mercoledì 31 luglio 2013

Calzini per proteggere i piedi dalle sostanze chimiche

Calzini per proteggere i piedi dalle sostanze chimiche. Una soluzione antiestetica dalla Germania, dove un test avrebbe scoperto sostanze chimiche in alcuni tipi di ciabatte di plastica. Meglio verificare ed eliminare dal mercato i modelli “incriminati” La WDR (Westdeutscher Rundfunk Köln), l'emittente radiotelevisiva pubblica locale del Land tedesco dell'Nordrhein-Westfalen, affiliata ad ARD con sede principale situata a Colonia, ha commissionato dei test sulle ciabatte di plastica di diversi produttori ed ha scoperto che in ben sei su dieci tipi di scarpe sono state trovate sostanze altamente cancerogene. Ed è arrivata alla conseguenza, certamente antiestetica, che per evitare possibili rischi connessi alla tossicità bisogna almeno indossare i calzini. Gli zoccoli di plastica colorati, quindi, potrebbero contenere sostanze altamente cancerogene che sarebbero assorbite attraverso la pelle. A questo risultato si è giunti a seguito di analisi chimiche effettuate per conto della tedesca Radio West (WDR), come ha annunciato l’emittente, anticipando un suo servizio, lunedì scorso. In tutte le fasce di prezzo, sarebbe stata scoperta una parte di pericolosi cocktail chimici. Solo i calzini ridurrebbero i rischi per la salute di chi è abituato ad indossare queste comode calzature. Sarebbero particolarmente problematici, secondo il media tedesco, gli idrocarburi policiclici aromatici trovati (IPA), che, invero, sono considerati in medicina altamente cancerogeni. Gli esperti dell'Agenzia federale tedesca per l'ambiente hanno da tempo chiesto un abbassamento della soglia di tollerabilità per l’uomo per queste sostanze, che però non è ancora entrato in vigore. In sei dei dieci paia di scarpe, il laboratorio che ha provveduto ai test ha rilevato che l’IPA erano in concentrazioni spesso ben al di sopra di questo limite. In un paio di sandali di un noto marchio di una multinazionale di questo tipo di scarpe non c'erano IPA, ma due solventi che possono causare irritazioni cutanee e allergie, secondo le stime dell'Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi. Anche in cinque altri tipi di scarpe di plastica sono stati trovati solventi. Un tipo di calzature erano, invece, addirittura contaminate da metalli pesanti. Anche se questi non potrebbero essere assorbiti attraverso la pelle. Ma quando finiscono un giorno nella spazzatura, cromo, piombo e cadmio possono costituire minacciare per l'ambiente. La soluzione, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” non sono di certo i calzini per scarpe che solitamente ed anche per fattori estetici vengono indossate a piedi scalzi, ma un’indagine conoscitiva europea da parte delle istituzioni sanitarie all’uopo dedicate, per verificare se ai test in questione corrispondano effettivi rischi per la salute eliminando in tal caso e prontamente dal mercato i modelli “incriminati”.

I superpaperoni investono nel calcio. Anche l’Italia rischia di perdere l’italianità dei propri club

I superpaperoni investono nel calcio. Anche l’Italia rischia di perdere l’italianità dei propri club in assenza di investimenti. Ma è meglio un calcio più povero Su tutti emerge Carlos Slim, il magnate degli affari messicano che risulta essere il proprietario di club di calcio più ricco del mondo, secondo un nuovo elenco pubblicato da Wealth – X che include gli investitori delle squadre provenienti da 11 paesi, facendo ritenere che i superpaperoni siano orientati a far diventare dei propri trofei personali le squadre di calcio a caccia a loro volta di prestigio e trofei calcistici. L’anno scorso proprio Slim proprietario di America Movil ha acquistato una quota del 30 % del Grupo Pachuca, le cui aziende comprendono tra l’altro le squadre di prima divisione messicana Pachuca e Leon. Wealth – X, stima il patrimonio di Slim in 70 miliardi di dollari USA, rendendolo l’individuo più ricca del mondo. Il secondo tra i proprietari di squadre di calcio è Amancio Ortega, fondatore della catena “Zara”, che detiene una partecipazione nella squadra il campionato di calcio spagnolo, Deportivo La Coruña. L’elenco in questione rivela anche che 7 dei 20 club presi in esame vengono dall'Inghilterra, ma sono di proprietà di miliardari stranieri come il magnate americano George Soros, l’imprenditore indiano Lakshmi Mittal e il miliardario russo Roman Abramovich. L'Arsenal è l'unico club ad essere presenti due volte nell'elenco a causa dell'importanza dei suoi proprietari: l’uomo d'affari americano Stan Kroenke e il suo omologo russo Alisher Usmanov. Questa tendenza da parte dei multimilionari ad acquistare i club stranieri, alcuni assai blasonati, non ha reso immune l’Italia dal contagio dove di recente anche l’Inter, uno dei club più titolati del Nostro Paese sarebbe entrata nelle mire di Erick Thohir, magnate indonesiano dell'editoria e della televisione che è già anche il proprietario di maggioranza della squadra di calcio dei D.C. United e per il 15% di quella di basket dei Philadelphia 76ers. Certo è che in un mondo globalizzato e in un mondo, quale è quello del calcio dove contano purtroppo le liquidità per la gestione dei club che vogliono ambire a traguardi importanti, spiega Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, poco si può fare per difendere l’italianità dei propri “colori”, ma è anche vero che in una situazione del genere dovrebbe essere modificato ulteriormente e a livello mondiale il sistema delle regole che governano i costi nel mondo del calcio anche per favorire una più corretta competizione anche tra le squadre meno “ricche”. Agli organi di governo del calcio la dura scelta.

martedì 30 luglio 2013

Sicurezza stradale: alla guida con le infradito non è vietato ma attenzione ai pericoli

Sicurezza stradale: alla guida con le infradito non è vietato ma attenzione ai pericoli La quotidianità ci porta a non prestare la giusta attenzione a quelle piccole, almeno in apparenza, cose, che invece se correttamente osservate possono servire a ridurre i rischi per noi stessi e per la collettività. In tal senso, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, una delle questioni più dibattute fra gli esperti della sicurezza alla guida e non solo, è l’utilizzo di calzature apparentemente più comode e leggere come ciabatte, zoccoli e infradito che nella stagione estiva prendono il posto, già con i primi caldi, delle scarpe invernali meno confortevoli, ma almeno in apparenza più sicure. E non si tratta di una questione che riguarda solo le donne, anche se un'indagine realizzata da Motori.it e DireDonna, ha stabilito che nel periodo estivo ben il 53% delle esponenti del gentil sesso si mette al volante della propria auto indossando infradito o modelli simili, ma anche molti uomini ormai utilizzano con frequenza questo tipo di calzature, specie quando si dirigono verso le spiagge e le località balneari. Si tratta di un fenomeno di costume che, peraltro, non risulta vietato almeno a partire dal 1993, ossia con l’entrata in vigore del Nuovo Codice della Strada, che ha consentito la possibilità di mettersi al volante con calzature non chiuse sul retro o addirittura a piedi nudi, a patto però che ciò non comprometta la sicurezza necessaria. In tal senso, soggiunge proprio l'articolo 140 del Codice della Strada che regolamenta elasticamente la materia stabilendo che “gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”, senza quindi prescrivere alcuna precisa dotazione e lasciando, dunque, un certo margine di libertà all'automobilista. Ciò non vuol dire che ci si può mettere alla guida come si vuole senza tenere conto che una scarpa più comoda, ma meno modaiola possa essere determinante per evitare rischi per sé e per gli altri. Se per esempio, si rimane coinvolti in un sinistro la mancanza di scarpe chiuse potrebbe essere considerata come un elemento di concorsualità in termini di responsabilità, con effetti negativi sui risarcimenti da parte delle assicurazioni e con un minimo rischio di essere sanzionati dalle forze di polizia stradale per violazione del citato articolo 140 per aver concorso o causato un sinistro a causa della non corretta “dotazione” d’abbigliamento. Nonostante questi rischi, secondo le statistiche, le donne continuano a calzare tacchi a spillo vertiginosi, ma anche ciabatte alla guida e in quest’ultima tendenza superano di gran lunga i maschi. Dall’indagine evidenziata, infatti, gli uomini preferiscono guidare con sneakers o scarpe chiuse per poi cambiarsi e indossare le infradito raggiunta la destinazione.

Processo Tributario. Ammesso il ricorso cumulativo

Processo Tributario. Ammesso il ricorso cumulativo. Nota di commento dell’avvocato Maurizio Villani dopo la sentenza 836/04/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce nella causa collettiva avente r.g. 2724/13 Dopo aver preannunciato ieri la pubblicazione della sentenza numero 836/04/13 della quarta sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce nella causa collettiva avente r.g. 2724/13 che ha accolto integralmente il ricorso presentato collettivamente dai primi 25 contribuenti leccesi assistiti dall’avvocato Francesco D’Agata in relazione alla questione dell’aggiornamento degli estimi catastali a Lecce da parte dell’Agenzia del Territorio su input dell’amministrazione locale, oggi Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, riporta un’interessante nota di commento dell’avvocato Maurizio Villani che è stato uno strenuo sostenitore della cumulabilità dei ricorsi nella vicenda che ha toccato la ribalta nazionale per comprendere la validità di questo strumento processuale anche per, usando le parole del tributarista, “una difesa tributaria più lineare, incisiva e meno dispendiosa dal punto di vista economico” per i contribuenti che saranno assistiti d’ora innanzi dallo “Sportello dei Diritti” per analoghe questioni. Processo Tributario - Ammesso il ricorso cumulativo. Nota di commento La Commissione Tributaria Provinciale di Lecce– Sez. 4 -, con l’interessante sentenza n. 836/04/13 del 18/07/2013, depositata il 29/07/2013, ha totalmente accolto il ricorso cumulativo di 25 contribuenti, presentato dall’Avv. Francesco D’Agata dello Sportello dei Diritti, annullando per difetto di motivazione gli accertamenti catastali dell’Agenzia del Territorio di Lecce. La sentenza è importante perché, prima in Italia, ha ritenuto validamente proposto un ricorso cumulativo presentato da un organismo associativo di tutela dei cittadini-contribuenti, utilizzando la particolare procedura processuale dell’art. 104 del codice di procedura civile, secondo il quale: “Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purchè sia osservata la norma dell’art. 10, secondo comma”. La Corte di Cassazione ha più volte riconosciuto la validità del ricorso cumulativo, con le seguenti sentenze: - n. 7191/04; - n. 309/06; - n. 13916/06 delle Sezioni Unite; - n.3692 del 16/02/2009 delle Sezioni Unite; - n. 21955 del 27/10/2010; - n. 4490 del 22/02/2013 della Sezione Tributaria. Secondo la Corte di Cassazione, in aggiunta alle ragioni di economia processuale che sorreggono la pacifica ammissibilità del ricorso uno actu avverso più sentenze emesse nel medesimo procedimento, va osservato che l’ammissibilità è consentita quando i diversi procedimenti non solo attengono al medesimo rapporto giuridico di imposta, pur riguardando situazioni giuridiche formalmente distinte, in quanto si riferiscono a diverse annualità, ma soprattutto quando dipendono per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause ed in ipotesi suscettibile persino a dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio a tutte le cause relative al medesimo rapporto di imposta. In definitiva, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene pacificamente ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti distinti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile sempre nel processo tributario l’art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande, anche non connesse tra loro, con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi (art. 29 D.Lgs. n. 546/1992). In altri termini, non si rinviene all’interno del processo tributario alcuna incompatibilità con l’istituto del litisconsorzio improprio (art. 103 c.p.c.), non ostando alla legittimità della proposizione del ricorso collettivo la previsione espressa del litisconsorzio necessario. Infatti, la previsione espressa del litisconsorzio necessario nel processo tributario non implica, in virtù del richiamo operato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992, quale automatica conseguenza, l’inammissibilità dell’applicazione del litisconsorzio improprio, così come il principio sancito dall’art. 18 D.Lgs n. 546/1992, secondo cui “ogni atto autonomamente impugnabile può essere impugnato solo per vizi propri”, non appare violato dalla mera materiale unicità del ricorso con il quale più soggetti impugnino atti autonomamente impugnabili per vizi propri, deducendo a conforto identiche questioni. Infine, sempre secondo i principi consolidati della Corte di Cassazione, non appaiono ostative alla soluzione adottata le eventuali circostanze fattuali che potrebbero, parzialmente, diversificare le posizioni dei singoli ricorrenti, soccorrendo, in tal caso, e nella ricorrenza dei presupposti di legge, la separazione delle cause espressamente prevista dall’art. 103, comma 2, c.p.c.. I giudici leccesi hanno ben applicato i suddetti principi più volte espressi dalla Corte di Cassazione e ciò, in futuro, comporterà per i contribuenti, assistiti dallo Sportello dei Diritti, una difesa tributaria più lineare, incisiva e meno dispendiosa dal punto di vista economico.

lunedì 29 luglio 2013

Danno da vacanza rovinata. Risarcito il danno per il condizionatore non funzionte e addirittura se perde acqua

Sì al “danno da vacanza rovinata” se nell’hotel a 4 stelle il condizionatore non funziona e addirittura perde acqua. Liquidato anche il danno non patrimoniale ai turisti che hanno comprato il pacchetto vacanze: a pagare solidalmente sono l’agente di viaggio e il tour operator, che però è assicurato Quante volte è capitato e continua a succedere: una meritata vacanza nella meta esotica si trasforma in un soggiorno da dimenticare per i turisti che avevano acquistato il pacchetto vacanze. Nella camera dell’hotel a quattro stelle il condizionatore d’aria non sono non funziona ma addirittura perde anche acqua. Ed allora la vicenda finisce in Tribunale perché il disagio degli acquirenti per la sistemazione inadeguata in albergo supera la soglia della normale tollerabilità e determina il risarcimento anche del danno non patrimoniale. A pagare solidalmente sono l’agente di viaggio e il tour operator, ma quest’ultimo è assicurato e si fa garantire dall’assicurazione per quanto gli tocca da pagare a seguito della lesione da vacanza rovinata. Un lieto fine, insomma, quello scritto dalla sentenza 191/13, pubblicata dal tribunale di Ferrara, che Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ritiene meritevole di diffusione in quanto ha accolto le richieste dei due viaggiatori anche se probabilmente nessuna cifra potrà ripagare gli effettivi disagi patiti per una vacanza che doveva essere indimenticabile ed invece si cerca di dimenticare subito. Ad ogni modo il giudice unico del tribunale romagnolo, Caterina Arcani, ha accertato che il pacchetto turistico era di quelli “tutto compreso” laddove l’offerta sul depliant prevedeva soggiorno, trasferimento e altri servizi combinati. A sostegno della decisione del togato vi è anche la giurisprudenza della Corte di giustizia europea che ha ormai “sdoganato” il danno da vacanza rovinata. Nel caso in questione, peraltro, è stato ritenuto sussistente anche il pregiudizio di natura non patrimoniale per gli acquirenti del pacchetto turistico in virtù del fatto che i disagi patiti durante il soggiorno si rivelano al di sopra della soglia della normale tollerabilità, dovendosi ritenere che la prova dell’inadempimento da parte del tour operator e dell’agente di viaggio, responsabili in solido, esaurisce in sé anche la prova del danno non patrimoniale dovendo essi desumersi dalla mancata realizzazione della finalità turistica.

Accolto integralmente il primo ricorso collettivo tributario italiano

Accolto integralmente il primo ricorso collettivo tributario italiano. La 4° Sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce con la sentenza n. 2724/13 ha ritenuto ammissibile l’azione collettiva dei contribuenti e ha annullato gli atti di accertamento sugli estimi catastali È con estrema soddisfazione che comunichiamo ai media e alla collettività, nonché ai tributaristi che saranno sicuramente interessati dalla notizia, che in data odierna è stata pubblicata dalla quarta sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce la sentenza numero 2724/13 che ha accolto integralmente il ricorso presentato collettivamente dai primi 25 contribuenti leccesi assistiti dall’avvocato Francesco D’Agata con la preziosa e fattiva collaborazione dell’avvocato Maurizio Villani, in relazione alla questione dell’aggiornamento degli estimi catastali a Lecce da parte dell’Agenzia del Territorio su input dell’amministrazione locale. A sottolineare l’importante decisione, che riguarda per la prima volta in Italia un’azione collettiva intrapresa da più contribuenti che hanno impugnato con un unico ricorso altrettanti avvisi di accertamento, è Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” che alla luce di questo successo stigmatizza il comportamento di alcuni detrattori, anche tra le associazioni dei consumatori, che avevano bocciato a priori la via collettiva, senz’altro più economica per i contribuenti e per l’amministrazione della giustizia, prediligendo la presentazione in massa di migliaia ricorsi individuali per la medesima questione di diritto, tanto da far pensare ad un vero e proprio business dei ricorsi. Ciò che però ci preme sottolineare, spiega Giovanni D’Agata, al di là dell’ennesima prova dell’illegittimità degli atti di accertamento in serie per l’aggiornamento degli estimi catastali a Lecce, è che l’accoglimento del primo ricorso collettivo tributario in Italia, che conferma in concreto quanto sostenuto dalla Cassazione con la sentenza numero 4490 del 22 febbraio 2013, apre la strada alla possibilità di intraprendere analoghe azioni per questioni simili che dovessero presentarsi in futuro e che riguardano ragioni di diritto comuni in un settore del diritto, quale quello processuale tributario, nel quale sino ad oggi si riteneva inammissibile il ricorso cumulativo.

domenica 28 luglio 2013

La Cassazione esclude la notifica diretta per posta degli atti fiscali.

La Cassazione esclude la notifica diretta per posta degli atti fiscali. La notifica a mezzo posta e l’Ordinanza della Suprema Corte n. 13278 del 28 maggio 2013. Quale sarà la disciplina applicabile alle notificazioni a mezzo posta di atti tributari dopo questa decisione che si pone in contrasto con altri precedenti? Solo gli attenti osservatori del diritto, in particolare di quello tributario, si sono accorti dei possibili sconvolgenti effetti sul sistema delle notifiche degli atti fiscali dopo l’ordinanza n. 13278 del 28 maggio 2013 che di fatto ha posto seri dubbi sulla legittimità delle notifiche a mezzo posta di tali atti senza che il procedimento sia effettuato da un agente all’uopo abilitato, con possibili annullamenti a raffica, per buona pace di tanti contribuenti che effettivamente non hanno potuto avere piena contezza degli atti notificatigli, di tutti quelli che non seguono correttamente l’iter dettato dalla normativa per come interpretata dalla Suprema Corte. Nell’articolo di seguito scritto a due mani dagli avvocati Maurizio Villani e Idalisa Lamorgese, che per Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, vale la pena leggere con attenzione, viene esplicata in dettaglio la decisione in questione che lascia più di un dubbio ed in particolare: quale sarà la disciplina applicabile alle notificazioni a mezzo posta di atti tributari alla luce di questa interpretazione della normativa? La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13278 del 28 maggio 2013, ha stabilito che è nulla la notifica degli atti fiscali nel caso in cui l’avviso lasciato dall’agente postale, che ne dà notizia con raccomandata con avviso di ricevimento, non riporta il numero civico presso il quale avrebbe cercato il contribuente. Infatti, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte, con l’Ordinanza di cui sopra, ha accolto il ricorso di un contribuente che chiedeva la cassazione della sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo, con cui, confermando la decisione di primo grado, veniva respinto il proprio atto di appello nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. La controversia è scaturita da una cartella di pagamento, emessa sulla base di provvedimento di irrogazione di sanzioni, di cui il contribuente ha chiesto l’annullamento eccependo un vizio di notifica, consistito nel mancato rispetto di tutti gli adempimenti richiesti dalla legge e, segnatamente, dall’articolo 3 della Legge n. 892/1982 concernente la notificazione di atti a mezzo posta. Infatti il messo notificatore aveva omesso di annotare quale fosse il numero civico dello stabile presso il quale aveva cercato il destinatario dell’atto, anche per colpa dell’Ufficio Finanziario che non aveva compiutamente indicato l’indirizzo del contribuente. Più in particolare, i Giudici di appello si erano limitati a verificare che l’agente postale, alla cui attività andava riconosciuta efficacia probatoria fino a querela di falso, avesse curato i prescritti adempimenti, dando atto di avere “immesso avviso cassetta ingresso dello stabile in indirizzo”. In sede di Cassazione il ricorrente lamentava, invece, la mancata ricezione dell’atto e riteneva che le carenze di notifica fossero da imputare sia all’originario errore omissivo dell’Ufficio che non aveva compiutamente indicato l’indirizzo omettendo il numero civico, che ad un vizio del procedimento di notifica: l’agente postale, infatti, non aveva annotato nell’avviso di ricevimento il numero civico dello stabile nel quale si era concretamente introdotto. La decisione veniva, pertanto, impugnata per violazione e falsa applicazione dell’ art. 3 della L. 890/1982, nonché dell’art. 6 della L. 212/2000. Ebbene, diversamente dai giudici del merito, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, rinviando la causa per nuovo esame ad altra sezione della CTR della Sicilia. Gli Ermellini hanno infatti attribuito estrema importanza alla completezza dell’avviso lasciato dall’agente delle poste al momento della notifica dell’atto tributario. Sul punto i supremi giudici hanno ribadito che, nel caso di notifica a mezzo posta e di irreperibilità relativa del destinatario, le modalità di notifica devono essere rigorosamente osservate e menzionate nell’avviso di ricevimento, deducendone che lì dove, come nel caso, dalla sola annotazione dell’agente postale riportata nell’avviso, non possa ricavarsi l’avvenuto puntuale espletamento di tutte le prescritte formalità, e segnatamente il luogo di immissione dell’avviso, la notifica non può ritenersi correttamente effettuata. L’ ordinanza in commento si segnala, paradossalmente, più per quello che lascia ipotizzare che per quello che, esplicitamente, afferma. In particolare, offre, lo spunto per una importante riflessione (cfr. M. Bruzzone “La notifica a mezzo posta è inesistente se manca il civico nell’avviso di ricevimento” in Corriere Tributario 29/2013) che merita di essere posta in evidenza in questo articolo. Orbene, è opportuno prima di tutto segnalare che non vi è dubbio che quella delle notifiche a mezzo posta degli atti tributari è materia estremamente complessa e delicata, come dimostra la copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità che negli ultimi anni si è pronunciata sull’argomento. La Suprema Corte nell’ordinanza n. 13278 del 28 maggio 2013, è tornata a pronunciarsi sulla notificazione a mezzo posta di atti tributari. Preme in questa sede evidenziare che la soluzione interpretativa prospettata dagli Ermellini, è di estrema importanza e presuppone l’applicazione alle notifiche di atti tributari a mezzo posta della Legge n. 890 del 20 novembre 1982 “Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari”, ponendosi, in tal modo, in netto contrasto con la tesi, sostenuta in altre pronunce della stessa Corte, che, al contrario, ammette la spedizione diretta a mezzo posta di provvedimenti impositivi ed esattivi, senza l’intervento di un agente notificatore abilitato e senza la compilazione della relata di notifica, assumendo l’inapplicabilità né dell’art. 149 c.p.c., né, di conseguenza, delle più rigorose formalità prescritte dalla legge n. 890/1982 e l’operatività della disciplina regolamentare sull’ordinaria posta raccomandata, contenuta nel Decreto del Ministero delle comunicazioni del 9 aprile 2001 (cfr. Sentenza Cassazione n. 15746 del 19 settembre 2012). Orbene, alla luce di quanto sopra esposto, sebbene in realtà le sentenze dei giudici di legittimità non abbiano specificatamente affrontato l’eccezione dell’inesistenza della notifica per posta diretta perché effettuata da un soggetto non abilitato dalla legge, è evidente che viene a configurarsi un chiaro contrasto interpretativo: quale sarà la disciplina applicabile alle notificazioni a mezzo posta di atti tributari?

sabato 27 luglio 2013

Furti nelle spiagge. La crisi fa scattare l’emergenza per turisti e bagnanti.

Furti nelle spiagge. La crisi fa scattare l’emergenza per turisti e bagnanti. Un vademecum dello “Sportello dei Diritti” per cercare di evitare di farsi rovinare la vacanza È un fenomeno che si ripete puntualmente ogni anno, ma per le segnalazioni che stanno giungendo dalle mete di vacanza allo “Sportello dei Diritti”, pare che la crisi lo abbia amplificato e di molto: si riempiono le spiagge e arrivano i furti a raffica sull’arenile. Furti in serie, quindi, solo una piccola parte dei quali denunciati a carabinieri e polizia, che fanno pensare sia alla presenza di vere e proprie organizzazioni specializzate in questo tipo di reato, ma anche a ladri improvvisati che per farsi la giornata, ed a volte anche qualcosina in più, puntano chi si distrae perché magari preso dal meritato relax delle ferie o mentre si bagna in mare per rinfrescarsi un po’. Le ruberie, peraltro, che riguardano tutte le località balneari, che siano le più rinomate ma anche quelle meno, non lasciano immuni sia le spiagge pubbliche che i lidi privati ed avvengono quasi sempre nelle ore diurne, ma anche nei parcheggi vicini alle spiagge dove per qualche distrazione si lascia un finestrino un po’ aperto dell’auto e qualche oggetto tipo occhiali da sole o qualche moneta abbandonata sulla plancia o sul cruscotto. Certo è che le spiagge più affollate e quelle “vip” sono le più “ambite” dai furfanti e dalle organizzazioni che lo hanno fatto diventare, in questi luoghi nei quali è quasi un gioco da ragazzi, un vero e proprio business criminale. Ci è stato segnalato peraltro, in tal senso, che i residui della refurtiva, tipo borse e borsellini, vengono poi abbandonati in determinati posti dove è possibile scovare un accumulo di queste custodie tanto elevato è il numero di quelle che appaiono come delle vere e proprie “razzie” in questo periodo dell’anno. Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, consiglia che si deve cercare il più possibile di evitare di portare oggetti di valore sotto l’ombrellone, ma se proprio non se ne può fare a meno, bisogna prestare la massima attenzione non solo ai propri effetti personali, ma anche a quelli dei vicini d’ombrellone quando questi vanno in acqua e abbandonano tutti i propri effetti, portafogli, telefoni, occhiali da sole, chiavi dell’auto in bella vista sulla spiaggia. E non si tratta solo di semplice e puro spirito di cortesia, ma di prevenzione reciproca e per sé stessi. Per la vastità dei litorali e l’enorme numero di bagnanti, infatti, i primi a vigilare dovrebbero essere proprio questi. Avere l’accortezza di lasciare sempre qualcuno sul posto abbatterebbe drasticamente e definitivamente il fenomeno. Inoltre, chiudere perbene l’autovettura, evitando di lasciare oggetti che potrebbero attirare l’attenzione di questi lestofanti, è una prassi che ci dovrebbe riguardare sempre. In ultimo, bisogna essere sempre pronti a contattare il 112 e 113, il che faciliterebbe le forze dell’ordine a pizzicare in flagranza o quasi i malandrini.

venerdì 26 luglio 2013

Allerta per aumento di bambini feriti dalla caduta dei televisori

Allerta per aumento di bambini feriti dalla caduta dei televisori. L’invito dello “Sportello dei Diritti” ad ancorare alle pareti o ai mobili TV vecchie e nuove con appositi fissaggi e staffe Uno studio americano pubblicato online lunedì scorso sulla rivista Pediatrics, ha rilevato che negli ultimi vent’anni quasi 200.000 bambini americani sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso per la caduta di televisori e il tasso di infortuni a causa di questi incidenti a volte mortali è salito notevolmente. I medici e gli esperti di sicurezza dicono che è necessaria una migliore consapevolezza sui rischi con particolare riguardo ai pericoli connessi con l’installazione dei modelli di tv più pesanti e più vecchi in cima a cassettiere e altri mobili per i quali i più piccoli potrebbero cercarvi di salire su. La maggior parte delle lesioni riguardano bambini al di sotto dei cinque anni, e lesioni alla testa e al collo sono le più comuni. Il dottor Gary Smith uno specialista di emergenza pediatrica e presidente del Child Injury Prevention Alliance di Columbus nell’Ohio ha sottolineato che "Questo è un problema che sta aumentando ad un ritmo allarmante". Il dottor Smith ha evidenziato che non è chiaro dai dati in possesso che tipo di apparecchi televisivi sono coinvolti in incidenti o se i modelli più pesanti e vecchi siano i “colpevoli” più comuni. Nel 2011, 12.300 bambini a livello nazionale in USA ha ricevuto un trattamento in pronto soccorso per lesioni TV-correlate, rispetto ai 5.455 del 1990. Il tasso d’infortuni, secondo la ricerca, è quasi raddoppiato, da 0,85 infortuni per 10.000 bambini di età compresa tra i neonati sino ai 17 anni nel 1990 a 1,66 per 10.000 nel 2011. I ricercatori hanno esaminato i dati nazionali ER sulle lesioni non mortali legate alla televisione per i bambini nel periodo compreso tra il 1990 ed il 2011. In molti casi, la tv era stata collocata su un comò e il bambino aveva utilizzato cassetti aperti a mò di scale per salire e raggiungere il televisore sino al rovesciamento dello stesso. I dati del governo federale, dimostrano che nel corso di questi due decenni, ben 215 bambini sono morti a causa di queste lesioni, mentre dal gennaio 2012, almeno sei bambini sono stati uccisi sempre negli USA a causa della caduta dei televisori. Scott Wolfson, portavoce della Consumer Product Safety Commission del governo, ha detto, che da quando i televisori a schermo piatto sono diventati più popolari, molte famiglie spostano i vecchi televisori nelle camere da letto, mettendoli sulle credenze o altri mobili instabili non progettati per trattenerli. Alla luce di tali dati anche perché non è dato conoscere se vi siano analoghe statistiche in Italia, ma di fatti di cronaca connessi a tali accadimenti se ne sono letti e se ne leggono tutt’oggi anche nel Nostro Paese, Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, condivide quanto espresso dalla Commissione in questione che invita i genitori ad ancorare le proprie TV vecchie e nuove ai mobili, alle pareti o al pavimento con staffe o altri fissaggi appositamente progettati. I televisori inoltre devono essere sempre ancorati a superfici robuste.

Consumatori e banche. La Commissione UE vuole abbassare le commissioni bancarie sulle carte di pagamento

Consumatori e banche. La Commissione UE vuole abbassare le commissioni bancarie sulle carte di pagamento imponendo un tetto massimo Una notizia positiva per i consumatori arriva direttamente dalla Commissione Europea che mercoledì scorso ha proposto di limitare le spese che le banche addebitano reciprocamente per le transazioni delle carte di credito e di debito. Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, Secondo l’istituzione europea l’importo massimo delle commissioni non dovrebbe superare lo 0,2% del valore della transazione per le carte di debito, e lo 0,3% per le carte di credito. Attualmente le tasse potrebbero aumentare fino all’1,5%. Le limitazioni dovrebbero riguardare in particolar modo le transazioni transnazionali e, dopo un periodo transitorio di 22 mesi, dovrebbero entrare in vigore per tutte le operazioni interne. Le modifiche proposte andrebbero a diminuire la somma complessiva delle tasse sulle operazioni con carte di debito per circa il 48%, e le commissioni per i pagamenti con carta di credito di circa il 38%, secondo la Commissione UE. Joaquin Almunia, Commissario per gli Affari economici e monetari ha espressamente detto che le spese attuali pagate dalle piccole imprese vanno ad incrementare i prezzi di beni e servizi. Il provvedimento dovrebbe poi contribuire a combattere i grandi monopoli, offrendo a tutti i fornitori di carte di pagamento le stesse condizioni. Ovviamente non è tardata ad arrivare la risposta delle multinazionali del credito tra cui MasterCard che ha criticato la proposta della Commissione ritenendo che non andrebbe a vantaggio dei consumatori e delle piccole imprese, e potrebbe addirittura limitare la concorrenza e le innovazioni nel settore. Giovanni D’Agata, al contrario, ritiene che porre un tetto massimo alle commissioni in questione potrebbe favorire una concorrenza al ribasso tra gli operatori del settore con benefici proprio per l’anello debole rappresentato da consumatori e piccole imprese.

Allerta ambiente: l’UE pronta a finanziare nuove centrali nucleari in Europa

Allerta ambiente: l’UE pronta a finanziare nuove centrali nucleari in Europa. Lo “Sportello dei Diritti” chiede al Governo italiano di fare sentire la sua voce contro questa sciagurata scelta Una notizia shock a livello europeo che potrebbe mettere a dura prova il risultato del referendum italiano contro il nucleare e la politica tedesca per le rinnovabili. A denunciare pubblicamente in Italia lo scempio ambientale che si sta paventando in Europa è lo “Sportello dei Diritti”, nella persona del presidente e fondatore Giovanni D’Agata, dopo aver appreso da fonti estere dell’esistenza, e in particolare a seguito di uno scoop apparso mercoledì scorso sul quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, di un documento comunitario che annuncia finanziamenti a nuovi impianti nucleari. La Commissione UE, dunque, nonostante Fukushima, il referendum italiano, l’aumento delle misure di sicurezza delle centrali già esistenti sul territorio dei 28 stati membri, e i forti dubbi espressi in seno al consesso europeo anche da membri importanti come la Germania, avrebbe intenzione di incentivare la costruzione di nuove unità di produzione di energia atomica. L’atto in questione porta la firmato di Joaquin Almunia, Commissario europeo alla concorrenza, e riporterebbe la circostanza che la produzione energetica nucleare risulta essere ancora tra gli obiettivi strategici dell’Unione Europea, e in futuro gli stati nazionali potranno finanziare nuovi impianti. Anche con il sostegno finanziario di contributi europei, che oggi sono riservati alle fonti di energia rinnovabili. Per il giornale teutonico, Gran Bretagna, Francia, Lituania, Repubblica Ceca e Polonia sarebbero d’accordo con questa scelta che riteniamo distruttiva per l’ambiente e non in linea con la necessità di puntare sulle rinnovabili per il futuro energetico dell’intera Unione. Peraltro, sono tutti stati membri nei quali è in programma la costruzione di nuove centrali nei prossimi anni. La Germania avrebbe espresso contrarietà a questa “nuova” strada energetica essendo stata dopo Fukushima, uno degli alfieri mondiali della denuclearizzazione, avendo optato per una diffusione capillare delle energie rinnovabili e una politica ambientale avanzata. Vale la pena ricordare che la politica energetica è di competenza principalmente degli stati membri, non dei burocrati UE, ma il documento mostrerebbe una direzione abbastanza delineata verso l’affiancamento del nucleare alle fonti energetiche rinnovabili, il cui sviluppo è orientato dalla politica Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e solidale. Per Giovanni D’Agata è il momento che l’Italia faccia sentire la sua voce esprimendo forte contrarietà al documento in questione soprattutto in ragione della manifesta volontà popolare espressasi solo due anni fa nuovamente contro il nucleare senza se e senza ma, con il successo nel referendum abrogativo. Se il governo non dovesse esprimere, al contrario, una forma di dissenso, avallerebbe di fatto la strategia portata in Commissione, ponendosi nuovamente così un nuovo muro tra Palazzo e Popolo e l’Italia potrebbe ritrovarsi ancor più circondata dalle centrali nucleari degli stati vicini.

giovedì 25 luglio 2013

Mobbing. Spetta la reintegra e il danno morale per il lavoratore che reagisce anche violentemente contro il capo che lo mobbizza

Mobbing. Spetta la reintegra e il danno morale per il lavoratore che reagisce anche violentemente contro il capo che lo mobbizza. Dev’essere ritenuto sproporzionato e quindi illegittimo il licenziamento seguito all’alterco determinato da vessazioni sistematiche. Non solo non può essere licenziato il dipendente che aggredisce il superiore minacciandolo con una sbarra metallica, dopo aver subìto sistematiche e continue vessazioni tali ledere la capacità di autocontrollo, ma dev’essere anche risarcito per il danno morale. A stabilirlo la sezione lavoro della Corte di Cassazione con la significativa sentenza 18093/13, pubblicata il 25 luglio che, come rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ha preso in esame il fatto, non raro sui luoghi di lavoro nostrani, del capo che mobbizza il sottoposto mentre l’aggressione del dipendente avviene a seguito di una sistematica condotta di bossing che l’azienda conosce e non impedisce. Nel caso in questione preso in esame dalla Suprema Corte che ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Torino nella quale erano state decisive le testimonianze dei colleghi del licenziato acquisite in sede penale sulle continue vessazioni alle quali l’incolpato risulta sottoposto dal suo responsabile, tant’è che era stato ritenuto correttamente sproporzionato il provvedimento espulsivo adottato nei confronti del dipendente “incensurato”, che si ispira al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro. Per di più, quindi, oltre alla reintegra, sul posto va anche dato atto del riconoscimento del danno morale per le violenze subite dal lavoratore per cui l’azienda è responsabile ai sensi dell’art. 2087 del codice civile anche se la sentenza d’appello è stata cassata con rinvio alla stessa corte di merito in diversa composizione per quantificare l’aliunde perceptum del lavoratore che va detratto dal risarcimento. Se viene accolto come unico motivo di ricorso dell’azienda la questione di quanto percepito dal lavoratore nelle more del giudizio, infatti, per il resto i giudici di legittimità hanno confermato integralmente la sentenza d’appello che aveva ordinato la reintegra e il risarcimento al dipendente per il licenziamento illegittimo oltre che la rifusione del danno morale liquidato in via equitativa. Dev’essere specificato che a causa del mobbing verso il sottoposto, il superiore era stato già condannato in sede penale in entrambi i gradi di giudizio per il reato di maltrattamenti di cui all’articolo 570 del codice penale. È evidente, quindi, il quadro probatorio che era emerso in sede penale a seguito delle testimonianze degli altri dipendenti con il malcapitato licenziato descritto come un elemento preparato e gioviale, tecnicamente preparato ed esperto nel suo lavoro. Ed il capo, forse proprio per tali ragioni, l’aveva preso di mira con continue mortificazioni professionali e umane, oltre offese gratuite. In poche parole il ”boss” aveva reso la vita impossibile al sottoposto che un giorno aveva reagito (per disperazione) brandendo una sbarra. Il licenziamento, quindi, si era rivelato alla stregua di un provvedimento eccessivo e sproporzionato se si fosse tenuto in debito conto i torti subiti dall’incolpato “non potendosi ritenere la reazione avuta …costituisse elemento di per sè idoneo e sufficiente ad inficiare irrimediabilmente il rapporto fiduciario da tempo esistente …Ciò nell’ottica della correttezza e della buona fede alla luce delle quali andava letta ed interpretata la dinamica di un rapporto contrattuale quale quello in esame”. Non vi sono dubbi, quindi, neanche per la Suprema Corte che nel caso di specie si possa configurare il mobbing nella condotta del datore di fronte a una persistente persecuzione e emarginazione del dipendente: il prestatore d’opera si ritrova leso nella sua sfera personale e lavorativa. Il tutto in violazione dell’articolo 2087 Cc che impone al datore di garantire la sicurezza sul lavoro. E nessun dubbio che sia lo stesso datore a dover rispondere anche in termini di risarcimento per il bossing posto in essere dal suo dipendente con incarico di responsabilità: a nulla vale il tardivo intervento di pacificazione da parte dell’azienda. Nella fattispecie, non può far finta di niente dato che il lavoratore denuncia il mobbing del capo anche nelle giustificazioni presentate nell’ambito del procedimento disciplinare.

Consumatori UE diffidenti sugli acquisti online che comunque sono in aumento

Pubblicata dalla Commissione Europea la “Consumer Conditions Scoreboard” del 2013. Consumatori UE diffidenti sugli acquisti online che comunque sono in aumento. Più acquisti “verdi”. L’Italia si attesta al di sopra della media È stato appena pubblicato il quadro di valutazione del 2013 “Consumer Conditions Scoreboard”, una sorta di “pagella” delle condizioni dei consumatori della Commissione Europea, che come una specie di “finestra sul mercato” viene utilizzata per il monitoraggio di ciò che accade nel mondo dei consumi dell’Area UE ma che serve anche per determinare, secondo le intenzioni dell’esecutivo UE, le future iniziative europee in campo legislativo. Dal quadro in questione, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, emerge fra l’altro che i cittadini europei utilizzano sempre più il commercio elettronico, ma rimane elevato il livello di diffidenza nei confronti degli acquisti online e delle pratiche commerciali illegali. Come associazione impegnata anche nella difesa dei consumatori ci uniamo all’evidente preoccupazione che può essere evidenziata circa la scarsa conoscenza dei diritti dei consumatori. A fare da pendant a quest’aspetto negativo vi è un altro positivo: aumentano, infatti, gli acquisti “verdi”. Cresce il commercio elettronico, ma soprattutto sul mercato interno. La quota infatti di consumatori che acquista online è passata dal 38% al 41% a livello nazionale e dal 9,6% all’11% per gli acquisti transfrontalieri. Un gap testimoniato anche dal grado di fiducia che raggiunge il 59% per gli acquisti nazionali ed è invece pari al 35% per quelli esteri. Ma le cifre variano molto a seconda dei diversi paesi, con quote oscillanti dal 18% al 76% di chi si sente tutelato adeguatamente dalle norme vigenti. Resta comunque forte il timore di consumatori e venditori di imbattersi in pratiche commerciali illegali: oltre il 50% ritiene che tale rischio su internet è divenuto più probabile. Ma dalla pagella esce anche un’Europa più eco-responsabile: quattro persone su dieci, pari ad una media UE del 41% (contro il 29% del 2011), affermano infatti di aver scelto beni e servizi, nel 2012, sulla base del loro impatto sull’ambiente. A guidare la classifica sono Grecia (56%) e la Svezia (53%) mentre fanalini di coda sono Lituania (28%) ed Estonia (25%). L’Italia si attesta al di sopra della media, al 43%.

martedì 23 luglio 2013

Zona a “Burocrazia Zero” nel decreto “Del Fare”. Nuovo annuncio o fatto concreto per i cittadini.

Zona Franca Urbana e Zona a Burocrazia Zero, sono sigle che si ripetono puntualmente con ogni governo senza che i cittadini e le im prese possano toccare con mano i benefici tanto paventati. E’ lecito, infatti, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, chiedersi se ancora una volta all’annuncio e al proclama, si dia concreta attuazione a promesse che sulla carta dovrebbero portare a fatti concreti per i cittadini, Nel frattempo, un articolo scritto a due mani dagli avvocati Maurizio Villani e Iolanda Pansardi, ci spiega cosa dovrebbe accadere con le “nuove” zone a burocrazia zero, inserite nel decreto “Del Fare” . ZONA A BUROCRAZIA ZERO NEL “DECRETO DEL FARE” Tornano sulla scena con il “Decreto Del Fare” le zone a burocrazia zero, che dovrebbero puntare a uno snellimento burocratico nello start up di un’impresa. Ed infatti, l’articolo 37 del Dl 69/2013 del Governo Letta ai fini di facilitare la vita burocratica delle imprese propone un rilancio delle forme di semplificazione già adottate di cui all’art. 37 bis del D.l. n. 179/2012 (Governo Monti). Con l’art. 37 bis del D.l. n. 179/2012, già al comma 3 veniva evidenziato che: << Per le aree ubicate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ove la zona a burocrazia zero coincida con una delle zone franche urbane di cui all'articolo 37, le risorse previste per tali zone franche urbane, ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero>>. Nell'ambito delle attività di sperimentazione - di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35- le zone a burocrazia zero sono una specie di zone franche del territorio nazionale le quali sono state espressamente sottratte (addirittura) a ogni «vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico» (così l'articolo 37-bis, comma 1, del decreto legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012) e dove il rilascio delle autorizzazioni sono sostituite da una comunicazione che l'interessato deposita presso lo sportello unico delle attività produttive. Con il “Decreto Del Fare”, vieppiù, le forme di semplificazione consistono negli accordi sperimentali tra amministrazioni e associazioni di categoria, lanciati dal Governo Monti con l'articolo 12 del decreto legge n. 5 del 2012, convertito in legge n. 35 del 2012 (e poi ulteriormente disciplinate con successiva decretazione d'urgenza), ossia di convenzioni che possono essere stipulate tra le amministrazioni competenti e le varie associazioni di categoria «per attivare percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative e attività delle imprese sul territorio, in ambiti delimitati e a partecipazione volontaria, anche mediante deroghe alle procedure e ai termini per l'esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti, dandone preventiva e adeguata informazione pubblica» (così la definizione dell'art. 12, comma 1, del decreto legge n. 5 del 2012). L’obiettivo rimane quello di semplificazione basato, sostanzialmente, su accordi che derogano alle vigenti norme di legge, al fine di snellire le procedure e abbreviare i termini dei procedimenti amministrativi; ciò, alla condizione che venga data adeguata pubblicità preventiva (informazione pubblica) a tali iniziative. Le nuove disposizioni inserite dal decreto legge "del fare" mirano all'estensione a tutto il territorio nazionale di queste sperimentazioni, anche al fine di creare un sistema integrato di dati telematici tra le varie amministrazioni coinvolte e di permetterne un monitoraggio complessivo che è affidato al ministero dello sviluppo economico. Uniche limitazioni alle attività economiche così liberalizzate, la tutela dei «principi fondamentali della Costituzione, la sicurezza, la libertà e la dignità dell'uomo e l'utilità sociale, il rispetto della salute, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale» (così il comma 5 dell'art. 37 ).

Nasce lo “Sportello del Precario”

Nasce lo “Sportello del Precario” con lo scopo di far acquisire ai lavoratori temporanei (ossia a tutti coloro che non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato) la consapevolezza della eventuale illegittimità del proprio contratto di lavoro. A renderlo noto Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, e l’avvocato barese Donato Santochirico, esperto in materia. Invero, accade troppo spesso che il datore di lavoro stipula, nella totale inconsapevolezza del lavoratore, un contratto di lavoro temporaneo illegittimo (contratto di lavoro a termine, somministrato, a progetto ecc…): a) per soddisfare esigenze che per legge potrebbe soddisfare solo con assunzioni a tempo indeterminato; b) in assenza dei requisiti formali di legge. In dette ipotesi il lavoratore può impugnare il contratto di lavoro temporaneo e ottenere la trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato ed il risarcimento del danno. Ciò detto, lo “Sportello Del Precario”, nel ricordare che si propone di far acquisire consapevolezza ai lavoratori dell’illegittimità del proprio contratto di lavoro temporaneo, effettua, con i propri consulenti altamente specializzati in materia di lavoro temporaneo, consulenza gratuita a chiunque voglia far esaminare il proprio contratto per conoscere gli aspetti illegittimi dello stesso. Ciascun lavoratore interessato potrà contattarci all’indirizzo email info@sportellodeidiritti.org lasciando i propri recapiti per essere ricontattato in tempi brevissimi dagli esperti dello “Sportello del Precario”.

Saltare la colazione può aumentare il rischio di infarto

Saltare la colazione può aumentare il rischio di infarto. La colazione è il pasto più importante della giornata lo dice uno studio Uno studio della Harvard School of Public Health di Boston pubblicato sulla rivista “Circulation” e che Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ritiene valga la pena diffondere anche nel Nostro Paese, ha stabilito che gli uomini che saltano la prima colazione regolarmente hanno un rischio maggiore di infarto rispetto a coloro che mangiano il pasto. Sulla scorta del fatto che saltare la prima colazione regolarmente è legato a fattori di rischio cardiaci come l'obesità, la pressione alta e colesterolo alto, i ricercatori statunitensi hanno cercato di vedere se aumentano le probabilità di subire un attacco di cuore nel corso del tempo. Non è chiaro, però, se è il momento o il contenuto della prima colazione che potrebbe aiutare a proteggere contro i problemi di salute. Secondo l’autore principale dello studio, Leah Cahill, un canadese vincitore di un dottorato di ricerca in nutrizione "il vecchio adagio che la colazione è il pasto più importante della giornata può essere vero, perché abbiamo anche esaminato altri pasti, come il pranzo e la cena e tempi di spuntini, e la colazione era l'unico pasto per il quale abbiamo notato una associazione". L’equipe di Cahill ha analizzato i dati del questionario alimentare e le conseguenze sulla salute da 16 anni su 26.902 operatori sanitari di sesso maschile di età compresa tra i 45 e gli 82 anni. Gli uomini che hanno saltato la colazione avevano un rischio maggiore del 27 % di patologie coronariche rispetto agli uomini che hanno regolarmente mangiato il primo pasto. L'aumento del rischio non è eccezionalmente elevato. Ma dal momento che l'attacco di cuore è la più comune causa di morte e di malattia, Cahill ha specificato che se tutti abbiamo consumato la prima colazione regolarmente allora potrebbe significare un impatto positivo sulla salute pubblica. Durante la ricerca, 1.572 degli uomini aveva avuto un primo evento cardiaco come ad esempio un attacco di cuore. Cahill ha detto che l'associazione tra saltare la prima colazione e la malattia cardiache ha retto nel loro modello anche dopo aver considerato il fatto che gli uomini che hanno dichiarato di non mangiare la prima colazione sono stati anche più propensi a fumare, bere e ad essere meno attivi fisicamente rispetto a quelli che ha fatto mangiare la pasto del mattino. Nel sonno, il corpo entra in una modalità di protezione attraverso il rilascio di insulina e colesterolo e aumentando la pressione sanguigna. Se il digiuno non è rotto al mattino, potrebbe, nel corso degli anni, mettere a dura prova il corpo e portare potenzialmente a malattie cardiache. I ricercatori hanno precisato che "Non sappiamo se è il momento o il contenuto della colazione che è importante. Probabilmente entrambi," ha dichiarato Andrew Odegaard, un ricercatore dell'Università del Minnesota che ha studiato un legame tra il saltare la prima colazione e i problemi di salute come l'obesità e la pressione alta. "In generale, le persone che fanno colazione tendono a mangiare una dieta più sana", ha aggiunto. Cahill, che è anche un dietista, sostiene la raccomandazione della Guida alimentare del Canada che invita a fare colazione ogni giorno, circostanza che, peraltro, non è presente nella versione americana. Il ricercatore predilige una tazza di cereali integrali per la prima colazione con noci tritate e frutta con i tipi di latte e yogurt variabili.

lunedì 22 luglio 2013

FONSAI è la punta dell’iceberg del mercato assicurativo. Nel 2003 denunciammo il sistema di alterazione delle riserve alla Procura di Lecce

FONSAI è la punta dell’iceberg del mercato assicurativo. Nel 2003 denunciammo il sistema di alterazione delle riserve alla Procura di Lecce, ma l’inchiesta fu sorprendentemente archiviata. Lo “Sportello dei Diritti” a gran voce: “Si riapra l’indagine!” a tutela degli assicurati - consumatori Il caso FONDIARIA SAI, come il “vaso di pandora” potrebbe scoperchiare molte pentole stranamente sigillate nel corso degli ultimi anni e far riaffiorare quanto denunciato dal 2003 nell’intero settore R.C.Auto alla Procura della Repubblica di Lecce da Giovanni D’Agata, all’epoca funzionario-ispettore sinistri appena licenziato dalla società di servizi liquidativi RASSERVICE S.c.p.A. proprio per aver denunciato fatti analoghi, oggi presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” e ritornato sul posto di lavoro dopo una travagliata vicenda processuale che era giunta sino alla Corte di Cassazione. Si perché il sistema descritto per l’alterazione delle cosiddette “riserve” in un articolo del quotidiano economico “Il Sole 24ore” di venerdì 19 luglio scorso dall’eloquente titolo “Così Fonsai truccava le riserve”, fa accapponare la pelle non solo per il contenuto della notizia stessa e dei metodi riportati, ma soprattutto se messo a confronto con quanto denunciato in un dettagliatissimo esposto – denuncia alla Procura della Repubblica di Lecce cui scaturì l’indagine rubricata con il numero di registro di notizie di reato 1266/03 e che inspiegabilmente, dopo ben tre richieste di archiviazione da parte dell’allora sostituto procuratore dott. Imerio Tramis, e altrettante opposizioni da parte dello scrivente difeso dall’avvocato Luigi Rella del Foro di Lecce, fu archiviato e rimase senza alcun seguito. La vicenda, purtroppo, fu forse sottovalutata perché vista come una “classica” bega tra colleghi, ma l’esposto-denuncia in questione che alleghiamo per opportuna conoscenza dei media e della cittadinanza, riportava fedelmente e senza alcuna possibilità di dubbio fatti che esulavano totalmente dal semplice rapporto di lavoro e cosa in realtà accadeva nell’ispettorato sinistri di Lecce della RASSERVICE e cosa sarebbe potuto accadere se i meccanismi smascherati fossero stati replicati su tutte le strutture liquidative nazionali con effetti a danno della regolarità del mercato assicurativo e conseguenze pregiudizievoli sulle tariffe e sui premi per gli assicurati-consumatori. Il tutto nel silenzio delle associazioni dei consumatori nazionali e con la sola piccola, ma autorevole, cassa di risonanza dello “Sportello dei Diritti” presso l’ente provincia di Lecce il cui assessorato era stato delegato all’ex magistrato Carlo Madaro che aveva provveduto a segnalare anche all’ISVAP (all’epoca organismo di vigilanza sulle assicurazioni) con un autonomo esposto amministrativo queste gravi irregolarità, ma senza ottenere alcuna risposta, neanche un timido accenno. Oggi, l’inchiesta su FONDIARIA – SAI ci dà completamente ragione e svela alla generalità del pubblico quanto era stato già ampiamente denunciato ormai dieci anni or sono e che era stato riportato solo da alcuni media anche a carattere nazionale. L’indagine su FONSAI, quindi, ci obbliga a chiedere all’attuale procuratore capo della Repubblica di Lecce di riesumare quel fascicolo di cui all’R.G.N.R. 1266/03 ingiustificatamente archiviato per verificare puntualmente se quanto denunciato corrisponda a specifici reati, anche di natura associativa, e le eventuali ripercussioni sul settore delle assicurazioni con particolare riferimento agli effetti sui premi assicurativi e quindi sui consumatori.

Defibrillatori obbligatori per le società amatoriali che praticano sport

Defibrillatori obbligatori per le società amatoriali che praticano sport. Giro di vite nelle attività non agonistiche, studenti e anziani compresi in termini di controlli medici per chi fa attività motoria a livello non agonistico Sport amatoriale più sicuro. I defibrillatori saranno obbligatori per le società oltre gli esami medici necessari per gli uomini fino a 55 anni e le donne fino ai 65. In vigore il dm che disciplina le linee guida per i “salvavita”per le società amatoriali, che dovranno dotarsi di defibrillatori automatici. Lo prevede il decreto del ministero della Salute pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 169/13. L’adozione prevista dal’articolo 7 comma 11 del decreto salute e sviluppo del 2012 indica gli adempimenti necessari per i soggetti non tesserati alle federazioni sportive nazionali, alle discipline associate, agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni, che praticano attività amatoriale ovvero non regolamentata da organismi sportivi e non occasionale, che devono sottoporsi a controlli medici periodici secondo indicazioni precise. Gli atleti, senza evidenti patologie e fattori di rischio, potranno essere visitati da un qualunque medico abilitato alla professione e il certificato avrà valenza biennale. Mentre i soggetti che riportano almeno due delle seguenti condizioni (età superiore ai 55 anni per gli uomini e ai 65 per le donne, ipertensione arteriosa, elevata pressione arteriosa differenziale nell’anziano, l’essere fumatori, ipercolesteloremia, ipertrigliceridemia, glicemia alterata a digiuno o ridotta tolleranza ai carboidrati o diabete di tipo II compensato, obesità addominale, familiarità per patologie cardiovascolari, altri fattori di rischio a giudizio del medico) dovranno essere visitati necessariamente da un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta o un medico dello sport, che dovranno effettuale un elettrocardiogramma a riposo e eventualmente altri esami necessario secondo il giudizio clinico. Il certificato dovrà essere rinnovato ogni anno;i soggetti con patologie croniche conclamate diagnosticate dovranno ricorrere a un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta, un medico dello sport o allo specialista di branca, che effettuerà esami e consulenze specifiche e rilascerà a proprio giudizio un certificato annuale o a valenza anche inferiore all’anno. Il certificato andrà esibito all’atto di iscrizione o di avvio delle attività all’incaricato della struttura o del luogo dove si svolge l’attività. Non sono invece tenuti all’obbligo della certificazione le persone che svolgono attività amatoriale occasionale o saltuario, chi la svolge in forma autonoma e al di fuori di contesti organizzati, i praticanti di alcune attività con ridotto impegno cardiovascolare, come le bocce (escluse le bocce in volo), biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro, ginnastica per anziani, “gruppi cammino”, e chi pratica attività ricreative come ad esempio il ballo. Gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dalle scuole nell’ambito delle attività parascolastiche, i partecipanti ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale e le persone che svolgono attività organizzate dal Coni o da società affiliate alle Federazioni o agli Enti di promozione sportiva che non siano considerati atleti agonisti devono sottoporsi a un controllo medico annuale effettuato da un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta o un medico dello sport. La visita dovrà prevedere la misurazione della pressione arteriosa e un elettrocardiogramma a riposo. Regole più stringenti sono previste per chi partecipa ad attività ad elevato impegno cardiovascolare come manifestazioni podistiche oltre i 20 km o le gran fondo di ciclismo, nuoto o sci: in questo caso verranno effettuati accertamenti supplementari. Le società sportive dilettantistiche e quelle sportive professionistiche dovranno dotarsi di defibrillatori semiautomatici. Sono escluse le società dilettantistiche che svolgono attività a ridotto impegno cardiocircolatorio. Le società dilettantistiche hanno trenta mesi di tempo per adeguarsi, quelle professionistiche sei. Gli oneri sono a carico delle società, ma queste possono associarsi se operano nello stesso impianto sportivo, oppure possono accordarsi con i gestori degli impianti perché siano questi a farsene carico. Per Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, l’adozione obbligatoria di un defibrillatore a portata di mano può salvare la vita. Ed ora nececessaria una legge dello Stato che sancisca l’obbligatorietà di corsi autorizzati di primo intervento riconosciuti a livello nazionale e la presenza di dispositivi di defibrillazione nei luoghi aperti al pubblico che senza alcun dubbio limiterà i decessi conseguenti ad arresto cardiaco e contribuirà a ridurre il gap tra il Nostro Paese e gli altri stati industrializzati dove da anni sono state approntate stabili strategie per garantire il pronto intervento nei luoghi della vita quotidiana.

Multe seriali annullate all'automobilista che entra nella ztl per accompagnare la madre malata

Il giudice di pace annulla i verbali notificati in serie al proprietario dell’autovettura che era transitato più volte nella ztl per accompagnare la madre malata sprovvisto di autorizzazione. Con un solo ricorso annullati stop a 46 verbali È rilevante ai fini dell’invalidità dell’accertamento lo stato di necessità dimostrato al conducente del veicolo per le patologie della stretta congiunta Con la sentenza 250/13, pubblicata dal Giudice di Pace di Padova sono stati annullati i verbali notificati in serie al proprietario dell’autovettura che aveva transitato sprovvisto di autorizzazione nella ztl per accompagnare la madre malata. Per il giudice onorario la patologia di cui è affetta la stretta congiunta del trasgressore gli consente di ottenere l’annullamento di ben quarantasei verbali opposizioni con una sola opposizione. Tutte multe contestate dalla locale polizia municipale per la violazione dell’articolo 7, comma 14, del codice della strada. Ma l’automobilista presenta un unico ricorso corredandolo della documentazione medica da cui si evince che la madre è affetta da una patologia che non le consente di compiere tragitti a piedi, e da questo assunto scaturisce la necessità di trasportarla in auto nelle immediate vicinanze dall’abitazione. Peraltro, nel periodo in cui viene sanzionato a raffica, la conducente accompagna la madre dal padre ricoverato presso un centro di assistenza: per il giudice si evince uno stato di necessità tale da “scriminare” il trasgressore, stante anche la «buona fede» di costei. Nel caso in questione, peraltro, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, risulta giuridicamente assai rilevante che nonostante l’eccezione dell’amministrazione comunale di Padova dell’impossibilità di impugnare con una sola opposizione ex articolo 22 della legge 689/81 tutti i verbali contestatile, il giudice abbia applicato i principi dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità in materia che ha ritenuto più volte ammissibile la proposizione di un’unica opposizione da parte dell’ingiunto contro una molteplicità di atti irrogativi di sanzioni amministrative per violazioni della stessa disposizioni di legge.

domenica 21 luglio 2013

Primo caso di febbre del Nilo occidentale del 2013 in UE segnalato in Attica, Grecia

Primo caso di febbre del Nilo occidentale del 2013 in UE segnalato in Attica, Grecia Continua l’attività informativa dello “Sportello dei Diritti”, circa la diffusione di patologie o di possibili epidemie, per coadiuvare gli enti preposti in una costante opera di prevenzione, a seguito della raccolta dei dati ufficiali che provengono dalle stesse istituzioni del settore. In tal senso, anche quest’anno, come nelle precedenti estati, spiega Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, procediamo con le segnalazioni dei contagi della temibile febbre del Nilo occidentale che nel 2012 colpì anche alcune aree della Nostra penisola. Il virus appare con febbre moderata dopo pochi giorni di incubazione, che dura da tre a sei giorni, accompagnata da malessere generalizzato, anoressia, nausea, mal di testa, dolore oculare, mal di schiena, mialgie (dolori muscolari), tosse, eruzioni cutanee, diarrea, linfadenopatia e difficoltà a respirare. In meno del 15% dei casi, negli anziani e nei soggetti più deboli, possono aggiungersi gravi complicazioni neurologiche quali meningite o encefalite. I sintomi più comunemente riportati da pazienti ospedalizzati con la forma più severa dell'infezione erano: febbre elevata, forte mal di testa, debolezza e paralisi flaccida, sintomi gastrointestinali, modificazione dello stato mentale con disorientamento, tremori, convulsioni e coma. Più rari casi di eruzione maculopapulare o morbilliforme sul tronco, collo, braccia o gambe; atassia, segni extrapiramidali come anormalità dei nervi cranici, mielite, neurite ottica, poliraciculite, attacchi epilettiformi. Generalmente il malato si rimette spontaneamente in 3-5 giorni, ma la malattia può essere anche mortale in individui anziani e immunodepressi. Il primo caso umano del virus in Unione Europea è stato segnalato proprio questa settimana. In Grecia nella regione dell’Attica, più precisamente nella parte orientale della regione, il 16 luglio è stato denunciato un probabile caso dalle autorità sanitarie locali. Nel 2012, la stessa regione aveva registrato il più alto numero di casi in Grecia (45 di 161) anche se ha anche una popolazione di oltre 4 milioni di persone. Ricordiamo, inoltre, che tra i paesi dell'UE che avevano segnalato casi di febbre del Nilo occidentale nel 2012 erano stati Bulgaria, Croazia (membro dell’Unione dal 1° luglio 2013), Ungheria, Romania e la Nostra Italia. Il rapporto settimanale dell'ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) sulla febbre del Nilo occidentale comprende mappe della attuale distribuzione geografica dei casi autoctoni umani nell'UE e nei paesi limitrofi, tra cui un confronto con i dati precedenti, un aggiornamento della situazione e una tabella del numero di casi di paese e zona. Esso è pubblicato sul sito dell’istituzione europea ogni venerdì pomeriggio. L'obiettivo del progetto è quello di informare le autorità competenti responsabili per la sicurezza della salute delle aree nelle quali risulta possibile il contagio del virus del Nilo occidentale agli esseri umani al fine di sostenere la loro attuazione della normativa sulla sicurezza della salute. Secondo la normativa europea sulla sicurezza della salute, gli Stati membri devono avviare misure di controllo per assicurare la sicurezza in caso di casi di febbre del Nilo occidentale. Una sfida importante per l'attuazione del presente regolamento è la raccolta tempestiva di informazioni accurate sulle zone colpite.

Due Harrier della marina statunitense costretti a sganciare bombe disarmate sulla Grande Barriera Corallina Patrimonio dell'Umanità

Due Harrier della marina statunitense costretti a sganciare bombe disarmate sulla Grande Barriera Corallina Patrimonio dell'Umanità. Come nella guerra dei Balcani quando l’Adriatico divenne la pattumiera degli aerei Nato. Il disarmo globale l’unica soluzione È vero, come associazione da anni promuoviamo la cultura della Pace e non possiamo fare finta di nulla dopo aver appreso una drammatica notizia dall’Australia, dove due aerei del corpo dei marines statunitense sono stati costretti ad abbandonare quattro bombe disarmate sulla Grande Barriera Corallina, patrimonio dell’Unesco. Perché non ne ha parlato ancora nessuno in Europa, forse perché siamo ancora succubi dello strapotere in termini di egemonia sul cosiddetto mondo occidentalizzato da parte degli USA, ma martedì scorso ciascuno di questi due AV-8B Harrier ha sganciato due bombe di 226 kg caduna sulla scogliera sottomarina di interesse storico culturale mondiale per disfarsene a causa di un’emergenza durante una missione di addestramento. In pratica, per quanto è stato diffuso ufficialmente, i due jet erano rimasti a corto di carburante durante la missione e non potevano atterrare senza rischi per l’incolumità dei piloti e la salvaguardia dei due aerei, con le bombe che stavano trasportando. L'incidente è avvenuto davanti a Talisman Saber, durante un’operazione di addestramento biennale tra forze australiane e statunitensi nei pressi della base di Shoalwater Bay, sulla costa centrale del Queensland. Le bombe sganciate non sono state fatte esplodere, ha riferito un funzionario Usa, specificando che la possibilità che questi ordigni possano esplodere è "estremamente remota". La Marine Park Authority australiana della Grande Barriera Corallina ha avuto solo da poco notizia dell'incidente, ma ha fatto sapere che avrebbe esaminato il problema. Quindi, l'entità di eventuali danni ambientali non è ancora stata chiarita. La Grande Barriera Corallina è la più grande barriera corallina del mondo. Ed è la patria di più di 3000 sistemi di barriere individuali e centinaia di isole tropicali. La US Navy sta pianificando di recuperare le bombe, che sono stati sganciate in un "canale profondo" a circa 16 miglia nautiche a sud di Bell Cay, al largo della costa del Capricorno tra Mackay e Rockhampton. Tale episodio, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ricorda quanto accaduto in Adriatico nel periodo della guerra dei Balcani quando centinaia di bombe sono state sganciate in mare da aerei che rientravano dalle missioni incuranti dei danni futuri che avrebbero potuto causare agli ecosistemi. Non si può, quindi, restare ancora una volta in silenzio di fronte ad uno scempio del genere e sottacere a queste continue violazioni dell’ambiente che ci circonda da parte di chi ritiene di poter fare tutto ciò che vuole a proprio piacimento.

Lecce deve diventare zona franca urbana o zona a burocrazia zero purché si sbrighi

Lecce deve diventare zona franca urbana o zona a burocrazia zero purché si sbrighi. Dalla prossima settimana una serie d’iniziative dello “Sportello dei Diritti” per far attivare Comune e Regione La scorsa settimana si è assistito ad un grottesco scaricabarile mediatico tra enti circa una questione per la quale è un’intera classe politica che dovrebbe fare ammenda e trarne le dovute conclusioni: il rischio per Lecce città di perdere la possibilità di divenire Zona Franca Urbana (ZFU) ma anche Zona a Burocrazia Zero (ZBZ). In un momento di così grave crisi per un’intera collettività, è gravissimo che amministratori seppur di diverso colore politico si affannino a scaricare le colpe tra di loro ed invece non si attivino sin da subito. Perché i cittadini e le imprese, per l’incapacità dimostrata sinora dai nostri rappresentanti locali, rischiano di perdere la possibilità di beneficiare delle opportunità sia dell’interessante meccanismo di esenzione da imposte sui redditi, Irap, imposta sugli immobili, nonché l‘esonero dai contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente previsto dall’art. 37 del Governo Monti come ZFU, ma allo stesso tempo delle semplificazioni di carattere amministrativo per le imprese ribadite dal Decreto legge "Del Fare" del 21 giugno 2013 (peraltro già consentite dal Decreto Monti) come ZBZ. Per tali ragioni, Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, comunica che l’associazione avvierà una serie d’iniziative tra e per la cittadinanza, per far si che s’interrompa l’inattività da parte del Comune di Lecce e Regione Puglia, a partire da una raccolta firme anche per protestare contro l’inerzia dei due enti. Con un’interessante excursus del perché è importante che non si perda più tempo ad attuare queste due possibilità concesse sia dal governo Monti che da quello in carica, gli avvocati Maurizio Villani e Iolanda Pansardi spiegano in dettaglio alla cittadinanza il perché non bisogna più perdere tempo e quali vantaggi rischiano di perdere i leccesi se non verranno utilizzate le già scarse risorse disponibili. Lecce deve diventare zona franca urbana o zona a burocrazia zero purché si sbrighi Lecce sta perdendo la possibilità, sino al 2013, di diventare non solo zona franca urbana ma anche zona a burocrazia zero e di conseguenza, sfruttarne i relativi vantaggi. E’ questo l’assurdo in un momento di grave crisi economica per colpa di una classe politica nostrana disattenta ed incapace di cogliere le opportunità previste sia dal Decreto Crescita del Governo Monti n. 179/2012 e sia dal Decreto Del Fare del Governo Letta n. 69/2013. Cerchiamo di capirne il perché mettendo a fuoco quelle che sono le caratteristiche predominanti delle due agevolazioni e soprattutto l’evoluzione storica legislativa. Innanzitutto le Zone Franche Urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro-imprese. Obiettivo prioritario delle ZFU è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri e aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse. Le zone a burocrazia zero, invece, dovrebbero puntare a uno snellimento burocratico nello start up di un’impresa. Con l’art. 37 del D.l. n. 179/2012 del 18 Ottobre 2012 l’esecutivo Monti, per dare un aiuto all’economia di alcune zone d’Italia, ha inteso riprogrammare le agevolazioni fiscali e contributive previste dalla legge 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) - prevedendo a favore delle piccole e micro imprese localizzate nelle Regioni Convergenza (tutte meridionali) l'esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, dell’Irap, dell’IMU e dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente. Tra le “zone franche” anche Lecce. Il 19 marzo 2013, il Ministro dello Sviluppo Economico ha approvato il Decreto attuativo delle Zone Franche Urbane, pari complessivamente a 44, individuate tutte nelle Regioni meridionali: Campania, Puglia (Andria, Lecce, Taranto, Barletta, Foggia, Lucera, Manduria, Manfredonia, Molfetta, San Severo, Santeramo in Colle), Calabria, Sicilia più (in via sperimentale) i Comuni della Provincia Sarda di Carbonia-Iglesias. I finanziamenti provengono dalla riprogrammazione dei fondi europei del periodo 2007-2013, dalle risorse regionali e dalla terza fase della riprogrammazione del Piano di azione e coesione che ha già liberato a fine 2012 ben 377 milioni di euro”. Per rendere attuativo il decreto è necessario individuare al più presto le risorse necessarie a finanziare i bandi. La dotazione complessiva è di 377 milioni e per questo, è stato presentato un ordine del giorno bipartisan che sarà discusso nella prossima seduta del consiglio regionale e che impegna il presidente del Consiglio e la Giunta ad avviare tutte le iniziative presso il Consiglio dei Ministri ed il Parlamento per ottenere i fondi necessari a rendere operative le Zone franche pugliesi. Nel frattempo, però, Il Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, con Decreto firmato lo scorso 10 aprile 2013 e in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ha definito le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive per le imprese delle Zone Franche Urbane (ZFU) del Mezzogiorno. Nello specifico, si tratta di 33 Zone delle regioni Calabria, Campania e Sicilia, e in via sperimentale, del territorio dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias nell’ambito dei programmi di sviluppo e degli interventi compresi nell’accordo di programma “Piano Sulcis”. (Puglia non compresa). Nel provvedimento, emanato in attuazione dell’articolo 37 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Decreto Sviluppo-bis), sono riportate le disposizioni attuative cui seguiranno i bandi per la presentazione delle domande. Le risorse disponibili, come si legge nel comunicato dello scorso 5 luglio del Ministero dello Sviluppo Economico, ammontano a complessive 303 milioni di euro, integrabili con fondi messi a disposizione dalle Regioni interessate. Per i comuni della provincia di Carbonia-Iglesias la dotazione finanziaria sarà individuata con un successivo decreto interministeriale, a valere sulle somme destinate all’attuazione del “Piano Sulcis”. E’ bene ricordare che le Zone Franche Urbane (ZFU), introdotte con la Finanziaria 2007 (Legge n. 296 del 2006), ispirandosi al modello attuato in Francia, intendevano favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno. Furono individuate 22 città, di cui in Puglia, Lecce, insieme a Taranto ed Andria. Ma operativamente le Z.F.U. non sono mai “decollate”, forse per esigenze di gettito, nonostante l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, in data 28 ottobre 2009, arrivò ad avviare anche la stipula dei "contratti di zona franca urbana" con i sindaci dei Comuni interessati (impegni reciproci assunti dal Ministero e dai singoli Comuni per accompagnare e rafforzare l'azione di sviluppo nelle ZFU). Successivamente, con l’art. 43 del D.L. n. 78/2010, le suddette ZFU sono state integralmente sostituite dalle c.d. Zone a Burocrazia Zero (ZBZ), estese a tutta l’Italia con l’ultima legge di stabilità (Legge n. 183/2011), in via sperimentale fino al 31 dicembre 2013. Diciamo subito che, dal punto di vista fiscale, le misure recate dalla legge di stabilità per il 2012 (art. 14) non incidono su agevolazioni che sostanzialmente erano già state riconvertite con l'art. 43, lett. b), del D.L. n. 78/2010, provvedimento che aveva sostituito l'interessante meccanismo di esenzione da IRES, IRAP, ICI, e di esonero dai contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, con un sistema basato sulla concessione di contributi diretti da parte del Sindaco. Di conseguenza, per le nuove iniziative produttive costituite dopo il 1° gennaio 2012, i vantaggi erano i seguenti: - i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, sono adottati in via esclusiva dall’ufficio locale del Governo che vi provvede, ove occorrente, previe apposite conferenze di servizi; - i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz’altro positivamente adottati entro 30 giorni dall’avvio del procedimento, se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine; - per i procedimenti amministrativi avviati d’ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, le amministrazioni che li promuovono o li istruiscono trasmettono all’ufficio locale del Governo i dati ed i documenti occorrenti per l’adozione dei relativi provvedimenti conclusivi; - sul fronte fiscale, ove la zona a burocrazia zero (ZBZ) nelle regioni meridionali coincida con una delle zone franche urbane (ZFU), come Lecce (delibera CIPE dell’08 maggio 2009 n. 14), le risorse finanziarie per queste ultime sono utilizzate dal Sindaco per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero. Ecco che l’iter procedimentale appena delineato si blocca e grazie al decreto Monti si torna a parlare di zone franche urbane di cui all’art. 37 e di zone a burocrazia zero di cui all’art. 37 bis, laddove l’art. 43 del D.L. n. 78/2010 è espressamente abrogato e le zone a burocrazia zero non prevedono più l'accentramento di tutte le competenze in capo al commissario di Governo, limitandosi a una semplificazione più blanda. Tra gli incentivi di cui all’art. 37 del D.l. n. 179/2012 il provvedimento Economia-Sviluppo, definisce condizioni, limiti, modalità e termini di decorrenza delle agevolazioni che saranno concesse secondo il regime "de minimis" (tetto di 200mila euro in tre anni). È prevista l'esenzione dalle imposte sui redditi fino a 100mila euro per periodo di imposta, limite maggiorabile di 5mila euro per ogni nuovo dipendente assunto a tempo indeterminato. Lo sgravio è discendente, dal 100 al 20%, nell'arco di quattordici periodi di imposta. Esenzione anche dall'Irap, in questo caso quinquennale, con esclusione di plusvalenze e minusvalenze dal calcolo del valore della produzione netta. Per i soli immobili collocati nella Zfu e utilizzati per l'esercizio dell'attività economica, scatta inoltre l'esenzione dall'Imu per quattro anni. Infine, per i soli contratti a tempo indeterminato oppure che non abbiano una durata inferiore a 12 mesi (e a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nell’area della Zfu), è riconosciuto l’esonero al versamento dei contributi, anche in questo caso a scalare, dal 100 al 20%, fino a quattordici anni. Tra i requisiti di cui all’art. 37 del decreto Crescita, le agevolazioni sono aperte a micro e piccole imprese, già costituite alla data di presentazione dell'istanza, che svolgono la loro attività all'interno della Zfu e che non sono in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali. Tra le condizioni per l'accesso agli incentivi, le aziende «che svolgono attività non sedentaria» dovranno dimostrare di avere almeno un lavoratore dipendente a tempo pieno o parziale che svolga nella sede collocata nella Zfu la totalità delle ore e di realizzarvi non meno del 25% del volume d'affari complessivo. Per fruire delle agevolazioni, le aziende in possesso dei requisiti dovranno presentare domanda nei termini che saranno indicati nel bando del ministero dello Sviluppo economico. Nella domanda, dovranno essere indicati l'importo delle agevolazioni richiesto e le eventuali. Con l’art. 37 bis del D.l. n. 179/2012, di poi, al comma 3 viene evidenziato che: << Per le aree ubicate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ove la zona a burocrazia zero coincida con una delle zone franche urbane di cui all'articolo 37, le risorse previste per tali zone franche urbane, ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero>>. Nell'ambito delle attività di sperimentazione - di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35- le zone a burocrazia zero sono una specie di zone franche del territorio nazionale le quali sono state espressamente sottratte (addirittura) a ogni «vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico» (così l'articolo 37-bis, comma 1, del decreto legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012) e dove il rilascio delle autorizzazioni sono sostituite da una comunicazione che l'interessato deposita presso lo sportello unico delle attività produttive. Di recente, la disposizione sulle “Zone a burocrazia zero” è rafforzata dal “Decreto Del Fare” del Governo Letta (Dl 69/2013, articolo 37) laddove ai fini di facilitare la vita burocratica delle imprese propone un rilancio delle forme di semplificazione già adottate di cui all’art. 37 bis accennato sopra. Si tratta, in particolare, degli accordi sperimentali tra amministrazioni e associazioni di categoria, lanciati dal Governo Monti con l'articolo 12 del decreto legge n. 5 del 2012, convertito in legge n. 35 del 2012 (e poi ulteriormente disciplinate con successiva decretazione d'urgenza), ossia di convenzioni che possono essere stipulate tra le amministrazioni competenti e le varie associazioni di categoria «per attivare percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative e attività delle imprese sul territorio, in ambiti delimitati e a partecipazione volontaria, anche mediante deroghe alle procedure e ai termini per l'esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti, dandone preventiva e adeguata informazione pubblica» (così la definizione offerta dall'art. 12, comma 1, del decreto legge n. 5 del 2012). L’obiettivo rimane quello di semplificazione basato, sostanzialmente, su accordi che derogano alle vigenti norme di legge, al fine di snellire le procedure e abbreviare i termini dei procedimenti amministrativi; ciò, alla condizione che venga data adeguata pubblicità preventiva (informazione pubblica) a tali iniziative. Le novità adesso inserite dal decreto legge "del fare" consistono nell'estensione a tutto il territorio nazionale di queste sperimentazioni, anche al fine di creare un sistema integrato di dati telematici tra le varie amministrazioni coinvolte e di permetterne un monitoraggio complessivo che è affidato al ministero dello sviluppo economico. Uniche limitazioni alle attività economiche così liberalizzate, la tutela dei «principi fondamentali della Costituzione, la sicurezza, la libertà e la dignità dell'uomo e l'utilità sociale, il rispetto della salute, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale» (così adesso dispone il comma 5 dell'art. 37 qui in esame). CONCLUSIONI Alla luce di quanto detto a proposito del decreto attuativo delle ZFU del 19 marzo 2013 che prevede anche Lecce ma il cui progetto è ancora in fase di completamento e definizione, ed a proposito del decreto del 10 aprile 2013 già andato a buon fine che ha definito le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza per accedere ai contributi per l’attuazione delle 33 zone franche urbane, tra cui Lecce non compare, è il caso che la classe politica leccese si attivi nel più breve tempo possibile per beneficiare delle opportunità sia dell’interessante meccanismo di esenzione da imposte sui redditi, Irap, imposta sugli immobili nonché l‘esonero dai contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente previsto dall’art. 37 del Governo Monti come zfu, ma allo stesso tempo delle semplificazioni di carattere amministrativo per le imprese ribadite dal Decreto legge "Del Fare" del 21 giugno 2013 (peraltro già consentite dal Decreto Monti) come zbz e, pertanto, si sbrighi ad utilizzare le limitate risorse ancora disponibili.

sabato 20 luglio 2013

Lista di Schindler Offro su Ebay

Lista di Schindler Offro su Ebay. Per lo storico documento, la base d'asta sarà di tre milioni di dollari Un elenco apparentemente originale dei nomi dei dipendenti ebrei dell'industriale tedesco 'Oskar Schindler del 1945 è offerto presso il sito di aste online eBay. Il documento di 14 pagine, in cui 801 prigionieri ebrei sono elencati, tra gli altri, nome, data di nascita e professione, è stato (2.300.000 €) impostato il Venerdì con un prezzo di partenza di tre milioni di dollari da un'agenzia di aste della California sulla piattaforma. Gli 801 nomi contenuti nelle 14 pagine datate 18 aprile 1945 sono quelli dei lavoratori che l'industriale tedesco Oskar Schindler fece lavorare nella sua fabbrica, salvandoli così dai campi di sterminio nazisti, come raccontato nel famoso film di Steven Spielberg. Gary Zimet, uno degli attuali proprietari, ha sottolineato quanto sia raro che un documento di tale importanza venga messo sul mercato. "Questa lista originale rarissima di Schindler è l'unica mai offerta sul mercato", riporta Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” . Due si trovano, secondo quanto riferito dai media statunitensi nel Memoriale dell'Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme, il terzo in un memoriale degli Stati Uniti. La data di creazione della lista è il 18 Aprile 1945. In qualità di fornitore della lista, Gary Zimet e Eric Gazin, hanno dichiarato al "New York Post", che sperano di raggiungere un prezzo di vendita per l'importo di cinque milioni di dollari. Inoltre è stato scelto Ebay perché ha in tutto il mondo più di 100 milioni di membri, e questa è una cosa che riguarda tutti.

Ipertensione arteriosa linee guida europee 2013

Ipertensione arteriosa linee guida europee 2013. Le raccomandazioni congiunte di European Society of Hypertension (ESH) ed European Society of Cardiology (ESC). Quanti soffrono di pressione alta ai giorni nostri? Una serie di fattori, tra cui quelli genetici, ma anche alimentazione, sedentarietà e stress sono caratteristiche comuni di una condizione patologica che interessa fino al 45% della popolazione europea. La diffusione a macchia d’olio dell’ipertensione arteriosa è preoccupante perché ci rende più fragili: riduce silenziosamente, giorno dopo giorno, l’efficienza del sistema cardiovascolare; altera la normale funzionalità di organi preziosi come il rene; causa disabilità e morte per infarto o ictus. Visto il ruolo centrale di questa patologia sugli aspetti sanitari ed economici della nostra società, rileva Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è opportuno portare all’attenzione del pubblico la rilevante circostanza che l’European Society of Hypertension (ESH) e l’European Society of Cardiology (ESC) hanno di recente aggiornato le precedenti linee guida del 2007 sull’ipertensione arteriosa semplificando alcuni aspetti di gestione terapeutica. La raccomandazione principale è quella di ottenere una riduzione della pressione arteriosa sistolica sotto i 140 mmHg e della pressione diastolica sotto i 90 mmHg in tutti i pazienti ipertesi, anche in quelli definibili ad alto rischio: in questi pazienti, infatti, una riduzione più marcata (sotto i 130 mmHg) comporta un aumento di eventi coronarici. Nel documento integrale si trovano tabelle e algoritmi con tutte le indicazioni su quando e come iniziare il trattamento. In buona sostanza viene promosso un trattamento su misura senza indicare una gerarchia d’uso per classi farmacologiche. È però il medico a dover scegliere il farmaco più adatto alle condizioni cliniche di ciascun paziente ricordando, ad esempio, la maggior utilità di ACE inibitori o sartani in pazienti con microalbuminuria o danno renale, così come la controindicazione per i betabloccanti negli asmatici. Altri aspetti fondamentali da non scordare sono il controllo della pressione arteriosa a casa, oltre a quello ambulatoriale, così come la necessità di una valutazione globale dei fattori di rischio cardiovascolari per ogni soggetto trovato iperteso. Per tutti, ipertesi e sani, le linee guida ricordano l’importanza vitale dei corretti stili di vita: • ridurre il consumo complessivo di sale a 5-6 g al giorno; • moderare l’assunzione di alcol; • controllare il peso corporeo; • praticare esercizio fisico regolarmente; • smettere di fumare.

Allergia e anafilassi. Uno neonato su 10 soffre di allergia alimentare

Allergia e anafilassi. Uno neonato su 10 soffre di allergia alimentare. Ma le industrie alimentari e il settore della ristorazione ancora non si adeguano . Una recente ricerca australiana ha stabilito che un neonato su dieci soffre di allergia alimentare o anafilassi. A causa di questo preoccupante fenomeno, è stato consigliato ai produttori di generi alimentari e al settore della ristorazione di avere maggiore considerazione per il crescente tasso di allergie alimentari. Nonostante un numero così alto di nuovi nati affetti da tali patologie, infatti, non è stata riconosciuta adeguata importanza al fenomeno da parte delle industrie alimentari, sottolinea Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”. Se è vero, infatti, che molte allergie alimentari vengono superate con la crescita, è anche pur inconfutabile che circa il 6 % dei bambini e circa il 2 % degli adulti continuano a vivere con una allergia alimentare, con tassi previsti al rialzo nel prossimo futuro. Se però in Australia in occasione della 20esima conferenza denominata “HACCP Food Safety Conference” che si terrà nel mese di agosto, si parla già di un programma tra operatori sanitari, industrie alimentari e settore della ristorazione al fine di fornire fonti affidabili e coerenti di informazioni per tutte le etichette degli ingredienti ed istruire il personale di servizio ristoro per comprendere meglio i processi quando si prepara il cibo per evitare il contatto con le persone affette da una allergia alimentare, in Europa ed più specificatamente in Italia non si nota questa sensibilità. Tali assunti partono dall’obiettiva circostanza che nonostante normative sempre più stringenti per tutelare gli “allergici”, attualmente esiste un gap a livello di formazione necessaria per istruire le aziende su come limitare il rischio per il consumatore. Anche perché è naturale che il rischio non può essere completamente rimosso, ma può essere ridotto. Ciò vale particolarmente nel Nostro Paese dove l’industria alimentare che ha un ruolo ancora rilevante per il Nostro sviluppo, al di là degli annunci e di alcuni importanti esempi, non ha ancora fatto passi concreti e definitivi per venire incontro ai soggetti allergici, specialmente i bambini anche in considerazione del fatto che i prodotti “anallergici” occupano spazi di nicchia e sono ancora troppo costosi. Le allergie più comuni tra i bambini comprendono quelle del latte e suoi derivati e quelle derivanti dalle uova crude, ma vi sono allergie che spesso persistono anche in età adulta e sono le più gravi. Secondo le statistiche i ricoveri ospedalieri per gravi reazioni allergiche sono raddoppiate negli ultimi dieci anni in Australia, Stati Uniti e Regno Unito.

L’immigrato ha diritto al “ricongiungimento familiare” anche se non ha presentato l’apposita istanza

L’immigrato ha diritto al “ricongiungimento familiare” anche se non ha presentato l’apposita istanza. Per la Corte Costituzionale basta il possesso dei requisiti previsti dalla legge e la presenza dei parenti in Italia. Ciò anche se lo straniero è stato condannato. Una decisione importante che rende giustizia a migliaia di cittadini immigrati che sono in attesa di un permesso di soggiorno in Italia anche se hanno parenti regolarmente soggiornanti. Ad evidenziarlo Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” nel commentare la sentenza della Corte Costituzionale numero 202 del 18 luglio 2013, che ha stabilito il principio secondo cui il ricongiungimento familiare può essere concesso all’immigrato anche se non ha presentato l’apposita istanza e non ha quindi azionato il suo diritto. Con la statuizione della Consulta, per ottenere il ricongiungimento, basterà d’ora innanzi e senza possibili interpretazioni divergenti da parte delle Questure d’Italia, il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Con la sentenza in questione, infatti, i giudici di Palazzo della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato». I giudici costituzionali, hanno ritenuto parzialmente fondato il ricorso presentato dal Tar del Veneto nell'ambito di un procedimento amministrativo inerente il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno di un extracomunitario condannato in via non definitiva per reati in materia di stupefacenti. Lo straniero, aveva evidenziato il tribunale amministrativo nel sollevare la questione, si trovava nelle condizioni «sostanziali» per ottenere sia il ricongiungimento familiare (padre di tre figli minori residenti in Italia, di cui uno di madre italiana e gli altri di una straniera con permesso di lungo soggiorno), sia il permesso CE di lungo soggiorno, ma non ne aveva mai fatto richiesta e per questo non rientrava nelle «eccezioni» previste dal legislatore per i casi di «automatismo ostativo» del rinnovo del permesso di soggiorno. La Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità parziale della norma, ha sostenuto esplicitamente che «la disposizione impugnata delimita l'ambito di applicazione della tutela rafforzata, che permette di superare l'automatismo solo nei confronti dei soggetti che hanno fatto ingresso nel territorio in virtù di un formale provvedimento di ricongiungimento familiare, determinando così una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso». Una «simile restrizione - si legge in motivazione - viola l'articolo 3 della Costituzione e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli articolo 29, 30 e 31 della Costituzione e che la Repubblica è vincolata a sostenere, anche con specifiche agevolazioni e provvidenze, in base alle suddette previsioni costituzionali». Ed ancora, «la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su un'attenta ponderazione della pericolosità concreta e attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati».

giovedì 18 luglio 2013

Spiagge e mare. Alcuni giocattoli per bambini contengono pericoli a volte letali

Spiagge e mare. Alcuni giocattoli per bambini contengono pericoli a volte letali. Salvagenti gonfiabili e altri gadget dell'estate non forniscono sempre la sicurezza prevista Siamo in piena estate e la corsa alle spiagge da parte delle famiglie è già in fase avanzata. Nonostante le ristrettezze determinate dalla crisi, molti riescono ancora a permettersi qualche ora di meritato mare con i propri piccoli al seguito ed i relativi gadget e giocattoli da spiaggia che, complice un mercato di grandi proporzioni e una produzione che viene perlopiù dall’Asia, hanno prezzi ridottissimi e accessibili a tante famiglie. Si tratta in particolari di dispositivi gonfiabili di tutti i colori, molti che rappresentano animali o personaggi dei cartoons, che consentono al bimbo di andare in acqua in modo sicuro, almeno in teoria. Si diceva almeno in apparenza perché, secondo uno studio tedesco, molti di questi gadget non rispettano gli standard minimi di sicurezza. Questo è vero perché una ricerca su sei modelli di gonfiabili progettati per neonati e bambini molto piccoli ha stabilito che dovrebbero essere vietati a titolo definitivo. Non solo perché i piccoli rischiano di cadere dai loro posti per un improvviso ribaltamento, ma anche perché alcuni di questi potrebbero contenere una concentrazione di sostanze tossiche superiore alla tollerabilità specie per soggetti, quali i bambini, altamente esposti e vulnerabili. Alcune di queste sostanze, peraltro, potrebbe influenzare gli ormoni o sarebbero addirittura “semplicemente” cancerogene. Molti produttori cercano di convincere i genitori che questi “equipaggiamenti” da mare sarebbero sicuri, ma in realtà, essi non offrono sempre la sicurezza reclamata. Secondo gli esperti tedeschi gli operatori del settore non dovrebbero offrire questi prodotti gonfiabili come innocui giocattoli. Non da ultimo, è opportuno sottolineare che i gadgets incriminati contengono molte parti minuscole che i bambini potrebbero ingoiare e tra questi, per esempio, i famigerati tappi di plastica o gomma sintetica. Un sito tedesco, è arrivato a fornire addirittura una serie di raccomandazioni rivolte ai genitori che Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ritiene utile portare all’attenzione nel momento clou dell’estate per evitare acquisti incauti: 1- Acquistare in vetrina negozio piuttosto che dai fornitori o da ambulanti. 2- Controllare se il prodotto non riporti un odore forte perché potrebbe significare che rilascia nell’ambiente sostanze chimiche. 3- Evitare oggetti con spigoli vivi o parti che possono causare danni ai bambini. 4- Controllare se la confezione o il foglio illustrativo non contiene troppi errori. 5- Verificare se il documento è scritto nella lingua del paese di origine. 6- Non acquistare prodotti che sono composti da parti piccole che potrebbero essere ingoiate dai bambini. 7 - Verificare se il prodotto è il marchio europeo “CE”. Anche se questa etichetta non è comunque una garanzia di sicurezza. Spetta, infatti, ai produttori provare che i loro prodotti sono conformi agli standard e apporre in caso positivo un’autentica marcatura europea.