenza n. 27/05 della Corte Costituzionale in cui veniva affermato che «in nessun caso il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi», pur facendo presente la decisione contraria della Cassazione n. 17348/07, ritenendola evidentemente in subordine rispetto a quella della Consulta.
La nota ministeriale si conclude sottolineando che in caso di esito sfavorevole del ricorso alla sanzione principale l’organo di polizia dovrebbe notificare al proprietario un nuovo modulo con l’invito alla comunicazione dei dati.
Dalla notifica di quest’ultimo invito dovrebbero poi ri-decorrere i 60 giorni a disposizione per indicare il conducente.
Secondo il parere del ministero, quindi, il ricorso sospenderebbe anche il verbale per omessa comunicazione dei dati dell’effettivo conducente. Quindi il proprietario del veicolo con il quale è stata commessa l'infrazione non è tenuto a rispettare il termine dei 60 giorni per comunicare chi era alla guida al momento dell'infrazione: dovrà ottemperare solo dopo che la sua opposizione sarà stata eventualmente respinta e solo se non lo farà in questa fase sarà punibile anche con la sanzione supplementare pecuniaria normalmente prevista per chi non consente di individuare il conducente cui decurtare i punti relativi all'infrazione commessa.
La prassi sinora diffusa tra gli organi di polizia era quella di applicare direttamente l'articolo 126-bis, comma 2 del codice della strada, secondo cui il proprietario che «omette senza giustificato e documentato motivo» di fornire i dati del conducente dev’essere sanzionato con la multa supplementare. Non è raro infatti, che chi propone ricorso dimentichi di comunicare i dati o dia per scontato di non doverlo fare in quanto il ricorso dovrebbe sospendere il pagamento della multa, salvo nel caso di ricorso giurisdizionale nel quale il gdp non disponga la sospensione.
In tal caso l'organo di polizia sarebbe onerato a notificare il secondo verbale, quello per omessa indicazione.

Illegittima la decurtazione cumulativa dei punti della patente

Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” ritiene opportuno segnalare la sentenza n° 17400 del Tar della Campania depositata ieri che, accogliendo il ricorso di un automobilista napoletano contro la revisione della patente per esaurimento dei punti ha sancito che “La comunicazione cumulativa di più decurtazioni dei punti della patente relative a diverse violazioni nel tempo è illegittima, anche perché lede il diritto dell’automobilista di poter usufruire dei corsi per il recupero del punteggio tolto”.
In particolare l’automobilista aveva impugnato il provvedimento con cui gli veniva comunicata la decurtazione dei punti conseguenti a diverse infrazioni seriali. I giudici del gravame gli hanno dato ragione e hanno annullato il provvedimento, illegittimo “in quanto determina un sostanziale aggiramento delle norme che il Codice della strada pone a presidio non solo del diritto del privato ad usufruire dei corsi per il recupero dei punti (in modo da ripristinare l'originario punteggio della patente ed evitare il provvedimento di revisione, che è atto gravemente lesivo delle attività del cittadino), ma anche della stessa ragion d'essere dell'istituto della patente a punti, attraverso il quale si è inteso creare un meccanismo volto, mediante l'attivazione di un sistema di afflizione accessoria che può giungere fino alla sospensione della patente di guida (art. 126-bis, comma 6, d. lgs. n. 285 del 1992), a favorire l'educazione degli automobilisti al rispetto delle norme del Codice della strada.”

Anche le casalinghe hanno diritto al risarcimento del cosiddetto “danno patrimoniale” se ricorrono all’assistenza di una colf.


Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” ritiene opportuno segnalare la sentenza relativa alla causa iscritta nel registro degli affari contenziosi con il n. 1462/2006 della Corte d’Appello di Roma in materia di diritti delle casalinghe e comunque di tutti quei soggetti che si occupano di lavori domestici.
Con il principio di seguito sinteticamente espresso sulla base della decisione della corte di merito, infatti, anche le casalinghe hanno diritto al risarcimento del cosiddetto “danno patrimoniale” se in conseguenza di un incidente abbiano subito un’invalidità permanente tale da costringerle ad assumere o a ricorrere all’assistenza di una colf.
I giudici del gravame, reinvestiti della questione a seguito del rimando della Suprema Corte che aveva cassato con rinvio la vicenda non riconoscendo alcun ristoro alla casalinga per mancanza di prove sul danno, ribaltavano la precedente decisione statuendo che “nel caso in esame, invero, il danno sussiste e consiste nella perdita della propria capacità di svolgere anche lavori domestici e, con valutazione prognostica, nella quasi sicura necessità che, in futuro, la parte danneggiata abbia la necessità di dover ricorrere a terzi per lo svolgimento di tali lavori o per integrare le carenze di cui fosse non in grado di provvedere autonomamente; basti considerare che ogni essere umano (e nella nostra società attuale, nonostante i progressi nei costumi e nelle abitudini domestiche, soprattutto le donne) ha necessità di compiere lavori di cura e assistenza domestica e familiare per quasi tutta la propria esistenza ed in caso di invalidità permanenti subisce una perdita, economicamente valutabile, che la costringe a fare a meno delle sue capacità di lavoro in ambito domestico e a dover ricorrere a terzi per l'espletamento di quel lavoro necessario che rimane comunque necessario e non diversamente sostituibile”.
La sentenza in esame prende certamente spunto da una precedente decisione della Corte di Cassazione Suprema, in particolare la n. 2639 del 2005, che aveva sostenuto che "la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge un'attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell'espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare, per cui costituisce danno patrimoniale, come tale risarcibile autonomamente rispetto al danno biologico, quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa".

lunedì 13 settembre 2010

Stop alla violenza sulle donne, l’Italia ha bisogno della banca dati del DNA.


Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del consumatore” di Italia dei Valori Giovanni D’AGATA, ritiene opportuno di fronte all’aumento esponenziale su tutto il territorio nazionale di atti di violenza ed abusi sulle donne, rilanciare il progetto del Generale Luciano Garofano - il noto ex comandante del Ris dei Carabinieri di Parma – che da diverso tempo ha elaborato una proposta per arginare la criminalità per il tramite dell’istituzione di una Banca Dati del DNA.
Esiste già in Parlamento un disegno di legge trasversale presentato nel corso della precedente legislatura che ha subito uno stop il suo iter legislativo per i problemi connessi alla tutela della privacy e della libertà che un archivio di dati personali potrebbe comportare. Infatti, dopo averne approvato la legge nel 2009, ad oggi, non ha ancora ricevuto il via libera per la sua applicazione con i decreti attuativi. Pertanto, mentre in Inghilterra e Usa la banca dati del DNA è un efficientissimo strumento contro il crimine, in Italia è tutto fermo. Ma in presenza di una spirale così odiosa di delinquenza nei confronti delle donne - che è divenuto un vero e proprio problema di ordine pubblico, in alcune città - occorrerebbe una poderosa accelerata all’iter legislativo per la creazione di quest’ importante contenitore di informazioni genetiche che conservi l'impronta genetica quantomeno di tutti coloro che si sono resi colpevoli di reati gravi ed in particolare di “violenza sessuale” e che scoraggerebbe chiunque a mettere in atto forme di violenza di tale stregua, permettendo alla magistratura e alle forze dell'ordine di svolgere indagini più rapide, efficaci e meno dispendiose. Per non parlare dell’efficacia di una simile banca dati nelle indagini sui reati connessi al terrorismo, alle associazioni mafiose, agli omicidi, ed alla pedofilia.
Giovanni D’Agata, ritenendo che l’idea del generale Luciano Garofano possa contemperare l’esigenze di tutela della Privacy e della libertà, con quelle della pubblica sicurezza e della tutela della persona, in particolar modo delle donne e dei bambini, tutti diritti costituzionalmente garantiti, perorerà presso tutte le sedi competenti al fine di una rapido compimento dell’iter legislativo.

domenica 12 settembre 2010

Poste Italiane: no al blocco della posta il sabato.


Poste Italiane: Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” promette battaglia sulla sospensione del servizio di consegna della corrispondenza il sabato. Grave danno alla cittadinanza!


Se, come si legge da qualche tempo sui media, l’accordo sottoscritto da Poste Italiane e sindacati sul passaggio di 3.300 postini al cosiddetto “mercato privati”, ossia Bancoposta e assicurazioni provocherà la sospensione del servizio di consegna del week-end, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello Sportello Dei Diritti provvederà ad intraprendere tutte le iniziative utili affinché tale nefasta pensata sia immediatamente “messa nel cassetto”.
Giovanni D’Agata, si chiede infatti se il governo sia a conoscenza di questa trovata di Poste Italiane che penalizzerà ogni fascia della cittadinanza: da chi quotidianamente aspetta il proprio giornale-quotidiano in abbonamento o agli studi professionali, ma anche i semplici cittadini danneggiati in quello che può essere definito, non a torto, servizio pubblico.
Non è tollerabile, così come hanno tenuto a sottolineare numerosi articoli di giornale, che per la prima volta nella storia della nascita dei servizi postali si decida solo in virtù di un accordo di natura lavoristica di congelare la continuità delle consegne che neppure i due grandi conflitti mondiali ed eventi ben più traumatici avevano interrotto senza che l’attuale Governo abbia mosso un solo passo.
Pur rispettando, infatti, i diritti dei lavoratori di Poste Italiane che hanno evidentemente le loro giuste e legittime ragioni, riteniamo che comunque l’azienda debba farsi carico di garantire, almeno in tutti i giorni feriali la prosecuzione del servizio, stante la sua natura di evidenza pubblicistica.

sabato 11 settembre 2010

Danni da vacanza rovinata ed inadempimento del tour operator


Buone notizie per i consumatori.
Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del consumatore” di Italia dei Valori Giovanni D’AGATA, ritiene opportuno riportare l’attenzione dei viaggiatori che la Corte di Cassazione con la sentenza 19283, sezione Terza, del 10-09-2010 ha stabilito un punto fermo sui diritti dei passeggeri.
In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore ed il venditore sono tenuti al risarcimento del danno.
L'organizzatore o venditore di un pacchetto turistico, secondo quanto stabilito nell'art. 14 del d.lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE ed applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (esterni all'organizzatore turistico), salvo il diritto della stessa a rivalersi nei confronti di questi ultimi.
Secondo Giovanni D’AGATA al consumatore basterà dimostrare il mancato o inesatto adempimento delle prestazioni concordate – oltre naturalmente la sussistenza del danno subito – mentre da oggi sarà incluso nella responsabilità civile dell’organizzatore e del venditore tutto quanto accaduto per fatti di prestatori di servizio di cui costoro si siano avvalsi, e comunque incomberà ad essi la prova del carattere imprevedibile o inevitabile dell’evento, ovvero del caso fortuito o della forza maggiore che deve essere fornita da chi deduce il fatto che esimerebbe da responsabilità.
Pertanto se sei stato vittima dei danni da vacanza rovinata, lo Sportello Dei Diritti offre ai cittadini danneggiati la tutela legale avviando le opportune iniziative, anche giudiziarie al fine di ottenere velocemente il risarcimento del danno senza dover sostenere alcuna spesa.

venerdì 10 settembre 2010

Ubriaco sul posto di lavoro? Legittimo il licenziamento.


Anche la Corte di Cassazione coglie l’allarme sociale del grave fenomeno dell’alcolismo sul posto di lavoro ed adotta la linea rigorosa contro chi è colto in stato di ebrezza sul luogo di lavoro.
Con la sentenza n. 19361 di oggi i giudici di Piazza Cavour della sezione lavoro, infatti, hanno stabilito che è legittimo il licenziamento del lavoratore colto in stato di ebrezza sul posto di lavoro..
Nella circostanza il lavoratore licenziato per motivi disciplinari, è stato trovato spesso ubriaco durante il lavoro; il cittadino si era rivolto senza successo al Tribunale di Siracusa per l'annullamento del provvedimento disciplinare.
La Suprema Corte che ha respinto il ricorso ha sottolineato che "rientra nella giusta causa di licenziamento sorprendere il lavoratore svolgere le proprie mansioni in stato di ebrezza".
Infatti la sostanza più usata e abusata su tutti i posti di lavoro resta l'alcol; l'avere problemi con l'alcol e la frequenza con cui ci si ubriaca possono determinare un aumento delle assenze dal lavoro per malattia, come anche ritardi o abbandoni del posto di lavoro.
Occorre precisare che i problemi dovuti ad uso di alcolici possono essere causati non solo dal fatto di bere nel posto di lavoro, ma anche dal fatto di aver bevuto prima di iniziare a lavorare.
L'aumento del rischio di infortunio non riguarda solo l'alcolista che si presenta già ubriaco sul posto di lavoro e come tale facilmente individuabile; ma riguarda pure chi ha la consuetudine di bere anche a basse dosi durante la pausa mensa.
La ragione è da ricercare nel fatto che anche bevendo due bicchieri di vino - 0,5m/l, il rischio di incorrere in un infortunio raddoppia.
Naturalmente, il rischio di essere vittima di infortunio aumenta in proporzione alla quantità assunta, cosicché la probabilità di restare vittima di infortunio con 1m/l (3 o 4 bicchieri di vino) aumenta di sei volte e raggiunge le 30 volte con 2m/l.
Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale“Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, ritiene che la decisione costituisca un precedente importante anche in termini di dissuasione verso il fenomeno dell'uso di sostanze psicoattive nei luoghi di lavoro che risulta essere un problema spesso sottovalutato e sottostimato.
Una percentuale compresa tra il 4 e il 20% di tutti gli incidenti che capitano sui luoghi di lavoro, 940.000 ogni anno secondo le denunce presentate all'INAIL, risulta alcol correlata.
Ciò significa che dei 940.000 infortuni segnalati, 37.000-188.000 trovano la loro causa nell'uso e abuso di alcol.
Il 51% del totale degli infortuni avviene con modalità, mentre l'11% è rappresentato da incidenti stradali..

Lavoro: il TAR di Puglia fa chiarezza in materia di concorsi pubblici e categorie protette


La sezione leccese del T.A.R. di Puglia con la sentenza 1935 del 7 settembre 2010 di seguito commentata, getta un importante luce in materia di concorsi pubblici e categorie protette.
Secondo i giudici amministrativi, infatti, le quote di posti nei concorsi pubblici per i soggetti che sono inseriti nelle categorie cosiddette “protette”, come gli invalidi civili o di guerra, devono essere applicate anche se non sono previste dal bando.
Secondo la sentenza tale assunto deriva da specifiche riserve stabilite dalla legge e che in quanto tali operano in automatico.
I Giudici del Tribunale amministrativo leccese hanno infatti accolto il ricorso di una donna, orfana di un caduto sul lavoro, contro la graduatoria di un concorso per insegnanti di francese nelle scuole superiori il cui bando non prevedeva esplicitamente tale riserva.
La corte ha motivato l’accoglimento disponendo che “la riserva di posti a determinate categorie c.d. “deboli”, prevista ai sensi della legge n. 482/68, allo scopo di favorirne e tutelarne il concreto collocamento al lavoro, in considerazione di menomazioni fisiche contratte in particolari circostanze (invalidi di guerra, civili, per servizio o per lavoro, privi della vista e sordomuti, ovvero gli orfani o le vedove di deceduti per fatti o infermità di analogo genere), nell'evidente presupposto che costoro abbiano particolari difficoltà nel reperire una occupazione, anche in adesione a tradizionali e consolidati principi di solidarietà umana e sociale opera anche se il bando di concorso non l’ha prevista e si applica necessariamente anche alle selezioni per soli titoli, comunque preordinate all’assunzione”.
Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, la sentenza nel chiarire l’operatività ex lege della riserva di determinate quote di posti destinati obbligatoriamente alle categorie protette” pone fine alla discriminazione in atto nei confronti dei soggetti beneficiari molto spesso “dimenticati” dalla Pubblica Amministrazione, imponendone di tenerne in debito conto in sede di redazione dei bandi di concorso.

martedì 7 settembre 2010

Facebook e stalking. Per la cassazione è punibile la persecuzione con messaggi sul noto social network


Facebook, probabilmente il più noto social network del momento, sotto la lente della magistratura penale.
Infatti, la Corte di Cassazione ha ritenuto punibile per stalking la persecuzione attuata anche con video e massaggi inviati sui social network, con la sentenza n. 32404 del 30 agosto 2010.
La sesta sezione penale della Suprema Corte con la statuizione in esame ha confermato la custodia cautelare pronunciata dal Tribunale di Sorveglianza di Potenza nei confronti di un uomo indagato per aver inviato una serie di filmati a luce rosse e fotografie alla ex e quindi per il reato di "atti persecutori" di cui all’art. 612-bis c.p., introdotto con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 meglio noto con il termine anglosassone “stalking”. Secondo la sentenza l’uomo dopo aver avuto una relazione sentimentale con la donna aveva iniziato ad inviarle foto e video che li ritraevano durante i rapporti sessuali. Uno di questi era stato inviato anche al nuovo compagno di lei.
A seguito dell’indagine era finito in carcere ed in seguito il Tribunale della Libertà lo aveva sottoposto agli arresti domiciliari. La Cassazione a cui aveva proposto ricorso contro tale decisione lo dichiarava inammissibile precisando che la persecuzione attraverso l'invio di video e messaggi tramite facebook è idonea a configurare il reato di stalking.
Un’importante decisione ritiene Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” che indirettamente estende i profili del diritto alla privacy dei cittadini quale deterrente all’uso scorretto di taluni social network che impiegati impropriamente possono divenire delle armi improprie a servizio dei persecutori.

Carceri: Cassazione, trattamenti più umani nei confronti dei detenuti.


Secondo Giovanni D’Agata chiede che sia creata la figura istituzionale del garante per i diritti dei detenuti in ogni regione ove hanno sede istituti detentivi

Con la sentenza n. 30511/2010 la I sezione della Cassazione penale interviene su un tema doloroso e quantomai attuale: il problema dei trattamenti carcerari.
In particolare, con la decisione in epigrafe la Suprema Corte facendo proprio un principio di diritto oltrechè umanitario stabilisce che non sono ammessi trattamenti contrari al senso di umanità nei confronti dei detenuti persuadendo le corti di merito ed in particolare il Tribunale di sorveglianza a non infliggere pene che superano l'umana tollerabilità, soprattutto a coloro che si trovano "in condizioni di salute non perfette".
La statuizione fa presente come una sofferenza aggiuntiva sia inevitabile ogni qualvolta la pena debba essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni di salute. Ma tale sofferenza può assumere rilievo se si dimostra presumibilmente "di entità tale da superare i limiti della umana tollerabilità".
Sulla scia del principio enunciato la Corte ha accolto il ricorso di un detenuto che doveva scontare una pena di 5 anni di reclusione. L'uomo si era visto negare il differimento della pena che aveva chiesto in vista di un delicato intervento chirurgico per l'asportazione di un cancro al cervello. Il Tribunale di sorveglianza aveva negato ai domiciliari sostenendo che "il regime di detenzione non era incompatibile con la patologia" e che "il reato in espiazione impediva l'uscita dal carcere del detenuto". La questione è approdata in Cassazione la quale ha dato ragione al detenuto che aveva rivendicato il "diritto alla salute costituzionalmente garantito" chiedendo un trattamento detentivo "più umano".
Alla luce della sentenza in commento e della tragica questione dell’affollamento delle carceri, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è giunto il momento di creare in ogni regione ove hanno sede gli istituti di detenzione la figura istituzionale del “Garante per i diritti dei detenuti” affinché siano costantemente tutelati i diritti umani delle persone soggette a pene detentive troppo spesso calpestati in conseguenza di istituti stracolmi ed inadeguati. Ciò anche al fine di tutelare le migliaia di agenti di polizia penitenziaria costretti a tour de force inimmaginabili in altri Paesi europei.
In ogni caso lo “Sportello dei Diritti” continuerà a ricevere le denunce e si adopererà per la difesa dei diritti umani dei detenuti in ogni sede.

lunedì 6 settembre 2010

Emergenza acrobazie da parkour di adolescenti con le scale e sui tetti. Presi di mira anche i tetti delle scuole.


Si chiama “Parkour” lo sport urbano estremo nato in Francia qualche anno or sono e ormai largamente diffuso in Italia, che consiste nel saltare da un edifico all’altro, superare ostacoli, rimbalzare sui tetti secondo un percorso prestabilito, nel tempo più rapido e nel modo più semplice possibile.
Il problema che la larga diffusione sulla rete e la presenza di migliaia di filmati amatoriali su internet che mostrano le acrobazie di esperti parkouristi ha fatto si che lo spirito emulativo prendesse piede soprattutto tra i giovani ed il fenomeno diventasse un vero e proprio cult per giovanissimi ed in particolare minori alla ricerca dell’ebbrezza del proibito e del pericoloso.
Infatti, se da una parte il saltare da una proprietà privata all’altra è un reato presente nel nostro codice penale e previsto dall’art. 614 come “violazione di domicilio”, è l’affrontare voli di decine di metri che lo rende particolarmente rischioso per la salute ed uno sport al limite.
Sono, infatti, numerosi ed in crescita da un pò di tempo a questa parte gli episodi di minorenni feriti anche gravemente per aver provato incoscientemente questi salti e acrobazie urbane.
Di recente a Lecce tre ragazzini, di cui due minori, sono stati sorpresi ed identificati dalla polizia di stato perché saltavano fra un tetto e l’altro del centro storico, ignorando la pericolosità del vuoto ed infischiandosene di passare su numerose proprietà private, mentre un altro di tredici anni lo scorso giugno è finito in prognosi riservata nei pressi di Bologna dopo aver fatto un volo di circa dieci metri dopo aver sfondato il lucernario di vetro di una scuola.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore di “Italia dei Valori” non resta che fare un appello ai genitori o ai soggetti che esercitano la potestà, così come alle Forze di Polizia, ad esercitare un maggiore controllo tanto più che di recente si è parlato di veri e propri raduni di parkour organizzati nel Nostro Paese.

sabato 4 settembre 2010

L'Inail restituisca il maltolto ai lavoratori. Nuovo atto di sindacato ispettivo di Felice Belisario capogruppo al Senato di IdV.

Giovanni D’Agata, di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti: restituiamo ai lavoratori assicurati con l’INAIL il maltolto.
Nuovo, importantissimo atto di sindacato ispettivo del capogruppo IDV al senato Felice Belisario

Apparentemente l’I.N.A.I.L. (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali) sembrerebbe che sia stato gestito bene fino ad oggi.
Ed infatti, il Bilancio consuntivo relativo al 2007 attestava quasi il triplicare delle entrate rispetto alle uscite ed anche l’andamento dei Bilanci consuntivi successivi ha confermato questa linea di tendenza.
I vertici dell’Istituto hanno esaltato gli andamenti contabili con comunicati pieni di enfasi non rendendosi forse conto che l’I.N.A.I.L. non è un’azienda commerciale ma un ente previdenziale che dovrebbe tendere al bilancio in pareggio e comunque a non tesaurizzare denaro a danno dei lavoratori assicurati.
Eppure, un’analisi approfondita della gestione dell’Ente sconfessa quanto propagandato dai vertici delle trascorse gestioni dell’importante Istituto previdenziale che purtroppo hanno condizionato negativamente l’assetto presente e dell’immediato futuro dell’ I.N.A.I.L.
Le interrogazioni parlamentari al Senato ed alla Camera e le vicende giudiziarie che hanno più volte coinvolto i vertici dell’Ente, infatti, confutano nel modo più assoluto che l’I.N.A.I.L. sia stata gestita in modo corretto.
Le interrogazioni parlamentari effettuate dal 2007 all’agosto 2010 riguardano la pessima gestione del patrimonio immobiliare e del sistema informatico dell’Ente per cui si sono verificati indagini su ben due Direttori generali (Mario Palma nel 1993 ed Alberigo Ricciotti nel 2001) e di altri Dirigenti generali dell’I.N.A.I.L., tra cui Alberto Cicinelli, diventato nel 2008 Direttore generale e su cui l’onorevole Antonio Di Pietro nel dicembre 2009 ha presentato un’interrogazione parlamentare (n. 4 – 05326 del 9.12.2009) in occasione della sua probabile nomina a consigliere di amministrazione dell’I.N.A.I.L., dopo il suo pensionamento, da parte del ministro Sacconi (con l’occasione l’on. A. Di Pietro ha rievocato tutti gli scandali di interesse immobiliare ed informatico che hanno coinvolto fin dal 1993 i vertici dell’Ente).
Su parecchie vicende di interesse immobiliare ed informatico sono state attivate oltre che indagini da parte della magistratura penale anche indagini della Corte dei Conti.
E così ricordiamo le interrogazioni parlamentari del senatore Tecce n. 4 – 01421 del 22.7.2007, dell’on. Ciro Alfano n. 4 – 06767 del 22.11.2007, dell’on. A.Musi n. 5 -01848 per gli scandali di gestione immobiliare da parte dei Dirigenti dell’I.N.A.I.L.
Le due interrogazioni parlamentari dell’on. Francesco Nucara (n. 4 – 05767 del 27.11.2007, senza alcuna risposta, e n. 4 -00407 con risposta del tutto inadeguata) riguardavano sia lo sperpero di denaro per il Sistema Informatico dell’I.N.A.I.L. sia il suo carente funzionamento ed il suo difetto strutturale.
In particolare gli atti parlamentari presentati dal capogruppo al senato dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, riguardano la gestione della materia istituzionale dell’Istituto: l’indennizzo dei lavoratori assicurati infortunati e tecnopatici e la prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro.
Nell’interrogazione n. 4 – 04933 del 25.9.2007 il senatore Felice Belisario sottolineava l’assoluta inefficienza ed inconsistenza del meccanismo indennitario del “danno biologico” (o danno alla salute), subito dagli assicurati in seguito ad infortuni sul lavoro ed a malattie professionali, con particolare riferimento alla inadeguatezza, restrittività e limitatezza delle Tabelle Valutative medico legali, di cui al D.M. 12.7.2000 ex D.vo n. 38/2000 che, introducendo all’I.N.A.I.L. il “danno biologico”, avrebbe dovuto migliorare il meccanismo di ristoro indennitario e non peggiorarlo come difatti è avvenuto.
Oltretutto (ma è uno dei tantiisimi difetti e non l’unico) secondo le predette Tabelle Valutative i danni che raggiungono il 16 % (soglia del diritto ad una rendita, in quanto per valori compresi tra il 6 ed il 15 % esiste solo la liquidazione in capitale una tantum) sono molto pochi e i Medici dell’I.N.A.I.L. nella realtà hanno quasi cessato di effettuare le “revisioni” delle rendite (per peggioramento o per miglioramento dei postumi) il cui numero, dall’epoca della emanazione delle predette Tabelle Valutative, si è abbattuto con caduta esponenziale.
Un interessante articolo di Giuseppe Cerfeda ed Ivano Marchello, comparso sulla rivista medico legale Tagete ( n. 2 del giugno 2007) organo dell’Associazione Medico Legale Melchiorre Gioia (che si dedica proprio allo studio del danno biologico), metteva in evidenza, quanto sostenuto anche dai Patronati e dalle Scuole Medico Legali: l’assoluta incongruenza ed inadeguatezza del sistema indennitario I.N.A.I.L. e delle relative Tabelle Valutative di cui al D.M. 12.7.2000.
Le ombre del sistema I.N.A.I.L. vengono riportate all’attenzione dell’attuale Governo con il recentissimo atto di sindacato ispettivo n. 4 – 03578 del 3 agosto 2010 rivolto ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e della salute con il quale il presidente Belisario è intervenuto in una altra vicenda che danneggia i lavoratori assicurati con l’I.N.A.I.L.: il sovvenzionamento da parte dell’Istituto negli ultimi dieci anni, ed in particolare della sua Direzione generale, di studi e ricerche sulla prevenzione (affidati ad istituti estranei all’I.N.A.I.L. e senza la partecipazione attiva dei Sanitari e dei Professionisti delle Consulenze Tecniche Accertamento Rischi Professionali dell’Ente) senza adeguate garanzie sui progetti di ricerca, senza esibizione di adeguati curricula professionali in tema prevenzione da parte dei fruitori delle sovvenzioni, senza previsione di riscontro delle ricerche e degli studi effettuati da parte dell’I.N.A.I.L. in qualità di sovvenzionatore.
In più il senatore Belisario ha sottolineato, che contrariamente a quanto sollecitato dalla Commissione Lavoro presieduta dal senatore Smuraglia nel 2000 circa la sottostima delle malattie professionali ed i tumori professionali, l’I.N.A.I.L. non ha compiuto negli ultimi dieci anni, nonostante ne avesse le strutture ad hoc e le possibilità economiche, studi epidemiologici al riguardo sia per pervenire ad un equo indennizzo dei lavoratori sia per ampliare le conoscenze in ambito di prevenzione delle malattie professionali, dei tumori professionali e delle morti bianche.
Prendendo quindi in considerazione sia la dissennata politica della gestione immobiliare dell’I.N.A.I.L. e del sistema informatico dell’Ente che è carente sul piano strutturale e funzionerebbe male (per cui sono scattate come si scriveva prima indagini della magistratura penale e della Corte dei conti), sia quindi l’utilizzo delle risorse economiche anche per distribuire “a pioggia” denaro per studi e ricerche non meglio identificati condotti da istituzioni estranee all’I.N.A.I.L. e senza partecipazione (e quindi anche controllo) dei suoi professionisti sanitari e tecnici, appare veramente provocatoria la proclamazione da parte dei vertici dell’Istituto, come per il passato, di avere quasi triplicato il bilancio economico in attivo, a fronte di un inefficiente, inefficace meccanismo di ristoro dei danni alla salute subiti dai lavoratori tecnopatici ed infortunati.
Le interrogazioni parlamentari presentate da parlamentari di diverso orientamento e dal senatore Felice Belisario dell’Italia dei Valori sono accomunate dallo scopo di fare in modo che il patrimonio economico dell’I.N.A.I.L. sia utilizzato per la funzione di procurare vantaggi ai lavoratori assicurati e non a “ foraggiare” altri.
Insomma, secondo Giovanni D’Agata di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è ora che i Ministri interrogati rispondano e che si restituisca ai lavoratori assicurati con I.N.A.I.L. il maltolto!

Estradizione e tutela dei diritti umani in Italia: i rapporti delle organizzazioni umanitarie non governative sulla tortura bloccano l’estradizione.


Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del consumatore” di Italia dei Valori Giovanni D’AGATA, ritiene opportuno riportare l’attenzione sulla sentenza n° 32685 di ieri della Cassazione sulll’utilizzo dei rapporti delle ong umanitarie per decidere se accogliere o meno la domanda di estradizione del cittadino straniero.
Via libera della cassazione all’utilizzo dei rapporti delle ong umanitarie per decidere sull’estradizione.
E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte, respingendo il ricorso del pm di Roma contro la sentenza con cui la Corte d’appello della capitale aveva negato l’estradizione di un cittadino turco..
I rapporti delle organizzazioni umanitarie non governative come Amnesty International possono infatti essere utilizzati dal giudice italiano per decidere se accogliere o meno la domanda di estradizione del cittadino straniero.
La Corte d’assise di Istanbul aveva emesso nei suoi confronti un mandato d’arresto per reati legati al terrorismo. L’uomo era un membro attivo del PKK, partito autonomista curdo accusato di aver compiuto numerosi attentati e considerato dalle autorità turche alla stregua di un’organizzazione terroristica. I giudici capitolini avevano respinto la richiesta, ravvisando il concreto pericolo che l’imputato potesse subire tortura e atti persecutori una volta rientrato nel suo paese. La decisione si basava anche su una serie di rapporti e documenti prodotti da Amnesty International negli ultimi anni, che denunciavano, in modo affidabile, l’uso “di tortura e altri maltrattamenti e di eccessivo impiego della forza da parte delle forze dell'ordine”. Non solo. Risultava che l’uomo in passato era stato vittima di tortura da parte dei funzionari turchi. I giudici della sesta sezione penale hanno confermato la sentenza d’appello e, sui rapporti delle ong, hanno richiamato una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2008 che ne ribadiva l’utilizzabilità. Si tratta insomma di una ragione “per ritenere che l'imputato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque atti a configurare violazione di uno dei diritti fondamentali della persona”.

venerdì 3 settembre 2010

Secondo la Cassazione il tasso alcolemico sotto 1,5 non fa scattare la confisca obbligatoria neppure in caso di incidente


Guida in stato di ebbrezza: secondo la Cassazione il tasso alcolemico sotto 1,5 non fa scattare la confisca obbligatoria neppure in caso di incidente

Il componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del consumatore” di Italia dei Valori Giovanni D’AGATA, ritiene opportuno segnalare la sentenza n. 32021 del 18 agosto scorso della Corte di cassazione penale che, respingendo il ricorso della Procura di Pordenone, ha sancito la non obbligatorietà della confisca della macchina dell’automobilista che, pur guidando in stato di ebbrezza alcolica e pur avendo provocato un incidente, non abbia superato il limite di 1,5 di tasso alcolemico.
In queste circostanze, hanno spiegato i giudici della quarta sezione penale di Piazza Cavour, scatta invece il fermo amministrativo che, secondo il Collegio, è una misura sufficiente.
Inutile il ricorso presentato dalla Pubblica accusa che chiedeva la linea dura contro i pirati della strada.
Insomma dal Palazzaccio è arrivata un’interpretazione restrittiva dell’articolo 186 del codice della strada (il tasso alcolemico previsto dall’articolo modificato dall’ultima riforma è rimasto invariato). In particolare gli Ermellini hanno precisato che “ciò che emerge immediatamente dalla lettura di tale disposizione è che le pene di cui al comma 2, quindi, quelle relative sia alla lettera a) che b) e c), quando il guidatore in stato di ebbrezza provoca un incidente, sono raddoppiate ed è sempre disposto il fermo amministrativo dell'autovettura”. Dunque, “da un punto di vista sanzionatorio il legislatore ha diversificato le situazioni tra chi conduce tout-court l'automobile in stato di ebbrezza con quella di chi in tale stato provoca un incidente, quest'ultima ritenuta, ovviamente più grave, in quanto più pericolosa socialmente. L'avere poi, il legislatore inserito l'eccezione "fatto salvo quanto previsto dalla lett. c), non può avere altro significato di quello che, qualora il tasso alcolemico del guidatore che ha provocato l'incidente superi il valore di 1,5, solo in tal caso va obbligatoriamente disposta la confisca dell'autovettura”.

mercoledì 1 settembre 2010

Cassazione: pugno di ferro contro chi raggira gli anziani


Anche la Corte di Cassazione coglie l’allarme sociale del grave fenomeno delle rapine ad anziani ed adotta la linea rigorosa contro chi raggira ed usa violenza contro gli anziani.
Con la sentenza n. 3247/2010 i giudizi di Piazza Cavour della seconda sezione penale, infatti, hanno stabilito che è legittima la custodia cautelare relativamente al caso riguardante tre persone indagate per concorso in una rapina impropria ai danni di una anziana donna.
Nella circostanza, i tre sottoposti ad indagine avrebbero rapinato in casa l'anziana signora e l'avrebbero strattonata con forza per un braccio per potersi dare alla fuga.
Il gip di Roma aveva convalidato la custodia in carcere dei tre rapinatori che ricorrevano in Cassazione dove tra i motivi di ricorso e per cercare di alleggerire la loro posizione rilevavano anche l'assenza di precedenti penali.
La Suprema Corte che ha respinto i ricorsi ha sottolineato che atti di questo genere non meritano nessuno sconto di pena dato che costituiscono un "grave allarme sociale".
Ma non basta, secondo la Corte, "indipendentemente dalla presenza di precedenti a carico dei ricorrenti", è stato correttamente e legittimamente riscontrato "il pericolo di recidiva desumibile dalla gravità e dalle modalità del fatto che fanno pensare ad una preventiva organizzazione del piano (furto in abitazione ai danni di persona anziana e vulnerabile) con ripartizione dei ruoli".
Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale“Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, ritiene che la decisione costituisca un precedente importante anche in termini di dissuasione verso questo deprecabile fenomeno che risulta in continua espansione come dimostrano le statistiche annuali in tema di criminalità.