martedì 30 novembre 2010

Facebook, Myspace e gli altri social network per il reclutamento negli studi clinici? Perché No?


Condotta in Puglia la prima indagine epidemiologica in Italia utilizzando tale sistema.
Pare che non sia una novità nei Paesi anglosassoni quella di reclutare pazienti per gli studi clinici tramite Facebook, Myspace e gli altri social network.
E’ nota, infatti, la difficoltà sino a qualche tempo or sono per il mondo della ricerca, di rivolgersi a una platea il più ampia possibile al fine di selezionare nel minor tempo utile e con costi ridotti i potenziali soggetti da sottoporre a ricerche scientifiche di vario tipo.
Un articolo pubblicato nell’autunno di un anno fa su Newsweek dal titolo “Pharma's Facebook”, segnava di fatto la svolta in materia da parte della comunità scientifica che faceva il punto su un nuovo sistema di reclutamento basato sui mezzi di comunicazione di massa ed in particolare sui social network a maggiore diffusione
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti”, l’importanza di avere una sempre maggiore platea di potenziali pazienti per favorire la ricerca scientifica anche nel Nostro Paese, impone una svolta in tal senso anche in Italia.
Infatti, riteniamo che sia giunto il tempo che la nuova “tendenza” scientifica si diffonda anche nella Nostra comunità scientifica anche se pare stia iniziando ad attecchire, se risulta che in Puglia sia stata già effettuata nel maggio 2009 la prima indagine epidemiologica su base volontaria, studiando un campione di cittadini per stimare la frequenza di portatori sani di Neisseria meningitidis tra gli studenti iscritti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Bari di età compresa tra i 20 e i 24 anni.Accanto alle tradizionali modalità di arruolamento (lezione frontale, il passaparola, l’ambulatorio dedicato, l’evento ADE – Attività Didattica Elettiva) – per quanto viene riferito dallo studio in questione -, è stato introdotto l’utilizzo del social network Facebook.
Dalla ricerca risulta infatti rilevabile come l’uso del web ed in particolare del noto social network abbia permesso di raggiungere la popolazione “bersaglio” con una rapidità certamente superiore ai tradizionali metodi di reclutamento con ciò comportando anche un risparmio in termini di costi anche se quello selezionato – sempre secondo quanto riscontrabile dall’indagine - è soltanto un campione di convenienza, certamente non rappresentativo della popolazione generale. Concordiamo con la circostanza che ancora oggi nel Nostro Paese la maggioranza di coloro che si iscrivono ad un social network possano avere caratteristiche diverse dalla popolazione generale (ad esempio, un livello d'istruzione e un reddito più elevati). E questo è particolarmente vero in Italia, dove Internet, e di conseguenza i social network, vengono utilizzati più frequentemente da particolari categorie di persone.

lunedì 29 novembre 2010

Cassazione rigorosa con gli evasori senza sconti: anche le attività illegali sono soggette a tassazione.


Anche la Suprema Corte si dimostra intransigente sull'evasione fiscale. Secondo la sentenza n. 42160 del 29 novembre 2010 della terza sezione penale risponde di evasione fiscale chi non dichiara i profitti derivanti dallo sfruttamento della prostituzione e rischiano una condanna per evasione fiscale i soggetti che non dichiarano i proventi derivanti dall’attività illecita di sfruttamento della prostituzione.
I giudici di piazza Cavour, hanno respinto il ricorso di una donna condannata per non aver dichiarato, nel 2003, quasi 200mila euro di profitti derivanti dallo sfruttamento della prostituzione sottolineando che “ I redditi così ottenuti sono comunque imponibili “. La tesi difensiva addotta dall’’imputata si basava sul fatto che i redditi provenienti da attività illecita non potevano essere ritenuti assoggettabili a tassazione.
I giudici nel respingere il ricorso, hanno invece ribadito che “secondo l'interpretazione autentica fornita dall'art.14 comma quarto della legge n.537 del 1993 con riguardo al testo unico sulle imposte dei redditi n.917 del 1986, tra le categorie dei redditi tassabili classificate nell'art.6, comma primo, devono intendersi ricompresi anche i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo. Risponde dunque del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 chi non dichiara i proventi derivanti dall’attività illecita di sfruttamento della prostituzione, al fine di evadere le imposte sui redditi.”.
Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” la rigorosa sentenza della cassazione penale ha infatti posto le basi per un giro di vite nei confronti dell’evasione fiscale senza sconti per nessuno.

sabato 27 novembre 2010

Il Comune è responsabile per la caduta da motociclo in centro storico.


I danni conseguenti agli incidenti determinati dalla negligenza dell’Amministrazione che ha la proprietà ovvero la disponibilità e il godimento del bene demaniale, in particolare di strada pubblica, allorché si verifichino nel custodire la res e/o nel fornire agli utenti adeguate segnalazioni devono essere risarciti dal Comune di competenza, in quanto sullo stesso gravano gli obblighi del custode.
Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” segnala con soddisfazione il principio espresso con una recentissima pronuncia (Cass. Civ. Sez. III, sentenza 15/10/2010, n. 21328), che ha ribadito e precisato alcuni principi già enunciati in una sentenza di solo alcuni mesi prima (Cass. Civ. Sez. III, sentenza 22 aprile 2010, n. 9456).
La giurisprudenza si è occupata in numerosissime occasioni delle richieste di risarcimento per danni avanzate da cittadini nei confronti dell’Ente; si è parlato, in proposito, di responsabilità della P.A. per l’esistenza di “trabocchetti” o “insidie nascoste”.
In particolare nella circostanza la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un uomo che aveva chiesto di essere risarcito dal Comune per i danni subiti a causa di un incidente occorsogli cadendo dalla sua vespa, in una strada antica, sdrucciolevole e caratterizzata da numerosi avvallamenti, situata nel centro storico di un piccolo Comune siciliano.
I giudici di piazza Cavour hanno quindi accolto il ricorso sostenendo che le motivazioni muovono dalla constatazione che, in base all’art. 2051 del codice civile, incombe sul Comune sia l’obbligo di custodire e fare manutenzione sulla strada che quello di ridurre, in ogni modo possibile, il pericolo di incidenti, attraverso la segnaletica che evidenzi le condizioni della strada e/o mediante l’impiego di agenti di polizia municipale, come prescritto da diversi articoli del codice della strada.
Secondo quanto stabilisce l’art. 2051 c.c., del resto, spetta al Comune l’onere di provare che il danno è stato provocato dal caso fortuito ovvero, in tutto o in parte, dalla condotta colposa dell’utente.

Cassazione: è lecito fare telefonate private brevi dal cellulare aziendale


La Cassazione torna ancora una volta sull'argomento stabilendo i paletti in cui il dipendente può utilizzare il cellulare aziendale per chiamate private.
La sentenza è la n. 41709/2010 è della Corte di Cassazione Sesta sezione penale che indica le modalità di utilizzo del telefono in ufficio.
Prima regola: poche chiamate e, soprattutto, brevi!
Gli ermellini hanno precisato con la sentenza che sono ammessi anche sms ad amici sempre che siano numericamente contenuti e diluiti nel tempo.
Il caso è scaturito da un procedimento che vedeva imputato per peculato e abuso d'ufficio il dirigente di un Ufficio tecnico comunale.
L'imputato aveva utilizzato il cellulare aziendale per contatti privati ed aveva inviato 276 sms ad amici e fatto 625 telefonate con un costo complessivo di 75 euro.
Questa spesa però era "diluita" in due anni e per questo l'accusa di peculato era stata archiviata dal gup.
Insomma le telefonate erano state poche e anche i costi molto modesti.
La Suprema Corte ha inoltre sottolineato che non sono stati configurati quindi "atti appropriativi di valore economico sufficiente per la configurabilita' del delitto di peculato".
Il tecnico comunale aveva anche navigato in intenet ma il Comune aveva un abbonamento a costo fisso per la navigazione sul web.
La sentenza della Cassazione secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” dimostra l’esistenza nell’ordinamento italiano dei rimedi e delle tutele alle vessazioni che molti lavoratori continuano a subire ed invita a non demordere chi si ritiene vittima d’ingiustizie ed illegittimità sul luogo di lavoro.

venerdì 26 novembre 2010

Adesione al sit – in di lunedì 29 novembre innanzi alla Prefettura di Lecce in favore degli stabilizzati della Provincia


Saremo al fianco dei lavoratori stabilizzati della Provincia di Lecce per difendere il diritto al posto di lavoro.
Esordisce così Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” sul sit – in promosso dai lavoratori dell’Ente Provincia di Lecce innanzi alla Prefettura previsto per lunedì 29 novembre alle ore 11.30.
Condividiamo, infatti, la necessità che le istituzioni e chi rappresenta il Governo sul Territorio siano sensibilizzati da una vicenda a dir poco nebulosa e che rischia di gettare nel tragico mondo della disoccupazione le famiglie di lavoratori che solo fino a qualche giorno fa avevano la certezza di un reddito stabile.
Non possiamo, invero, non sostenere le ragioni di chi, incolpevole, si trova invischiato nella bagarre politica a seguito dell’avvicendamento tra amministrazione di centrosinistra e centrodestra perché il diritto al lavoro non può e non deve avere alcun colore politico.

giovedì 25 novembre 2010

ZTL:nulle le multe se non vi è un minimo di tolleranza temporale.



Zone a Traffico Limitato e varchi elettronici. Annullabili le multe se non vi è un minimo di tolleranza temporale

Prendendo spunto ancora una volta dalle molteplici segnalazioni di cittadini multati, Giovanni D’Agata Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, continua a parlare del problema delle sanzioni elevati nelle Zone a Traffico Limitato per superamento del varco elettronico negli orari di limitazione del traffico.
Un gran numero di automobilisti, infatti, sarebbe stato sanzionato a distanza di uno - due minuti dall’orario previsto per l’apertura e per la chiusura alla circolazione degli autoveicoli tutti però convinti che, in realtà, il passaggio sarebbe stato effettuato immediatamente prima e solo per il tempo utile per effettuare delle incombenze rapide. Ciò a Lecce dove il sistema è stato installato da poco tempo così come in molti centri del Paese.
Da un semplice esame dei verbali che ci sono stati posti all’attenzione si può, infatti, evincere come l’ora di accesso indicata negli stessi non presenterebbe la possibilità di uno scarto temporale minimo relativo alla possibilità di errore nella misurazione del tempo, così come avviene in materia di strumenti di rilevazione elettronica delle infrazioni, per esempio in tema di autovelox dove è prevista la tolleranza massima del 5 % rispetto alla velocità misurata per possibili errori del macchinario di rilevazione.
Nei casi in questione, come detto, l’infrazione sarebbe stata rilevata solo pochi minuti dopo la limitazione al traffico rendendo così possibile un errore scusabile per la differente sincronizzazione degli orologi.
In materia è già intervenuta qualche sentenza di merito tra tutte quella del 30 gennaio 2007, n. 9927 del Giudice di Pace Bologna, Sezione 4 Civile che ha sostanzialmente censurato il comportamento della p.a. che non abbia previsto un limite di tolleranza cronologico minimo per l’elevazione delle infrazioni presso i varchi elettronici.
Secondo il principio ivi contenuto, stante l'impossibilità di sincronizzare l'orologio dello strumento di rilevazione con quello di tutti gli utenti della strada, la mancanza nel sistema di accertamento elettronico delle infrazioni, di un dispositivo che consenta al conducente di conoscere se questo sia o meno in funzione, rende incolpevole l'errore di coloro che, privi di permesso, entrano nella Ztl, pressappoco negli orari di attivazione o di disattivazione, in quanto l'erronea convinzione che il sistema elettronico non sia ancora o non sia più acceso, è pienamente giustificata dalla minima differenza che esiste tra l'orario del timer dell'apparecchiatura di rilevamento, poi riportato sul verbale d'accertamento e quello indicato dall'orologio su cui il cittadino fa affidamento.

mercoledì 24 novembre 2010

Aumenti RCA: la cessione del credito un business a vantaggio di pochi


La cessione del credito da risarcimento danni: un nuovo businness che provoca l’aumento delle tariffe R.C.A.
Si sta verificando sempre più spesso, nelle nostre province ed in particolare quella brindisina, che persone che abbiano subito un sinistro stradale e vogliano rivendicare il relativo risarcimento cedano il proprio credito verso le Compagnie di assicurazioni ad autoriparatori ed aloro volta ad avvocati, ricevendosi in cambio la riparazione dell’auto senza sostenere costi.
Tale fenomeno, pur fondando su di un istituto giuridico legittimo, quale la cessione di credito, di fatto sta provocando una proliferazione del costo dei sinistri e conseguentemente una elevazione del costo delle tariffe R.C. auto. Molto spesso accade, infatti, che il sinistro “ceduto”, per effetto di una artificiosa lievitazione dei costi di riparazione ed altri marchingegni analoghi, giunga a costare alla Compagnia molto di più di quanto effettivamente non sia l’ammontare del danno reale; l’intervento di soggetti privi di scrupoli, che speculano sullo stato di bisogno dei danneggiati a spese delle Compagnie, provoca questo fenomeno che però, alla fine, ricade sempre sui consumatori, che si vedono aumentare il costo delle tariffe R.C. auto.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, auspica che le Compagnie di assicurazione vigilino affinché siano individuate le situazioni irregolari e si combatta la degenerazione del fenomeno, contenendo, nell’interesse dei consumatori, i risarcimenti e le tariffe di assicurazione.

lunedì 22 novembre 2010

Nulle le multe in ZTL se la segnaletica non è sufficientemente visibile.


Le Multe a raffica per il controllo elettronico dei varchi di accesso alle Zone a Traffico Limitato, devono essere annullate se la segnaletica non è visibile o non rispetta i parametri dimensionali e di collocazione previste dal regolamento attuativo del Codice della Strada.
Quanti automobilisti si sono visti notificare multe per violazione al codice della strada per aver transitato nella zona a traffico limitato di un qualsiasi comune senza essersi accorti della presenza del varco e della segnaletica ivi apposta?
Accade, infatti, che decine e decine di automobilisti, questa volta transitati nella Z.T.L. del centro storico di Lecce in orario serale, ci hanno giurato non solo di non essere a conoscenza dell’area di circolazione ridotta nelle ore notturne, ma soprattutto di non aver visto il segnale all’ingresso delle stesse.
E così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” si è recato di sera presso alcuni di tali varchi ed ha potuto verificare che in effetti gli stessi non sarebbero inequivocabilmente visibili e che la segnaletica non rispetterebbe tutte le prescrizioni previste agli articoli 79 e 80 del Regolamento d’attuazione del C.d.S. con ciò rendendo pressoché non colposo il comportamento degli automobilisti in transito dal punto di vista della personale responsabilità per la presunta violazione del Codice della Strada con ciò rendendo legittimo il ricorso per l’annullamento di tutte le multe così rilevate.
Anche perché non si può attribuire la responsabilità di un’infrazione se non si dimostra la colpa dell’automobilista che in questo caso sarebbe esclusa per non aver visto la segnaletica non conforme alle prescrizioni di legge o regolamentari.
In materia di visibilità dei segnali e della necessità della preventiva individuabilità dei mezzi di rilevamento elettronico sono già intervenute delle sentenze che rifacendosi ai dettami del legislatore prima e alla predominante Giurisprudenza di legittimità, hanno ripetutamente posto l’evidenza sulla necessità di dare informativa agli utenti della strada circa l’esistenza dei divieti e l’utilizzo degli strumenti di rilevamento elettronico, informativa di carattere preventivo che consista in una divulgazione con i requisiti della congruità, dell’idoneità e della correttezza.
Secondo il legislatore e per la giurisprudenza maggioritaria, la segnaletica deve essere sempre idonea per dimensionamento, visibilità, leggibilità e posizionamento e che la violazione di uno solo di questi parametri può provocare l’illegittimità dell’accertamento secondo prudente apprezzamento.
I cartelli verticali dei segnali posti all’ingresso dei varchi della ZTL sarebbero sottodimensionati, in particolare di dimensioni “55x55 ” cm invece che “75x125” e “75x75” cm cioè “non facilmente visibile in modo particolare nelle strade poco illuminate quale quelle in esame antistanti il centro storico“.
E non solo l’art. 79 del Reg. d’attuazione del C.d.S. prevede espressamente che “Sullo stesso sostegno non devono essere posti segnali con caratteristiche di illuminazione o di rifrangenza differenti fra loro” mentre è sufficiente visionare la fotografia allegata scattata in ora notturna che la segnaletica oltrechè non essere sufficientemente visibile è anche diversamente rifrangente.

Punibile senza sconti chi picchia il partner davanti ai figli


Anche assistere all’aggressione configura il reato di maltrattamenti non solo nei confronti della vittima, ma anche verso i figli minori
Lo ha stabilito la Quinta Sezione penale della Cassazione nella sentenza 41142 del 22 novembre 2010. che di fatto ha respinto il ricorso di un uomo condannato per maltrattamenti ai danni della moglie e dei figli. L’imputato aveva proposto appello avverso la condanna nella parte relativa ai maltrattamenti sui figli poichè, i piccoli non erano stati direttamente vittime ma si sarebbero limitati ad assistere alle violenza dell’uomo. Gli ermellini rigettando la tesi dell’imputato, hanno ricordato che “ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 del codice penale “ lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi.”
Per Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” la decisione in esame è importante anche perchè l’ambiente domestico è un luogo privilegiato di dinamiche di violenza nei confronti delle donne e dei minori. Da ora in poi il partner violento e persecutorio non sarà più libero di comportarsi come gli pare verso la famiglia e non utilizzerà i minori quale elemento di ulteriore controllo sulla vita dell’altro partner.

domenica 21 novembre 2010

Lettera aperta al Presidente della Repubblica per rappresentare la questione dei (circa quaranta)stabilizzati dell'ente Provincia di Lecce


Ecc. mo
Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
00187 Roma


Oggetto: Richiesta intervento

Ecc. mo Presidente,
Le scrivo la presente per verificare la possibilità di un Suo intervento data la Sua nota sensibilità in tema di diritto al lavoro e per rappresentarLe la drammatica situazione in cui stanno inesorabilmente per precipitare una quarantina di famiglie di lavoratori dell’Ente Provincia di Lecce, assunti con contratto a tempo indeterminato dopo una complessa e concertata procedura di stabilizzazione, poiché la gran parte degli stessi aveva lavorato per anni sotto la “scure” del precariato “pubblico” con contratti a tempo determinato o co.co.co./co.co.pro.
Nel 2008, infatti, l’allora giunta di centrosinistra guidata dal sen. Giovanni Pellegrino aveva dimostrato grande sensibilità istituzionale e competenza amministrativa varando, come detto, un piano di stabilizzazione a seguito di un procedimento passato al vaglio delle organizzazioni sindacali che, peraltro, non fu impugnato dall’opposizione di centrodestra né risulta essere stato impugnato nei termini perentori stabiliti dalla legge da alcun altro soggetto neanche al T.A.R. di Lecce.
Duole rappresentarLe che a distanza di oltre due anni, con un’azione che sembra più una prevaricazione o una malcelata vendetta dettata dal passaggio di consegne tra amministrazione di centrosinistra a quella di centrodestra guidata dal nuovo Presidente dott. Antonio Gabellone, all’epoca capo dell’opposizione, in data 16 novembre è stata approvata dalla nuova giunta che siede a Palazzo dei Celestini da oltre un anno e mezzo, una delibera che annulla il precedente piano di stabilizzazione, con ciò compromettendo il conquistato diritto dei dipendenti precari dell’ente pubblico in questione, al posto di lavoro (pubblico) a tempo indeterminato.
La vicenda appare ancor più tragica e fumosa se si riflette sulla circostanza che l’atto deliberativo sarebbe stato emesso senza alcuna preventiva comunicazione né ai lavoratori né alle organizzazioni sindacali presenti, ma sulla sola base di pareri interpretativi (non vincolanti) assolutamente restrittivi della normativa vigente ed in un clima di totale incertezza ed indeterminatezza fondato sul “si dice…”, “…forse sarete licenziati…”, in fin dei conti determinando una nebbiosa prospettiva espulsiva che appare oggi, quanto mai, come l’avvio inesorabile al recesso dal mondo del lavoro di una quarantina di lavoratori, molti ultraquarantenni, che saranno quindi condannati alla disoccupazione dopo aver lavorato per anni nell’ente pubblico.
La verificabile assenza di scrupolosità dimostrata dall’attuale governo provinciale nel vagliare le possibili soluzioni per salvaguardare il diritto al lavoro dei propri dipendenti ed al contrario la volontà recessiva, sono certo non possono non essere stimolo per un intervento da parte di chi rappresenta costituzionalmente la Repubblica ed è garante della Nostra Carta nel sacrale rispetto delle prerogative da questa dettate.
Pertanto, Eccellentissimo Presidente, per evitare che al dramma della procedura seguita dall’Ente Provincia attraverso il passaggio dell’invio di apposite note ai lavoratori che sono state notificate immediatamente dopo la delibera in oggetto, seguano le inevitabili tragedie familiari di lavoratori (pubblici) disoccupati, non posso non reiterarLe l’appello ad un intervento anche solo persuasivo prima che sia troppo tardi e che al licenziamento a sua volta segua il necessario ricorso alla Giustizia, troppo spesso lenta, macchinosa nel suo inesorabile corso ed a volte tardiva.
Con ossequio.
Lecce, 22 novembre 2010
Giovanni D’AGATA

sabato 20 novembre 2010

Cassazione: lecito spiare i dipendenti


E’ lecito spiare i dipendenti. Lo ha stabilito la Cassazione Sezione lavoro confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa, inflitto al direttore di una catena di supermercati Standa di Messina, sorpreso con controlli occulti a prelevare merce dagli scaffali con gli scontrini riciclati. Per la Suprema Corte, "sono legittimi i controlli posti in essere dai dipendenti di agenzie investigative che operano" spiando "come normali clienti e non esercitano alcun potere di vigilanza e controllo". Inoltre fanno sottolineato che "le norme poste dagli art. 2 e 3 della legge 300 del 1970 a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitando la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda, non escludono il potere dell'imprenditore di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ciò indipendentemente dalle modalità del controllo che può legittimamente avvenire anche occultamente senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all'art. 4 della legge del 1970 riferito esclusivamente all'uso di apparecchiature per il controllo a distanza".
Oltre modo la Cassazione si allinea al giudizio di merito che aveva fatto notare come "la posizione di prestigio del dipendente (direttore del supermercato)) all'interno della struttura commerciale, avrebbe dovuto costituire esempio di correttezza e professionalità per i dipendenti a lui gerarchicamente subordinati".
Quanto accaduto, secondo Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, pur non essendo collegato ad un'espressa previsione di legge, indica con ogni probabilità che quell'impresa, come tante altre, non ha esposto con chiarezza un proprio regolamento e non ha dunque chiarito cosa i dipendenti possono attendersi e su cosa possono contare sul posto di lavoro. Si può ricorrere alla legge ma talvolta basta ricorrere al buon senso. E questo non vale solo per il dipendente licenziato dopo essere stato spiato... e comunque "la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non esasperata dall'uso di tecnologie o di altro" che violano la privacy del dipendente stesso”.
LE DECISIONI E I PARERI DEL GARANTE
Sì all'uso delle impronte digitali dei lavoratori ma con precise garanzie
Internet: proporzionalità nei controlli effettuati dal datore di lavoro
Illecito spiare il contenuto della navigazione in internet del dipendente
Esami di tossicodipendenza sul posto di lavoro
No all’uso delle impronte digitali per controllare le presenze dei lavoratori

venerdì 19 novembre 2010

Scuola e vigilanza sul minore. I comuni devono garantire un accompagnatore sullo scuolabus poiché l'autista non basta.


Il comune è obbligato a risarcire il minore picchiato da un altro studente sul pulmino della scuola poiché uno scolaro non può considerarsi maturo se minore e per questo se crea un danno ad un altro su uno scuolabus il Comune dovrà risarcire il danno.
Lo ha deciso con la sentenza n. 23464/2010 la terza sezione civile della Corte di Cassazione in virtù del principio secondo cui in mancanza di un "obbligo normativo del comune di disporre la vigilanza" sul servizio di bus che accompagna gli alunni a scuola, l'ente e' comunque tenuto a "garantire la presenza di un accompagnatore, oltre all'autista, nella gestione del servizio di trasporto scolastico" e ciò in considerazione dell'eta' dei trasportati. I comuni quindi devono adottare tutte le "cautele occrrenti per tutelare la sicurezza dei minori". L'episodio riguarda un’aggressione ad un bambino determinata da parte di un coetaneo di 10 anni che gli aveva causato la lesione di quattro vertebre, con esiti invalidanti permanenti del 18 %, raggiunto da colpi ripetuti alla schiena con la cartella scolastico dopo una lite sul posto da occupare.
Già in primo grado il Tribunale di Perugia aveva condannato il comune a risarcire il danno con la somma di 123 mila euro, somma poi aumentata dalla Corte d'appello perugina.
L’importante principio enunciato in sentenza, secondo Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, pur non essendo collegato ad un'espressa previsione di legge, discende dal principio secondo il quale grava sulla P.A. che svolga un servizio di trasporto riservato agli alunni sussiste in capo all’ente l’obbligo generale di apportare tutte le cautele necessarie a garantire la sicurezza dei minori.

giovedì 18 novembre 2010

In difesa dei circa 40 lavoratori precari stabilizzati che rischiano di perdere il posto di lavoro da parte dell’Ente Provincia di Lecce.


In difesa dei circa 40 lavoratori precari stabilizzati che rischiano di perdere il posto di lavoro da parte dell’Ente Provincia di Lecce. Gravissimo atto della giunta di centrodestra.

Nel 2008 circa quaranta lavoratori dell’Ente Provincia di Lecce, impiegati alcuni da parecchi anni con contratti a tempo determinato o co.co.co., venivano stabilizzati a seguito di una complessa procedura che rendeva finalmente fisso e certo un diritto dei cittadini costituzionalmente garantito: il diritto al posto di lavoro a tempo indeterminato.
L’allora giunta di centrosinistra guidata dal sen. Giovanni Pellegrino aveva dimostrato grande sensibilità istituzionale e competenza amministrativa vagliando un piano di stabilizzazione concertato con le organizzazioni sindacali che, peraltro, non fu impugnato dall’opposizione di centrodestra.
Con un’azione che sembra più una prevaricazione o una vendetta dettata dal passaggio di consegne tra amministrazione di centrosinistra a quella di centrodestra guidata da Antonio Gabellone, all’epoca capo dell’opposizione, in data 16 novembre è stata approvata dalla nuova giunta pdiellina una delibera che annulla il precedente piano di stabilizzazione con ciò compromettendo il conquistato diritto dei dipendenti precari al posto di lavoro a tempo indeterminato.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, cogliendo l’appello dei lavoratori che in data odierna si sono visti notificare le lettere che preavvisano il licenziamento, chiede un deciso passo indietro alla giunta Gabellone al fine di poter avviare ogni iniziativa utile affinché si continui a garantire il diritto al posto di lavoro nei confronti di queste moderne vittime dell’alternanza politica perché il diritto al posto di lavoro dovrebbe essere considerato “sacro”.

mercoledì 17 novembre 2010

Equitalia: illegittima la cartella esattoriale senza indicazione della data in cui il ruolo diventerà esecutivo.


Illegittima la cartella esattoriale senza indicazione della data in cui il ruolo diventerà esecutivo.
Con la recente sentenza n. 22997 emessa dalla sezione tributaria civile e depositata il 12 novembre 2010 la Suprema Corte, ha stabilito che è illegittima la cartella esattoriale senza l'indicazione precisa della data in cui diventerà esecutiva.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso di una società in liquidazione contro la sentenza con cui la ctr della Lombardia aveva dichiarato la validità di una cartella esattoriale priva della data in cui il ruolo diventava esecutivo.
La Cassazione con la decisione che Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale Tutela del Consumatore di “Italia dei Valori” e fondatore dello “Sportello dei Diritti” commenta, ha sentenziato il principio che è da individuarsi nell'art. 12 del d.p.r. n. 603/1973 (come modificato dal d. lgs. 46/1999) in cui viene stabilito che la cartella di pagamento deve contenere, tra le atre cose, la data in cui il ruolo diventa esecutivo.

lunedì 15 novembre 2010

Rc auto, proliferano le compagnie assicurative fantasma.



Rc auto, proliferano le compagnie assicurative fantasma. E per l’automobilista sono sorprese amare: le polizze stipulate con compagnie non autorizzate dall'Isvap non sono valide

L’aumento vertiginoso dei costi dei premi delle polizze R.C.Auto tenta più di un automobilista a guardarsi intorno alla ricerca delle soluzioni più vantaggiose per risparmiare qualche soldino e non di rado sta capitando che, il consumatore, stimolato da alcune offerte allettanti, si rivolga inconsapevolmente a sigle non autorizzate dall’ISVAP, l’Istituto di Vigilanza delle assicurazioni private.
Infatti, nel solo 2010, sono state segnalate dall’ente ben nove compagnie “fantasma” che stipulavano sul territorio nazionale polizze evidentemente fasulle.
Accade, peraltro, che sigle di compagnie operanti regolarmente in Italia e correttamente autorizzate, vengano distorte e per il cittadino sono guai, perché in caso di sinistro dovrà provvedere al risarcimento dei danni con i propri danari in quanto le polizze stipulate non hanno alcuna validità.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, invita quindi tutti gli automobilisti e proprietari di automobili a verificare sul sito internet dell’ISVAP al seguente link https://nsiv.isvap.it/Albi/Albi/defaultImprese.jsp?view=albi&viewSet=imprese la presenza della compagnia con la quale si è scelto di stipulare la propria polizza R.C.Auto nell’apposito albo delle imprese regolarmente registrate per evitare sorprese.
Di seguito le compagnie non autorizzate a emettere polizze Rc auto segnalate dall’Isvap nel 2010:
- Ala Assicurazioni, con sede legale e direzione in Austria (in Italia sede a Roma, via Settecamini, 106) diversa dall’Ala Assicurazioni S.p..A. società del gruppo SARA che è invece regolarmente registrata ed autorizzata con sede legale in Milano alla via Porro Lambertenghi 7;
- Aioi Motor and General Insurance Company of Europe Limited;
- Allianz Hungária Biztosító Részvénytársaság;
- Arisa Assurances S.A.;
- Fomo Assicurazioni;
- Generali Versicherung AG;
- Generali Belgium S.A.;
- HDI Direkt Versicherung AG che ha come intermediario Fin Planet s.p.a.;
- Insurance Company Euroins AD;

Mobbing: quando la Giustizia potrebbe alleviare il dolore e le sofferenze del lavoratore mobbizzato.


Mobbing: quando la Giustizia potrebbe alleviare il dolore e le sofferenze del lavoratore mobbizzato.
Il caso emblematico dell’ing. Elisabetta Ferrante

Dopo l’intensa vicenda personale di mobbing di Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, avevamo sentito e manifestato l’obbligo morale e civile della necessaria difesa dei più deboli, convinti che la Giustizia, quella terrena, un’utopia ormai per tanti, se ci si crede veramente, se si è testardi, prima o poi arriva se si continua a combattere, sino ad esperire ogni livello che il Nostro ordinamento nazionale e sovranazionale ci consente.
Giustizia che dopo un lungo corso durato circa dieci anni pareva arrivata a destinazione anche per l’ing. Elisabetta Ferrante, dipendente di una multinazionale che con una storica sentenza della Corte di Cassazione si era vista riconoscere le proprie ragioni dopo una tormentatissima, per non dire tragica, storia personale di nudo e crudo “mobbing” e di altrettante drammatiche battaglie nelle aule giudiziarie del nordovest del Paese.
Quasi mai, avevamo parlato, nonostante le decine, centinaia di denunce di singole tristi storie lavorative di vessazione e di violenza psicofisica che ci erano pervenute nel corso degli anni perché avevamo preferito agire nel silenzio dei tribunali che impone il rispetto del concetto stesso di Giustizia, ma la vicenda dell’ing. Ferrante non può non definirsi emblematica se non la si legge nell’ottica dell’ormai storica sentenza della Suprema Corte n. 22858 del 09.09.2008 che è stata persino oggetto di studio nella relazione tematica dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della stessa corte e che ha tracciato puntualmente i requisiti fattuali e di diritto affinché una condotta datoriale o del superiore gerarchico possa essere individuata come “mobbing” e quindi riconoscendone la sussistenza nei comportamenti subiti dalla lavoratrice ricorrente.
Una sentenza che sostanzialmente ha confermato, smentendo persino altre decisioni, che un fenomeno complesso che tanti lavoratori subivano, a volte in silenzio, a volte provando a rivolgersi alla Giustizia senza esito, che veniva chiamato con il termine anglosassone “mobbing” esisteva e poteva essere meritevole di tutela da parte delle corti italiane.
Ora, dopo che i giudici di piazza Cavour hanno cassato la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva rigettato le (ritenute poi) legittime istanze della funzionaria rinviando la causa alla contigua Corte d’Appello di Genova per esaminare l’intera vicenda alla luce dei principi stabiliti nella famosa decisione, l’ing. Ferrante è all’ultimo passo.
Ora, anzi dopodomani 17 novembre, manca poco ed abbiamo l’obbligo di continuare a credere nella Giustizia che potrà, anzi deve restituire congruo ristoro alle sofferenze e al dolore patito dalla lavoratrice e dai suoi cari.
Non possiamo, quindi, che auspicare una decisione esemplare anche in questo caso, affinché costituisca precedente persuasivo e da monito per tutti i datori di lavoro perché possano pensarci non una, ma cento volte prima di umiliare e vessare il proprio dipendente.

domenica 14 novembre 2010

Sicurezza sul lavoro.Per la Corte di Giustizia Europea per ogni cantiere in cui siano presenti più imprese è obbligatorio nominare un coordinatore in


Corte di Giustizia Europea. Sicurezza sul lavoro. In caso di presenza di più imprese in un cantiere è obbligatoria la designazione di un coordinatore per la sicurezza e che questi rediga un piano di sicurezza qualora esistano rischi particolari secondo il diritto dell’U.E. anche se non è richiesto il permesso di costruire


Con la sentenza nella causa C – 224/09 la Corte di Giustizia Europea colma un vuoto normativo presente nella normativa italiana, secondo Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, in un momento molto delicato nel quale la normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro viene messa in discussione da ipotetiche riforme in senso peggiorativo paventate dall’attuale governo.
Infatti, secondo la direttiva 24 giugno 1992, 92/57/CEE riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili stabilisce che, in ogni cantiere in cui siano presenti più imprese, il committente o il responsabile dei lavori designa un coordinatore per la sicurezza e la salute, il quale è incaricato dell’attuazione dei principi generali di prevenzione e di sicurezza per la tutela dei lavoratori. Essa prescrive altresì che il committente o il responsabile dei lavori controlli redigano un piano di sicurezza nel caso in cui si tratti di lavori che comportano rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tali lavori sono indicati in un elenco, non esaustivo, contenuto nella direttiva.
Purtroppo, in sede di recepimento della normativa europea la legge italiana aveva omesso di trasporre l’obbligo di designare tale coordinatore e di redigere un siffatto piano per tutti i lavori privati non soggetti a permesso di costruire.
Il caso di specie preso in esame dai giudici europei prende spunto da una richiesta del Tribunale di Bolzano relativamente al procedimento penale per violazione degli obblighi di sicurezza imposti dalla direttiva della proprietaria di un immobile che nel 2008 a seguito di un ispezione da parte degli ispettori del servizio di tutela del lavoro della Provincia autonoma di Bolzano che aveva appaltato un cantiere edile avente ad oggetto il rifacimento della copertura del tetto di una casa di abitazione ad un’altezza di circa 6-8 metri ed in particolare parapetto, l’autogrù e la manodopera erano forniti da tre imprese diverse.
Nella vicenda de quo, peraltro, il rilascio di un permesso di costruire non era richiesto ai sensi della legislazione italiana.
Il Tribunale italiano sollevava la questione in quanto riteneva non persuasive le deroghe che la legge nostrana aveva statuito in relazione all’obbligo di designare un coordinatore per la sicurezza, nella convinzione che il legislatore – nel supporre che un cantiere di lavori privati sia di modesta entità e dunque privo di rischi – non avrebbe considerato che anche lavori non soggetti a permesso di costruire potevano essere complessi e pericolosi e richiedere, di conseguenza, la nomina di un coordinatore per la sicurezza.
Con la decisione in discussione la Corte ricorda, in primo luogo, che la direttiva statuisce inequivocabilmente l’obbligo di nominare un coordinatore in materia di sicurezza e di salute per ogni cantiere in cui siano presenti più imprese, senza prevedere alcuna deroga a tale obbligo.
Pertanto, per qualsiasi cantiere in cui sono presenti più imprese al momento della progettazione o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori, permane per l’appaltatore l’obbligo di nominare un coordinatore in materia di sicurezza e di salute, indipendentemente dalla circostanza che i lavori siano soggetti o meno a permesso di costruire ovvero che tale cantiere comporti o meno rischi particolari.
La direttiva impedisce, quindi, la validità di una normativa nazionale che, nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale sono presenti più imprese, consenta di derogare all’obbligo (incombente al committente o al responsabile dei lavori) di nominare un coordinatore per la sicurezza e la salute al momento della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori.
In ultimo per quanto riguarda l’obbligo di redazione del piano di sicurezza e di salute, la direttiva autorizza gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, a derogare all’obbligo di redigerlo, tranne nel caso in cui si tratti di lavori che comportano rischi particolari quali quelli enumerati nella direttiva o di lavori per i quali è richiesta una notifica preliminare.
Ne consegue che, per qualsiasi cantiere i cui lavori comportino rischi particolari, quali quelli elencati nella direttiva, deve essere redatto, prima della sua apertura, un piano di sicurezza e di salute, essendo irrilevante a tale riguardo il numero d’imprese presenti nel cantiere stesso.
La direttiva osta, pertanto, ad una normativa nazionale che preveda l’obbligo per il coordinatore della realizzazione dell’opera di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese, e che non assuma come criterio a fondamento di tale obbligo i rischi particolari quali contemplati in detta direttiva.

sabato 13 novembre 2010

Targhe occultate per non pagare le multe ed i pedaggi autostradali


Molti pensano che sia una semplice furbata quella della clonazione, alterazione o occultamento delle targhe semplicemente per eludere i controlli da parte degli strumenti elettronici di rilevazioni delle infrazioni e fra questi autovelox, tutor, photored, varchi elettronici ed anche quelli delle autostrade attraverso il telepass ma, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” ha più volte tenuto a specificare che la fattispecie in questione è passibile di sanzione penali in quanto integra il reato di “falsità materiale commessa in certificati o autorizzazioni amministrative” di cui al combinato disposto degli artt. 100, comma XIV del Cds, e 477- 482 del codice penale.
Un fenomeno quello dell’alterazione o dell’occultamento della targa che pare stia prendendo piede se siamo letteralmente stupiti nel segnalare quello che gli agenti della Polizia di Stato presso l'aeroporto di Ciampino si sono trovati di fronte quando hanno controllato un carico proveniente dalla Cina nell’ambito di normali controlli destinati alla verifica della sicurezza delle merci.
Questa volta l’ennesima ”invenzione” di provenienza cinese scoperta dalla Polizia di frontiera riguardava una quantità di porta targhe ''taroccati'' ed importati in Italia, pare destinati al mercato dell'area di Napoli.
La merce sottoposta immediatamente a sequestro era abilmente confezionata in cartoni che contenevano due porta targhe ciascuno costituiti da un apposito marchingegno elettronico che collegato da un piccolo telecomando azionabile anche dall’interno dell’abitacolo dell’autovettura consente di calare una copertura in tessuto plastico nero in grado di occultare interamente i dati della targa.
Peraltro, i plichi sequestrati sono dotati persino di un vero e proprio kit d’istruzioni per l’uso e per il montaggio con tutti gli accessori necessari per il collegamento ed il funzionamento e tra questi centralina, spinotti e cavi.
Se tali congegni una volta immessi sul mercato avrebbero potuto essere utilizzati per eludere gli strumenti elettronici di rilevazioni delle infrazioni sulle strade ed autostrade, o il telepass, vi è comunque il rischio concreto che gli stessi potrebbero essere destinati anche per la commissione di fatti ben più gravi e quindi reati.
E’ opportuno, quindi, che proseguano le indagini - che pare siano già in corso - non solo per fermarne l’importazione ma anche per la verifica dell’eventuale presenza di porta targa “taroccati” già immessi sul mercato del territorio nazionale.

venerdì 12 novembre 2010

I genitori dell’alunno disabile privato del sostegno hanno diritto al danno esistenziale.


La scuola non può ridurre le ore per carenza di organico.
Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” interviene in materia del diritto all’educazione ed all’istruzione per i disabili per segnalare la recentissima sentenza n. 2580 dell’11 novembre 2010 del Tar della Sardegna.
L’importante decisione fa seguito alla sentenza n. 80/2010 della Corte costituzionale che aveva risolto il problema creato agli alunni con disabilità dall'art 2 commi 413 e 414 della Legge finanziaria n. 244/08 fissando un tetto massimo al numero di docenti da nominare annualmente per il sostegno vietando contestualmente la possibilità di assegnare ore in aggiunta a quelle fissate in organico di diritto.
Con il principi stabilito dalla sentenza in questione, i giudici amministrativi hanno deciso che i genitori dell'allievo affetto da un grave handicap devono essere risarciti dei danni esistenziali se la scuola non assegna al minore le necessarie ore di sostegno.
Nel caso di specie il T.A.R. ha accolto il ricorso di due genitori contro il provvedimento con cui una scuola materna riduceva, fino a eliminarle del tutto, le ore di sostegno assegnate al figlio.
La coppia impugnava l’atto e chiedeva il risarcimento del danno. Con una statuizione antitetica rispetto ad alcune recenti pronunce di altre corti amministrative (tra queste Tar Campania 17532 del 24 settembre 2010), i giudici sardi hanno accolto entrambe le richieste e annullato il provvedimento, giudicato illegittimo in quanto “non può costituire impedimento alla assegnazione, in favore dell’allievo disabile, delle ore di sostegno necessarie a realizzare il proprio diritto, il vincolo di un’apposita dotazione organica di docenti specializzati di sostegno”, anche perché la scuola può ricorrere “alla assunzione con contratto a tempo indeterminato di insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti – alunni in presenza di handicap particolarmente gravi”. Non solo. I genitori hanno “diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc, qualificabile nel caso come danno esistenziale.” La corte ha chiarito che “il danno è individuabile negli effetti che la seppure temporanea, fino all’intervento di questo giudice, diminuzione delle ore di sostegno alle quali il minore aveva diritto, ha interrotto la piena continuità di sostegno al recupero ed allo sviluppo del disabile in situazione di gravità, integrando un arresto alla promozione dei suoi bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita “normale”.
Il T.A.R. ha anche quantificato il danno nella misura di duemila euro a carico della scuola e nei confronti dei genitori del piccolo a titolo di risarcimento.

giovedì 11 novembre 2010

Bagni alle poste e negli uffici aperti al pubblico per legge.


Code interminabili, file estenuanti per gli utenti. Ordinaria amministrazione nella pubblica amministrazione, alle poste ed in tanti uffici, anche privati, aperti al pubblico, ma che succede se un qualsiasi cittadino o addirittura anziano ed incontinente deve andare al bagno. Non succede nulla se non che se la deve fare letteralmente “addosso” se non vuole perdere la preziosissima posizione faticosamente guadagnata anche se ha il ticket con il numero di prenotazione in mano.
Anche stavolta sono semplici cittadini a portare l’attenzione di Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, su problematiche quotidiane dell’utenza che sarebbero di semplice soluzione solo se il legislatore avesse guardato con più scrupolo agli ostacoli quotidiani che il cittadino è costretto ad affrontare.
Ed ecco che nasce da qui una proposta che potrebbe diventare legge se solo vi fosse volontà politica generale e non solo di Italia dei Valori per cercare di alleviare un problema che se potrebbe far scappare qualche sorriso ai più, certamente non fa ridere chi quotidianamente per le proprie incombenze o una volta al mese per ritirare la pensione è costretto a non poter usufruire di un servizio che è stato generalmente previsto per legge, per esempio, per tutte le attività di ristorazione.
Ed allora, perché non obbligare tutti gli uffici aperti al pubblico, a cominciare dalle poste, di dotarsi della toilette?

mercoledì 10 novembre 2010

Equitalia, incubo di tanti cittadini aumenta le proprie competenze per la riscossione di crediti.


Per dovere di cronaca, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” ritiene opportuno comunicare le nuove competenze riconosciute alla società concessionaria di riscossione Equitalia che da un anno a questa parte ha ampliato in virtù di specifiche disposizioni di legge o amministrative il novero dei crediti per i quali può procedere alla riscossione e tra queste in particolare vanno segnalate quelle in materia di contestazioni delle irregolarità di viaggio e relative sanzioni per conto di Trenitalia Spa (Decreto MFE 16/1/2009).
Peraltro, secondo quanto individuato nel bilancio consolidato di gruppo redatto dalla stessa società di riscossione al 31.12.2009, tra le nuove competenze dell’Ente sono previsti anche i provvedimenti di revoca di agevolazioni disposte dai ministeri dell’industria delle attività produttive e dello sviluppo economico (Legge n. 99 del 23/07/2009 art. n.3); la riscossione coattiva di contributi dovuti per la iscrizione all’albo dei consulenti finanziari (dlgs n. 101 del 17/07/2009); la riscossione di sanzioni iscritte a ruolo dall’ISVAP( Decreto del 19./06.2009 n.94); la riscossione spontanea a mezzo ruolo delle spese di giustizia (Legge n. 69/2009 art. 67 comma 3) nonché la riscossione di alcune tipologie di crediti INPS per i quali non si procede ad iscrizione a ruolo( Decreto legge n. 5 /2010 art. 7 quater, comma 6).

domenica 7 novembre 2010

Secondo la Cassazione il contratto di lavoro part - time può trasformarsi in rapporto a tempo pieno.


La Cassazione conferma l’orientamento secondo cui il contratto di lavoro part - time può trasformarsi in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti

Con la recente sentenza n. 21160 del 2010, la Suprema Corte ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il rapporto di lavoro cosiddetto part - time può trasformarsi in un rapporto di lavoro a tempo pieno, nonostante la diversa manifestazione di volontà delle parti, essendo sufficiente dimostrare la costante effettuazione da parte del lavoratore di un orario di lavoro prossimo a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno.
La Cassazione con la decisione che Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale Tutela del Consumatore di “Italia dei Valori” e fondatore dello “Sportello dei Diritti” commenta, ha rigettato, infatti, il ricorso di una società datrice di lavoro avverso la decisione della Corte di Appello che aveva dichiarato la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo pieno rilevando che dalle risultanze documentali un lavoratore addetto alla cassa di un casello autostradale aveva prestato con costanza e continuità la sua attività di lavoro secondo orari di lavoro uguali o superiori all’orario normale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria.
La Società datrice di lavoro con i motivi di ricorso aveva sostenuto che lo svolgimento del lavoro supplementare non poteva comportare, di per sé, l'esistenza di un rapporto a tempo pieno, in assenza degli ulteriori elementi distintivi di tale rapporto.
I Giudici di piazza Cavour, respingendo le doglianze datoriali hanno confermato la ratio della decisione del giudice del gravame secondo il quale ai fini della corretta individuazione del tipo di rapporto l’attenzione doveva focalizzarsi sulla concreta esecuzione del contratto di lavoro stipulato tra le parti e per tali ragioni hanno ritenuto corretto applicare il principio secondo cui, in relazione ai diritti spettanti al lavoratore per la sua attività lavorativa, non è decisivo il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella sua concreta attuazione "cosicché risulta del tutto inutile ogni discussione in ordine alla possibilità di riscontrare o meno una volontà novativa delle parti, una volta che sia stata dimostrata la costante effettuazione di un orario di lavoro prossimo (o, come nel caso che ne occupa, addirittura superiore) a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno."

sabato 6 novembre 2010

Prefetto di Brindisi dispone archiviazione multe con autovelox per la mancata contestazione immediata.


Quando la Prefettura è attenta alle illegittimità nella rilevazione delle infrazioni: interessante decreto di archiviazione del Prefetto di Brindisi per una multa elevata con autovelox quando non vi è la contestazione immediata e la velocità non sia elevata

Non sempre le Prefetture si dimostrano attente alle doglianze dei cittadini che abbiano fatto ricorso ad un verbale per via amministrativa secondo l’articolo 204 del Codice della Strada ed anzi dobbiamo purtroppo constatare che spesso si limitino a confermare pedissequamente le sanzioni ivi contenute dando in prima istanza ragione agli enti accertatori, ma che poi spesso vengono annullati dai Giudice di Pace perché palesemente illegittimi.
Ecco perché in data odierna a Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” pare opportuno segnalare un recente decreto di archiviazione della Prefettura di Brindisi a seguito di un ricorso predisposto dai consulenti dello Sportello Dei Diritti avverso un verbale elevato a seguito di un infrazione per superamento del limite di velocità rilevato con apparecchiatura elettronica, in particolare quando non vi sia stata la contestazione immediata della violazione.
Nel caso di specie, la Prefettura ha motivato l’archiviazione ritenendo che “la velocità del veicolo del ricorrente, pur avendo superato il limite consentito di 15 km/h, non può essere considerata talmente elevata da non consentire che il veicolo stesso potesse essere raggiunto per la contestazione immediata dell’infrazione”.
Gli uffici amministrativi riportandosi alla copiosa giurisprudenza in materia di obbligo di contestazione immediata concludono che quando la stessa sia oggettivamente e concretamente possibile l’accertamento dell’infrazione debba considerarsi illegittimo ed infatti riportandosi al caso in questione “in considerazione del lieve eccesso di velocità suddetto ben può ritenersi che la contestazione immediata potesse essere effettuata, né le motivazioni addotte nel verbale appaiono confacenti al caso in esame, anche in considerazione della mancata specificazione di oggettive difficoltà (maltempo, velocità eccesia in senso oggettivo) ritenute dalla giurisprudenza impeditive della contestazione”.

venerdì 5 novembre 2010

Seconda udienza “PROCESSO AQP – acqua rossa di Melendugno”


Lo scorso 02 novembre si è svolta la seconda udienza dibattimentale presso la prima sezione del Tribunale penale di Lecce dell’ormai noto processo “acqua rossa” di Melendugno che vede imputati i due ultimi dirigenti dell’Acquedotto Pugliese: l’ing. Emilio Tarquinio, nella veste di capo compartimento AQP fino al marzo 2007 e il dott. Giuseppe Valentini, responsabile dell’unità territoriale di Lecce dell’Acquedotto Pugliese, a partire dall’aprile 2007.
I reati ipotizzati dalla Procura di Lecce sono: commercio di sostanze alimentari nocive, frode nelle pubbliche forniture e nell’esercizio del commercio perché sempre secondo la Procura l’AQP avrebbe distribuito “acque contrattualmente dichiarate potabili, ma risultate non essere tali” perché “presentavano un colore rossastro, segno di presenza di ferro in quantità superiore ai limiti consentiti.”
Nel corso dell’udienza si è proceduto all’esame del prof. Troisi, dell’Università di Lecce, consulente tecnico di parte del Pubblico Ministero, dott.sa Maria Consolata Moschettini, e di alcune delle tantissime parti civili, tra le quali il Coordinatore del Comitato no-acquarossa di Melendugno, prof. Franco Candido che per primo si è battuto e continua a battersi per tutelare la salute dei cittadini melendugnesi, nonché all’esame di uno degli imputati, l’ing. Emilio Tarquinio.
Terminata la sessione, il Giudice dott. Malagnino ha rinviato, per la continuazione dell’istruttoria dibattimentale, all’ udienza del 15 marzo 2011 per l’esame del dott. Valentini e di tre testi dell’altro imputato.
Le parti civili erano rappresentate dagli avvocati Angelo Pallara, Alberto Russi, Ester Nemola, Andrea Imbriani, Fabrizio D’Errico e Francesco D’Agata.
Finché non sarà acclarata la verità sulla questione dell’”acqua rossa di Melendugno”, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, continuerà a seguire il procedimento in questione e ad informare i media e la cittadinanza intera degli esiti di ogni udienza della fase dibattimentale, ciò anche al fine di mantenere accesi i riflettori su di un importante processo che in ogni caso riguarda la salute dei cittadini.

Per la Cassazione l'evasione fiscale dell'IVA è punibile con la reclusione.


Anche la cassazione penale rigorosa con gli evasori: punibile con la reclusione il contribuente che non versa l’Iva se il comportamento si prolunga oltre il 27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento

Anche la Suprema Corte si dimostra intransigente sull'evasione fiscale. Secondo la sentenza n. 38619 del 3 novembre 2010 rischia la reclusione da sei mesi a due anni chi non versa l’iva dichiarata, se il mancato pagamento si estende oltre il 27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento.
Per Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” la decisione in esame è importante anche per il calcolo temporale del comportamento omissivo anche per la verifica di applicazione del beneficio dell’indulto.
Il Tribunale di Ancona, infatti, aveva applicato questo beneficio nei confronti di un uomo che non aveva versato l’iva dichiarata nell’anno 2005. Mentre il Procuratore generale presso la Corte d’appello del capoluogo marchigiano aveva presentato ricorso affermando l’inapplicabilità dell’indulto, in quanto secondo la procura il reato si era consumato nel vigore della nuova normativa, la quale prevede, per coloro i quali omettono il pagamento dell’iva, un trattamento sanzionatorio equivalente a quello previsto per il sostituto che non versa le ritenute d’acconto.
I giudici di piazza Cavour hanno quindi accolto il ricorso sostenendo che “per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento”.

mercoledì 3 novembre 2010

Equitalia e qualunque soggetto che iscriva un’’ipoteca illegittima su di un immobile rischia il risarcimento del danno per iscrizione illegittima.


EQUITALIA e qualunque soggetto legittimato ad iscrivere ipoteche su di un immobile stiano attenti d’ora in poi. Secondo la Cassazione, infatti, con la sentenza 22267 del 2 novembre 2010 è risarcibile il danno (conseguenza) patito dal proprietario di un immobile a causa di un’illegittima e imprudente iscrizione di ipoteca giudiziale poiché è possibile la compromissione della "commerciabilità" del bene stesso.
Ritiene, infatti, Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti che il principio statuito dalla Suprema Corte in materia di ipoteca giudiziale illegittima possa essere esteso anche nel caso d’ipoteca ex lege comunque iscritta illegittimamente.
La Suprema Corte ha infatti confermato la condanna al risarcimento del danno da parte della corte di appello di Genova di un avvocato che aveva fatto iscrivere su di un immobile un’ipoteca poi rivelatasi illegittima. La corte di merito di secondo grado aveva condannato il professionista al risarcimento del danno subito dalla proprietaria di un immobile per la mancata disponibilità della somma costituente fondo fiduciario per la cancellazione della garanzia, dal 2001 al 2005, anno in cui il Tribunale di Savona aveva dichiarato l’illegittimità dell’iscrizione.
Gli ermellini nel rigettare il ricorso presentato dall’avvocato, hanno sostenuto che “l’iscrizione illegittima dell’ipoteca giudiziale su un immobile,” a causa della pregiudizialità che reca su bene e sul proprietario dello stesso, per mancata o ridotta commerciabilità dell’immobile “dà diritto al proprietario di ottenere il risarcimento del danno (c.d. danno conseguenza) subito a causa della non disponibilità della somma di denaro sottoposta a garanzia”.
Ma i Giudici di piazza Cavour inoltre affermano che “ove risulti accertata la illegittimità dell'iscrizione e, quindi, venga meno la sua fattispecie costitutiva, si deve rilevare anzitutto che tale danno evento non risulta automaticamente eliminato, perché, se è vero che dal punto di vista del proprietario del bene ipotecato, è possibile far valere il venir meno di quella fattispecie, finché dura la presenza dell'iscrizione ipotecaria, sussiste … una situazione apparente che può creare difficoltà alla commerciabilità del bene, sia scongiurando eventuali proposte di acquisto di terzi sia imponendo un onere di dimostrazione al terzo che voglia acquistare il bene o un diritto su di esso che l'ipoteca non ha più effettività. Ne discende che la permanenza dell'iscrizione pur dopo che sia acclarata l'insussistenza della sua fattispecie costituiva rende ancora configurabile il danno evento derivante da essa e semmai si tratta di valutare se in concreto si sono prodotti danni conseguenza successivamente”. E ancora, “in dipendenza del danno evento costituito dalla permanenza dell'iscrizione che poi sia risultata illegittima, danni risarcibili sub specie di danno c.d. conseguenza originante dalla situazione costituente il danno evento, si possono verificare tanto se si perde una o più occasioni di commerciare il bene (perché il possibile acquirente non stima conveniente acquistare il bene), sia se il bene si riesca a commerciare e, tuttavia, subendo una qualche diminuzione delle utilitates che si sarebbero conseguite se il bene fosse stato libero, cioè conseguendo una diminuzione del prezzo o conseguendo un prezzo vile, oppure un qualche diverso pregiudizio”.

martedì 2 novembre 2010

Radioattività nel materiale storico


Non tutti sanno che sino agli anni ’50 veniva usato l’uranio per rendere fluorescenti gli oggetti.
Quante volte girando per i mercatini dell’usato o rovistando nelle case tra gli oggetti dei nostri nonni abbiamo ritrovato affascinanti orologi d’epoca, sveglie a carica manuale o grandi e piccole bussole con le lancette ed i quadranti ancora fluorescenti.
Pochi hanno pensato però ad indagare sulla fonte della luminescenza che in gran parte dei casi è data da particolari vernici a base di radio che venivano utilizzate fino agli anni ’50 persino per la segnaletica stradale.
Il radio, come dovrebbe suggerire il nome, è un elemento chimico radioattivo prodotto dal decadimento dell'uranio e perciò reperibile in tutti i minerali che ne contengono. Combinato con solfuro di zinco o altri fosfori è stato utilizzato per lungo tempo nelle vernici luminescenti di quadranti e lancette di orologi, sveglie e strumentazioni varie senza che alcuno si precoccupasse per gli effetti negativi sul corpo umano della radioattività di tale materiale che a partire dagli anni ‘50, per gli stessi utilizzi fu sostituito dal trizio anch’esso radioattivo, ma molto meno pericoloso ed invasivo per la salute.
In seguito ai gravi danni fisici subiti dagli operai – si parla di almeno 100 morti sospette - addetti alla verniciatura di lancette e quadranti di orologi a causa dell’incorporazione del radio, le vernici contenenti radio sono state completamente vietate anche se si hanno notizie del suo utilizzo per tali oggetti sino agli anni ’70.
Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti - rivolgendosi non solo ai collezionisti ma a tutti i consumatori senza voler destare alcun allarme, ma semplicemente con l’intento d’informare in modo da garantire una manipolazione sicura del materiale storico - la particolare radioattività del radio fa’ sì che ancora oggi gli oggetti smaltati con vernice a base di questo elemento possano essere pericolosi e dovrebbero essere maneggiati con le dovute cautele e se eliminati dovrebbero essere smaltiti come rifiuti pericolosi.