venerdì 31 dicembre 2010

Berlusconi indagato dalla Procura di Lecce per violazione di leggi in materia finanziaria di cui al T.U.I.F.


Berlusconi indagato dalla Procura di Lecce per violazione di leggi in materia finanziaria di cui al T.U.I.F. (Testo unico in materia di intermediazione finanziaria). D. Lgs. 58 del 1998. Gli atti inviati a Roma per competenza

Dopo la notizia di ieri sera 30 dicembre 2010, la persona offesa avv. Francesco Toto ha confermato che l’on. Silvio Berlusconi sarebbe stato indagato per violazione di leggi in materia finanziaria di cui al T.U.I.F. (Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria) D. Lgs 58 del 1998. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che con un precedente comunicato aveva reso nota la notizia dell’avvio di un’indagine da parte della Procura di Lecce dopo che l’azionista avv. Francesco Toto nell’interesse degli altri azionisti, obbligazionisti e dei creditori ALITALIA aveva depositato presso la Procura della Repubblica di Lecce un dettagliatissimo esposto sulla sciagurata operazione che aveva riguardato l’ex compagnia di Stato e sulla condotta tenuta dall’on. Berlusconi, allora candidato in pectore, e dal Ministro dell’Economia e Finanze.
Come già anticipato ieri gli atti sarebbero stati già trasmessi per competenza alla Procura di Roma.
L’indagine seguirebbe l’azione civile già avviata presso il Tribunale Civile di Lecce e che vede protagonisti, oltre all’avv. Toto decine di altri azionisti difesi anche dall’avv. Francesco D’Agata.

giovedì 30 dicembre 2010

Silvio Berlusconi indagato


Berlusconi sarebbe indagato dalla Procura di Lecce dopo l’esposto-denuncia di un azionista e gli atti sarebbero già stati trasmessi alla Procura di Roma

Il 17 dicembre scorso, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, con un precedente comunicato aveva reso noto che l’azionista avv. Francesco Toto nell’interesse degli altri azionisti, obbligazionisti e dei creditori ALITALIA aveva depositato presso la Procura della Repubblica di Lecce un dettagliatissimo esposto sulla sciagurata operazione che aveva riguardato l’ex compagnia di Stato e sulla condotta tenuta dall’on. Berlusconi, allora candidato in pectore, e dal Ministro dell’Economia e Finanze.
In data odierna, 30 dicembre 2010 apprendiamo che l’on. Berlusconi sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati dalla stessa Procura con numero di registro generale 13360/2010 e gli atti sarebbero stati già trasmessi per competenza alla Procura di Roma.
L’indagine seguirebbe l’azione civile già avviata presso il Tribunale Civile di Lecce e che vede protagonisti, oltre all’avv. Toto decine di altri azionisti difesi anche dall’avv. Francesco D’Agata.

Derby Lecce – Bari a porte chiuse? Lo “Sportello dei Diritti” pensa ad una class action


Lo “Sportello dei Diritti” pensa ad una class action se il 6 gennaio gli abbonati e chi già ha acquistato il biglietto non potranno assistere alla partita

La decisione di far disputare il prossimo derby Lecce – Bari a porte chiuse oltrechè apparire un esempio di quella che qualcuno, non a torto, ha definito “repressione preventiva”, se dovesse effettivamente portare all’impossibilità di accedere allo stadio, potrà essere foriera di danni contrattuali ed extracontrattuali per tutti i tifosi che avevano deciso di assisterVi. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Per queste ragioni, quindi, lo “Sportello dei Diritti” sta già pensando alla possibilità di avviare una class – action all’indomani del 06 gennaio per tutti gli abbonati e per quei tifosi che hanno già acquistato il biglietto e che per ragioni “preventivamente stabilite” di ordine pubblico saranno costretti a restare a casa.
Riteniamo, peraltro, che tale azione potrà anche servire a far avviare una seria riflessione sull’utilità della “tessera del tifoso” che già al momento dell’inizio del campionato avevamo stigmatizzato e bollato oltrechè quale inutile strumento di schedatura di matrice dittatoriale anche quale ingegnoso, per non dire truffaldino mezzo economico – finanziario in quanto vera e propria “carta di credito” appartenente ai circuiti internazionali bancari più noti che può essere utilizzata, quindi, anche per finalità strettamente commerciali e finanziari che vanno ben oltre la dichiarata volontà di controllare e perseguire i criminali.

mercoledì 29 dicembre 2010

La proposta dell'ISVAP per ridurre le tariffe R.C.Auto. Manna dal cielo per gli assicurati – danneggiati o ennesima bufala?


In data odierna, 29 dicembre 2010, l'ISVAP ha inviato una segnalazione ai presidenti del Senato e della Camera, al presidente del Consiglio e al ministro dello Sviluppo Economico "per sottoporre al Parlamento e al Governo l'opportunità di alcuni interventi normativi nel settore della Rc auto volti a ridurne i costi per il cittadino". L'articolata nota che esprime una serie di criticità del settore proponendo l'introduzione di alcune modifiche normative che avrebbero come scopo “in base a stime prudenziali che tengono anche conto di autovalutazioni di impatto effettuate dall’ANIA... contenere il costo della r.c.auto nella misura del 15-18% e a realizzare nel contempo un equilibrio tecnico del ramo nel medio periodo” sarebbe stata elaborata dopo un confronto con ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese Assicurative) e le otto associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti, che può vantare un'esperienza ultratrentennale nel settore assicurativo, non può che esprimere stupore per la serie di proposte che al di là di qualche modesto spunto illuminato (fra questi l'introduzione di tabelle uniche nazionali per la valutazione del danno da macropermanenti), puntano quasi esclusivamente il dito contro l'assicurato – danneggiato, riducendo il fenomeno dell'aumento delle tariffe ad un fatto eterogeneo determinato quasi esclusivamente dalle frodi e non guardano invece a trovare soluzioni per un mercato fin troppo oligopolisitico da una parte ed al fallimento della famigerata procedura d'indennizzo diretto (o CARD) dall'altra.
La CARD introdotta a partire dal 2007 che era stata salutata dalle compagnie assicurative, ma anche dalle associazioni dei consumatori, come la manna dal cielo perchè avrebbe riequilibrato il mercato e ridotto conseguenzialmente le tariffe assicurative attraverso il tentativo di eliminazione dell'intervento dei patrocinatori, si è rilevata, purtroppo come avevamo previsto a dir poco fallimentare anche secondo alcuni dati sostanzialmente ammessi anche dall'ISVAP, mentre il settore è andato via via sempre più concentrandosi assumendo la forma e la sostanza di un mercato ristretto in cui otto grandi gruppi assicurativi la fanno da padrone determinandone, di fatto l'andamento.
Ciò che sorprende ancor di più non sono le legittime aspettative delle compagnie che in quanto quasi tutte s.p.a. e quotate in borsa pretendono il profitto come loro ragion d'essere, ma le dichiarazioni a caldo sull''intervento dell'ISVAP di autorevoli esponenti delle associazioni dei consumatori, in particolare di Renzi, presidente del CODACONS che se da una parte - che condividiamo - ammette la necessità di maggiori controlle sulla carenza di concorrenza tra gli operatori, dall'altra arriva a sostenere quale possibile soluzione “l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'rc auto” - che avrebbe conseguenze devasanti in periodi di crisi come quello che stiamo attraversando per la grandissima probabilità che tanti automobilisti non sottoscrivano alcuna polizza - pur di non ammettere che il più grave errore nella riforma della R.C.Auto sia stata l'ìntroduzione del famigerato “indennizzo diretto” e la mancata adozione di una stringente normativa antitrust tesa ad eliminare la concentrazione del mercato assicurativo, tutte esigenze che da anni, continuiamo a ripetere, divenute indifferibili per una sensibile riduzione dei costi per i cittadini-assicurati-danneggiati.

martedì 28 dicembre 2010

Vita coniugale e Cassazione penale: rischia una condanna per maltrattamenti il coniuge che aggredisce anche verbalmente l’altro


Le continue aggressioni verbali all’ex coniuge possono portare alla condanna per maltrattamenti.
È il principio stabilito nella sentenza n. 45547 resa in data odierna dalla sesta sezione penale della Suprema Corte che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”. Con la decisione in commento gli ermellini hanno, infatti, confermato la condanna nei confronti di un marito che durante gli incontri settimanali sottoponeva la ex moglie a continue offese rendendole “disagevole e penosa l’esistenza”, oltre a non versare il mantenimento per la donna e figli.
La sentenza della Cassazione penale nel confermare parzialmente quella della Corte d’Appello di Venezia, eccettuato il punto della continuazione del reato, ha statuito che “i comportamenti abituali caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ingiuriose e offensive possono configurare il reato di maltrattamenti. Nella specie tali condotte, costantemente ripetute, hanno evidenziato l’esistenza di un programma criminoso diretto a ledere l’integrità morale della persona offesa, di cui i singoli episodi, da valutare unitariamente, costituiscono l’espressione ed in cui il dolo si configura come volontà comprendente il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole e per quanto possibile penosa l’esistenza della moglie”.

lunedì 27 dicembre 2010

Cresce in Italia il consumo di pesce crudo: sushi e sashimi a go go, ma attenzione ai parassiti


Non si può definire più come una moda tanto è diffuso il consumo di pesce crudo ed il sorgere spontaneo in ogni parte d’Italia di sushi bar o simili. In effetti l’abitudine di tanti italiani di mangiare pesce e molluschi non cotti non è un marchio tipico d’importazione “giapponese”, anche perché nel Nostro Paese è consuetudine consumarne da sempre, così come da sempre si dimenticano i rischi connessi dovuti spesso alla carenza d’informazione.
Così come la stragrande maggioranza dei prodotti alimentari crudi, il pesce ed i molluschi sono spesso portatori di batteri, vibrioni e parassiti che solo la cottura o il congelamento potrebbero distruggere ed al contrario risultano immuni all’azione dei succhi gastrici insediandosi persino in modo permanente nella parte terminale dell’intestino.
E così per tornare a parlare di sushi, non è raro il caso d’infezione da Anisakis (Pseudoterranova decipiens) un nematode parassita di colore biancastro i cui sintomi possono essere riconducibili a reazioni di tipo allergico (anafilattiche), forti dolori addominali, febbre, nausea, vomito e generale debilitazione. Altri parassiti che s’insediano con modalità analoghe nell’apparato gastrointestinale sono il verme trematode Clonorchis e dal cestode (verme piatto) Diphyllobothrium.
Per uccidere questo tipo di parassiti, è sufficiente il congelamento dei prodotti per qualche ora, tant’è che due regolamenti italiani (853/04 e 854/04) che disciplinano il consumo di pesce crudo, impongono il congelamento per un periodo minimo di 24 ore ad una temperatura non superiore ai – 20°.
Nonostante la legge, al di là della circostanza che il congelamento fa perdere, almeno parzialmente alcune caratteristiche organolettiche, è noto però che tale procedura non elimina batteri e vibrioni che sarebbero annientati solo dalla cottura a temperature anche elevate.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ai consumatori di pesce crudo e sushi non restano che due scelte: o continuare a rischiare sulla propria pelle o mangiare consapevolmente pretendendo dai ristoratori, quantomeno di consumare prodotti decongelati nel rispetto della legge italiana.

sabato 25 dicembre 2010

Solidarietà al presidente del FONDO ANTIDIOSSINA TARANTO, Fabio Matacchiera querelato dall’ILVA per diffamazione


Non possiamo non essere totalmente solidali con il presidente del FONDO ANTIDIOSSINA TARANTO Fabio Matacchiera dopo aver appreso della querela depositata dall’ILVA per una presunta diffamazione a mezzo stampa.
Da tempo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ha, infatti, deciso di sostenere le battaglie in difesa dell'ambiente e della salute di Fabio Matacchiera che con estremo spirito civico da anni si batte senza timori per la Verità anche documentandoci le fumose notti nei pressi del “colosso dell’acciaio” di Taranto.
Proprio per tali ragioni siamo convinti che Fabio Matacchiera non si farà intimidire e continuerà la sua preziosa attività per contribuire a non fare abbassare la guardia sul problema dell’inquinamento di Taranto che non è un fenomeno che coinvolge il solo capoluogo ionico ma anche tutta la penisola salentina.
Nel ribadire, quindi, la nostra personale e completa solidarietà nonché di tutta Italia dei Valori della Provincia di Lecce ed al contempo biasimo verso il comportamento dell’ILVA, stante la palese infondatezza dell’azione intrapresa, comunichiamo la Nostra disponibilità ad assistere gratuitamente Fabio Matacchiera con un pool di avvocati dello “Sportello dei Diritti”.

venerdì 24 dicembre 2010

Morti per amianto in fabbrica


La responsabilità penale del datore per omicidio colposo scatta solo se si prova che la lunga esposizione all’amianto accelerò la malattia

La quarta sezione penale della corte di Cassazione interviene nella delicata materia delle morti per esposizione ad amianto in fabbrica con la sentenza n. 43786/10 che segnala Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro è responsabile di omicidio colposo solo nel caso in cui si dimostri l’esposizione prolungata del lavoratore all’amianto quale causa del tumore che ne ha determinato la morte e che quindi non sia solo una delle possibili cause.
La potenzialità del fattore come il mesotelioma pleurico che ha stroncato l’operaio, non è quindi da sola sufficiente a far scattare la condanna, ma il giudice di merito ha l’obbligo di approfondire la circostanza se la protratta esposizione all’agente patogeno possa agevolare o meno lo sviluppo della malattia e se nel caso di specie l’accelerazione risulti avvalorata da elementi rilevanti sul piano fattuale.
In ogni caso, secondo gli ermellini risponde di omicidio colposo l’intero consiglio di amministrazione della società laddove si accerti che non sono state poste in essere, per evitare l’evento dannoso, le misure di sicurezza più adeguate rispetto alle conoscenze scientifiche dell’epoca.
Annullando la sentenza d’appello con rinvio la Cassazione ha investito il giudice del merito affinché accertasse se il processo che ha determinato la formazione del cancro sia cominciato per l’esposizione del lavoratore all’amianto e se all’interno della comunità scientifica sia sufficientemente radicata, e su solide basi, la convinzione che la prolungata esposizione all’agente patogeno renda la situazione irreversibile, così come verificare gli indizi del processo accelerativo.
Non vi è dubbio anche per il giudice di legittimità però che gli obblighi datoriali in particolare in merito alle misure di sicurezza sono fondamentali ed i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda potranno essere condannati per il reato contestato se si dovesse accertare l’esistenza del nesso di causalità fra la violazione della normativa a tutela dei lavoratori e il decesso dell’operaio.
Per ridurre l’esposizione all’amianto, infatti, sarebbero bastati un impianto di aspirazione, una dotazione di mascherine personali e il semplice accorgimento di bagnare le polveri.

mercoledì 22 dicembre 2010

Violenza negli stadi, anche provocare i tifosi avversari giustifica l’allontanamento dai campi di gioco.


Contro la violenza negli stadi tolleranza zero “Per il Daspo non è necessaria la violenza”.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 9074 del 16 dicembre 2010, ha confermato il provvedimento di allontanamento dagli stadi per due anni nei confronti di un tifoso che si era tirato giù i pantaloni mostrando le parti intime e provocando così gli avversari.
Secondo i giudici di Palazzo Spada “il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto sulla base dei suoi precedenti non dia affidamento di tenere una condotta scevra da ulteriori episodi di violenza, accertamento che resta incensurabile nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche”.
Da ora in poi anche i soli gesti provocatori e volgari contro i tifosi avversari possono giustificare l’allontanamento prolungato dagli stadi. Non è infatti necessario, per il provvedimento del Questore, che la condotta sia stata violenta.
Per Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” la decisione in esame è importante perché rappresenta un nuovo giro di vite contro la violenza fuori e dentro gli stadi; oggi sono 4.000 in Italia le persone che non possono andare allo stadio perché colpite da daspo. Solo nell'ultimo campionato i daspo sono 1.500, sui 4.000 degli ultimi 5 anni: «Questo vuol dire che c'è stato un ritorno della violenza tra le tifoserie».

martedì 21 dicembre 2010

Patente a punti. Importante sentenza del Giudice di Pace di Campi Salentina in tema di art. 126 bis e art. 180 del C.d.S.


Patente a punti. Importante sentenza del Giudice di Pace di Campi Salentina in tema di art. 126 bis e art. 180 del C.d.S. sull’obbligo di comunicazione dei dati del conducente. È competente il Giudice del luogo di residenza del presunto trasgressore che adempie all’obbligo purché comunichi almeno l’impossibilità a fornire i dati.

Segnaliamo l’importante decisione del Giudice di Pace di Campi Salentina, dott. proc. Francesco Bucato Capozza, in materia di patente a punti ed in particolare sull’obbligo di comunicazione dei dati del conducente ai sensi dell’art. 126 bis del Codice della Strada cui seguirebbe la sanzione prevista dall’art. 180 dello stesso decreto legislativo in caso di omessa comunicazione.
Con la sentenza n. 943/2010 del 02/11/2010, come riporta Giovanni D’Agata Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, il Giudice di Pace riesamina la materia che da tempo era controversa per una serie di decisioni che in maniera altalenante attribuivano la competenza a decidere alternativamente o al giudice del luogo ove veniva contestata l’infrazione o a quello di residenza del presunto trasgressore, con ciò determinando incertezza nel luogo ove depositare il ricorso.
È noto, infatti, che ai sensi del suddetto articolo 126 bis è onere del proprietario del mezzo cui non è stato possibile contestare immediatamente l’infrazione, provvedere alla comunicazione all’organo accertatore dei dati del conducente entro sessanta giorni dalla notifica dell’infrazione principale. In caso contrario, il Codice della Strada prevede l’applicazione dell’apposita e esosa sanzione pecuniaria prevista dall’art. 180 comma 8 del C.d.S. per i soggetti che omettano la suddetta comunicazione.
Secondo il giudicante che ripropone un orientamento condivisibile stante l’autonomia tra la sanzione principale, nel caso di specie eccesso di velocità di cui all’art. 142 comma 8 misurato a mezzo autovelox, e la sanzione secondaria cui il ricorrente si era opposto, il luogo di competenza per la proposizione del ricorso è quello del luogo di residenza ove si è perfezionata la condotta omissiva contestata e quindi “non più sul luogo della commessa violazione dei limiti di velocità ma presso la residenza avuta nel decorso dei 60 gg. previsti dal 8° c. dell’art. 126/bis del C.d.S.”
Peraltro, la persuasiva sentenza interviene anche sugli obblighi del proprietario del mezzo che non abbia più il ricordo di chi fosse alla guida al momento della rilevazione della sanzione principale.
Secondo il giudice di merito, infatti, il proprietario del mezzo che abbia provveduto tempestivamente a comunicare l’impossibilità ad indicare i dati del conducente ha comunque ottemperato all’obbligo previsto dal Codice della Strada anche perché nulla può essere rimproverato a chi in buona fede ed a distanza di mesi non sia più nelle condizioni di ricordare chi fosse alla guida di un veicolo destinato all’uso di tutti i familiari.
Ritiene infatti il giudice che “Dalla documentazione trasmessa e depositata in atti dal ricorrente, infatti, emerge che lo stesso ha, nei termini, comunicato, al Comando di Polizia Municipale di NOVA SIRI con racc. del 11.11.2009, di essere nella impossibilità di indicare il nominativo della persona che, nelle circostanze di luogo e di tempo di cui al richiamato verbale, fosse alla guida del veicolo che, essendo destinato all’uso di tutti i familiari viene utilizzato da tutti componenti il suo nucleo familiare a seconda delle quotidiane necessità.
Risulta, quindi, di tutta evidenza che il ricorrente effettivamente può non essere stato in grado di individuare chi si trovasse effettivamente alla guida dell’autovettura di sua proprietà al momento della contestata infrazione. In effetti, nulla può rimproverarsi, a colui che, in buona fede, a distanza di mesi dall’accertamento non sia in grado di ricordare chi avesse utilizzato nella circostanza la sua autovettura e che, con zelo e tempestività, tanto a comunicato al comune richiedente: in tale situazione se, per evitare la sanzione pecuniaria, l’interessato, sconoscendo il vero conducente, avesse dichiarato falsamente i dati richiesti sarebbe ovviamente incorso in più gravi conseguenze.
Pertanto, l’informazione richiesta è stata tempestivamente fornita anche se in forma negativa all’Amministrazione opposta che, nonostante ciò ha ugualmente elevato il verbale ora contestato”.
Il Giudice di Pace ha quindi, accolto il ricorso predisposto dall’avv. Luigi Renna dello Sportello dei Diritti di Trepuzzi.

Mobbing in ambito penale: le vessazioni sul luogo di lavoro integrano il reato di violenza privata


Da tempo ormai Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è impegnato nel Nostro Paese nella lotta contro il mobbing ritenendo comunque utile un intervento legislativo alla luce delle numerose decisioni delle corti di merito e quelle di legittimità spesso contraddittorie l’una con l’altra e quindi avvertendosi l’esigenza di porre ordine al marasma venutosi a creare in materia e soprattutto per fornire risposte concrete alle esigenze di giustizia dei lavoratori.
Con l’interessante sentenza n. 44803 di oggi 21 dicembre 2010 che riportiamo in commento, la cassazione penale interviene nuovamente sulla questione della qualificazione giuridica delle vessazioni del capo nei confronti dei dipendenti (con atti moralmente violenti e psicologicamente minacciosi).
Secondo la Suprema Corte la condotta vessatoria e denigratoria del datore di lavoro o del capo integra il reato di violenza privata e non di maltrattamenti in famiglia o di mobbing.
Gli ermellini, hanno modificato riqualificandole secondo il suddetto reato di violenza privata le accuse di maltrattamenti di un capo officina. In proposito, si legge in sentenza, “sembra piuttosto correttamente configurabile, proprio attraverso una motivata valutazione ed apprezzamento della richiamata prova specifica, peraltro motivatamente segnalata nell'impugnata sentenza a ribadita conferma di quanto già dedotto in primo grado, nella condotta dell’imputato il reato di violenza privata continuata aggravata ex art. 61 c.p., potendo ricondursi ai puntuali episodi,contestati nell'imputazione cui si è fatto cenno, i caratteri di una condotta moralmente violenta e psicologicamente minacciosa, idonei a costringere il lavoratore a tollerare uno stato di deprezzamento delle sue qualità lavorative nel contesto di una condotta articolata in più atti consequenziali ad un medesimo disegno criminoso, con l'intuibile aggravante della commissione del fatto con abuso di relazioni di prestazioni d'opera”.

lunedì 20 dicembre 2010

L’automobilista che investe il pedone rischia la sospensione della patente anche se procede a velocità moderata e si ferma a soccorrerlo


Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 9021 del 16 dicembre scorso, respingendo il ricorso di un automobilista di Lecce che aveva investito un pedone sulle strisce pedonali.
Il trasgressore aveva sostenuto che il giorno dell’incidente procedeva in Lecce a velocità moderata e che si era subito fermato a soccorrere l’uomo investito.
Nella circostanza il pedone era rimasto gravemente ferito al volto e alla testa.
Ma i giudici respingendo le doglianze hanno sottolineato che “la sospensione della patente di guida ai sensi dell'art. 91 comma 4 t.u. 15 giugno 1959, n. 393 per un periodo massimo di due anni, in caso di investimento che abbia prodotto la morte o le lesioni personali gravissime o gravi, costituiva oggetto di un potere prefettizio tipicamente cautelare, autonomo rispetto all’esercizio dell’azione penale, il cui esercizio non presupponeva alcun accertamento di pericolosità del conducente, implicita nelle conseguenze causate dall'incidente”.
Secondo Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” la severa decisione dei giudici amministrativi si inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale di repressione degli illeciti sulle nostre strade imponendo ancora maggiori cautele da parte degli automobilisti.

sabato 18 dicembre 2010

In arrivo aumento importi delle multe del 2,4%, una bastonata ai poveri, solletico ai ricchi.


Dal 1° gennaio 2011 aumenteranno del 2,4% gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni stradali.
In questi giorni sarà infatti emanato il decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che disporrà l'adeguamento dell'entità delle sanzioni ai sensi dell'art. 195, comma 3, del codice della strada.
Negli ultimi anni, gli importi delle contravvenzioni per le infrazioni del Codice della strada sono aumentati con cadenza quasi annuale, raggiungendo cifre veramente elevate: in alcuni casi più di quanto un lavoratore guadagna in una giornata.
Secondo Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, le multe non tengono in considerazione il reddito del trasgressore che può incidere fortemente sul bilancio familiare di quel mese.
Questo rappresenta la violazione dell’art. 3 della Costituzione che fa riferimento alla discriminazione delle capacità finanziare tra coloro che grazie al proprio censo possono pagare e chi invece meno abbiente viene messo in ginocchio.
In Europa alcuni stati, per esempio in Austria, in Svizzera, l'importo delle multe è proporzionale al reddito del trasgressore.
In Italia al contrario nessuno ha mai ipotizzato questa soluzione che sarebbe vera espressione di uguaglianza e democrazia anche perché mantenendo lo status quo, un paperone in Ferrari si sentirà legittimato a trasgredire le norme del CdS, perché le sue tasche non verrebbero intaccate al contrario di un comune cittadino.

Sportello dei Diritti, attenzione ai giocattoli contraffatti.


In tempi di crisi le famiglie non rinunciano al regalo per i propri bambini e per risparmiare si riversano anche sui prodotti contraffatti in vendita presso ambulanti e negozianti poco onesti. Per tale motivo il mercato nero dei giocattoli contraffatti è in costante crescita al punto che proprio in questi giorni si sono susseguite operazioni di polizia, su tale fronte.
Infatti “Oltre 2 milioni di giocattoli importati contraffatti che non rispondevano alle norme di sicurezza sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza per impedire che le prossime vetrine di Natale siano riempite di prodotti privi del necessario certificato di conformità alla normativa comunitaria in materia di sicurezza prodotti e, quindi, potenzialmente pericolosi per i bambini.
I prodotti più a rischio sono quelli maggiormente diffusi presso il mercato ufficiale: robot, bambole, peluche, bolle di sapone, palloni. Tutta merce prodotta in paesi asiatici, prevalentemente in Cina, ed introdotta in Italia attraverso società di esportazione cinesi.
Il mercato nero in generale è in costante crescita. Lo Stato risulta danneggiato a causa dei ridotti introiti fiscali e le imprese produttrici di giocattoli riscontrano una diminuzione delle vendite di ogni singolo gioco contraffatto e forti perdite economiche e di immagine, ma i più colpiti sono e restano i bambini.
Ma come si riconosce un giocattolo contraffatto?
Facciamo un breve identikit: il prezzo, in genere inferiore a quello del gioco venduto nei negozi; il confezionamento, i giocattoli contraffatti sono privi della confezione rigida di cartone in quanto inseriti in buste di cellophane; il marchio, simile all’originale ma non identico, modificato onde evitare di incorrere in accuse di usurpazione del marchio; la qualità, i giocattoli contraffatti infatti sono prodotti con plastica pessima e con materiali considerati tossici ai fini della nostra normativa.
Si tratta in sostanza di una falsa riproduzione del giocattolo originale realizzata copiando il design ed utilizzando un marchio ed un nome identificativi del prodotto simile, ma non uguale, all’originale.
Il marchio CE è stato introdotto dalla direttiva 88/378/CEE, recepita in Italia con il decreto legislativo 1991/313, la quale ha stabilito i requisiti di sicurezza per i giocattoli, destinati ai ragazzi di età inferiore ai 14 anni, e le misure di sicurezza per la loro fabbricazione e vendita.
Allo scopo di tenere conto dell’inevitabile evoluzione tecnologica, si è reso opportuno rivedere la legislazione comunitaria in materia sostituendo la vecchia direttiva con un nuovo testo, aggiornato e conforme alle mutate condizioni. Entro il 20 gennaio 2011 gli Stati membri dovranno adottare la nuova direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli e sulla loro libera circolazione nella Comunità che va a sostituire la precedente ed applicarla entro il 20 luglio 2011”. (fonte Governo Italiano)
Secondo Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” la prima cosa da fare è scegliere giocattoli sui quali sia stato apposto il marchio CE, in quanto sottoposti ai necessari controlli di sicurezza previsti dalla Comunità Europea.

venerdì 17 dicembre 2010

Esposto alla Procura di Lecce sulla sciagurata vicenda ALITALIA.


Lo scorso 9 dicembre l’avv. Francesco Toto nell’interesse degli azionisti, obbligazionisti e dei creditori ALITALIA ha depositato presso la Procura della Repubblica di Lecce un dettagliatissimo esposto sulla sciagurata operazione portata avanti da Berlusconi, all’epoca dei fatti candidato premier in pectore.
La denuncia segue l’azione civile già avviata presso il Tribunale Civile di Lecce e che vede protagonisti, oltre all’avv. Toto decine di altri azionisti difesi anche dall’avv. Francesco D’Agata che truffati dalla condotta tenuta dall’on. Berlusconi e dal Ministro dell’Economia e Finanze avevano deciso di intraprendere la via del risarcimento in sede civile che purtroppo al momento giace presso il suddetto Tribunale e presso la Corte d’Appello seguendo il percorso della normale lentezza della giustizia italiana, essendo state le altre parti attrici intervenute sorprendentemente delegittimate tramite l’estromissione dal giudizio principale con il conseguente smembramento del “processo civile” in più tronconi.
La denuncia ripercorre un excursus storico di tutti i passaggi attraverso una corposa raccolta documentale della stampa dell’epoca e dei documenti contabili di ALITALIA, riporta fedelmente tutta la vicenda a partire dalle dichiarazioni del Cavaliere che di fatto stoppò la cessione ad AIR FRANCE che era stata pianificata dal Governo Prodi e che a detta della stragrande maggioranza degli economisti avrebbe effettivamente salvato la compagnia di bandiera, riguarda i presunti reati di truffa in danno degli azionisti, obbligazionisti, creditori e dello stesso Stato Italiano, aggiotaggio, insider trading, favoreggiamento.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, non può non sostenere la coraggiosa iniziativa dell’avv. Toto anche perché l’operazione che costituì un cavallo di battaglia di Berlusconi per la campagna elettorale alla vigilia delle importanti elezioni politiche del 12 e 13 aprile 2008, è costata alle casse dello Stato e quindi ad ognuno di noi contribuenti la bellezza di 6 miliardi di euro oltre interessi per non parlare delle successive ricadute occupazionali e della circostanza che non esiste più una vera e propria compagnia degli italiani essendo stata di fatto “donata” ad un manipolo di privati imprenditori che in quanto tali hanno ad interesse il proprio profitto.

giovedì 16 dicembre 2010

Stop alla vendita di acolici addizionati con caffeina


L'Agenzia per la sicurezza alimentare statunitense (Fda) propone di vietare la vendita di alcolici addizionati con caffeina: inducono comportamenti pericolosi.

Un mix se non letale, quantomeno da considerarsi pericoloso quello tra alcol e caffeina. Non è constatazione prettamente scientifica, lo sanno anche i nostri nonni, ma da quando alcune società produttrici di bevande hanno iniziato a pensare di miscelare le due sostanze per lanciare sul mercato questo tipo di drink di nuova generazione anche l'Agenzia per la sicurezza alimentare statunitense (Fda) ha segnalato a quattro aziende che la caffeina aggiunta alle loro bevande alcoliche è da considerarsi un additivo non sicuro.
La procedura avviata dall’ente statunitense, infatti, prende spunto da un attento studio delle ricerche sugli effetti da assorbimento congiunto di alcool e caffeina che secondo la letteratura scientifica, senz’altro maggioritaria, possono indurre nell'individuo conseguenze e comportamenti pericolosi, come ad esempio intossicazione da alcol, violenza e soprattutto guida pericolosa che come è noto è tra le cause più alte di mortalità giovanile.
V’è da specificare che la segnalazione non riguarda gli alcolici che contengono la caffeina solo perché presente naturalmente in uno o più ingredienti, per esempio l’aroma di caffè, ma quelli in cui viene artificialmente aggiunta che stanno diventando una moda tra i giovani al pari degli alcolpop e come questi venduti un po’ dappertutto e senza alcun limite in lattine e confezioni dai colori sgargianti.
Le analisi a base dell’allarme traggono spunto dalla circostanza che la caffeina può rallentare sino a mascherare indizi sensoriali che permettono a chi fa uso di bevande alcoliche di capire quando è il momento di smettere, inducendo, quindi, a un maggiore consumo delle stesse. Anche perché è noto che la caffeina non modifica in alcun modo il tasso alcoolemico nel sangue, e quindi non riduce i rischi e i danni per la salute associati all’abuso.
Alcune di queste nuove bibite, contengono peraltro altre sostanze stimolanti, oltre alla caffeina, e la gradazione alcolica arriva sino al 12%, contro il 4-5% di una birra chiara.
Poiché non risulta che né l’Italia, né l’Europa abbiano ancora avviato indagini alimentari in merito, secondo Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” non rimane che invitare a farne un uso limitatissimo, evitarne il consumo per chi deve mettersi alla guida di qualsiasi veicolo e monitorare il controllo della vendita ai minorenni che in quanto di alcolici rimane proibita.

martedì 14 dicembre 2010


Il presidente del Fondo Antidiossina Taranto, prof. Fabio Matacchiera alle Iene su Taranto e Ilva sull’obbligo di monitoraggio continuo dei valori inquinanti.
Manteniamo alta la guardia per ricordare a Vendola di mantenere la pubblica promessa.


Per opportuna conoscenza degli organi di stampa e della cittadinanza giriamo il link del video delle Iene http://www.youtube.com/watch?v=TaNsYGfraiU sulla promessa del Presidente Vendola in merito all’obbligo da parte dell’ILVA di Taranto di monitoraggio e certificazione continua dei valori inquinanti a pochi giorni dalla scadenza del termine previsto dalla legge “antidiossina”.
Secondo Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” non possiamo far cadere nel dimenticatoio quest’importante scadenza per la salvaguardia del futuro dei cittadini di Taranto, del Salento e della Puglia a circa quindici giorni dalla data prevista, anche per far mantenere alta la guardia al Nostro governatore, poiché la salute dei cittadini viene prima di tutto.

domenica 12 dicembre 2010

Panettoni e pandori veri o falsi?


Si avvicinano le festività natalizie assieme alle loro secolari tradizioni. Dolci e dolciumi vari già da tempo ingombrano solennemente gli scaffali dei supermercati tanto che l’imbarazzo della scelta la fa’ da padrone e pertanto siamo molto spesso costretti a stare attenti a ciò che ci propina il mercato alimentare.
Giovanni D’AGATA componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” fa’ il punto della situazione sui panettoni e pandori farciti per i quali molto spesso non si guarda la differenza, ma che stando alla legge italiana e soprattutto al palato ed alla salute sarebbero alquanto diversi se non preparati secondo la tradizione.
Una circolare del Ministero dello Sviluppo economico dell’anno scorso, la n. 7021 del 3.12.09, per esempio ritiene “ingannevoli e potenziale fonte di concorrenza sleale le modalità di presentazione dei prodotti di imitazione che richiamano in maniera inequivocabile i lievitati classici di ricorrenza (forma del prodotto, forma della confezione, immagine) e che si distinguono da essi solo per il fatto di utilizzare, in maniera poco evidente (fondo della scatola, caratteri piccoli, ecc…) denominazioni alternative”.
Accade non di rado, infatti, di trovare esposti in bella mostra sullo stesso ripiano del supermarket gli uni accanto agli atri panettoni e pandori “veri” e sosia “poveri che spesso finiscono con l’ingannare i consumatori i quali sono spesso indotti in errore dal posizionamento delle due categorie di prodotti.
Eppure, come detto, la differenza di preparazione e l’utilizzo di ingredienti diversi - da una parte l’impasto a lievitazione naturale e l’utilizzo di farina, burro, uvetta, uova fresche e canditi mentre dall’altra, l’utilizzo abbondante di margarina al posto del burro o processi di lievitazione forzata – dovrebbero obbligare i titolari dei supermercati a diversificare la vendita dei due diversi tipi di prodotto anche perché è lo stesso Ministero a vietare ogni tipo di pubblicità o forma di presentazione ingannevole: ma purtroppo questo non sempre accade.
Non ci resta che appellarci all’attenzione dei consumatori a guardare con prudenza le confezioni prima di ogni acquisto e vigilare e segnalare tutte le potenziali fonti di inganno o di concorrenza sleale alle autorità di controllo per evitare che gran parte degli acquirenti continui a cascarci.

sabato 11 dicembre 2010

Il Tutor deve essere sottoposto ad una verifica periodica.


Anche il temibile Tutor deve essere sottoposto ad una verifica periodica. Interessante sentenza del Gdp di Salerno, in tema di taratura ed omologazione dell’apparecchio rilevatore SICVe (c.d. Tutor)

Con la sentenza che di seguito riporta Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti”, il Giudice di Pace di Salerno, dott. Raffaele Russo, fà il punto in materia d’infrazioni rilevate a mezzo del temibile Tutor che come è noto è presente su molte autostrade del Nostro Paese a verificare la velocità intermedia tenuta dagli automobilisti in determinati tratti.
In particolare secondo il giudicante, che si riferisce anche alla giurisprudenza di legittimità in materia di taratura periodica degli strumenti di rilevazione, “la materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratori di velocità ha una propria disciplina specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura, contenuta nel D.M. del 29/10/97… alcuni tipi di apparecchi…utilizzati in modalità automatica…senza il controllo diretto dell’operatore di polizia stradale…devono essere sottoposti ad una verifica periodica tendente a valutare la corretta funzionalità dei meccanismi di rilevazione che, secondo le disposizioni dell’art. 4 richiamato D.M.,deve essere effettuata a cura del costruttore…con cadenza al massimo annuale…” ha annullato dei verbali di accertamento di eccessiva velocità richiamando il recente disposto di cui alla sentenza n° 29334/08 resa dalla Suprema Corte, in tema di obbligo di taratura periodica.
Peraltro, il giudice di merito ha evidenziato il difetto di prova da parte della P.A. non comparsa ritenendo l’esibizione delle fotografie essenziali ai fini dell’accertamento non avendo “adempiuto all’onere di dimostrare compiutamente l’esistenza dei fatti costitutivi dell’illecito contestato”.
Di seguito la sentenza.


Fascicolo n°7495/2010 R.G. Sentenza n° ……………

Depositata il …………

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO

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R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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Il Giudice di Pace, Avv. Raffaele Russo, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A



nella causa civile promossa da Attore Attore

rapp.to e difeso dall’Avv. M. Voto

ATTORE

Contro

1) MINISTERO INTERNO;

2) POLIZIA STRADALE SALERNO

CONVENUTI-CONTUMACI

Oggetto : Opposizione ex L. 689/81

Con ricorso depositato il 15/09/10, la ricorrente sig.ra Attore Attore proponeva opposizione ex L n°689/81 avverso i verbali n°SCV0001633236 del 07/05/10 e notificato il 05/06/10, n°SCV00001650519 del 04/06/10 e notificato il 20/06/10, n°SCV00001692015 del 24/06/10 e n°SCV00001655814 del 09/06/10 entrambi notificati il 27/06/10, redatti tutti dalla Polizia Stradale di Salerno per l’infrazione di cui all’art. 142/8 commessa sulla NA-SA e rilevata a mezzo SICVe. Verificata la regolarità della notifica alle parti del ricorso, pedissequo decreto di fissazione della comparizione e dell’ordinanza del 25/10/10, in via preliminare deve darsi atto della mancata comparizione degli Enti resistenti, che non si sono costituiti e neppure hanno depositato nei termini in Cancelleria la documentazione richiesta ex art. 23 L 689/81. A motivazione della propria impugnazione il ricorrente eccepisce la nullità dei verbali per mancata contestazione immediata ed omissione della motivazione, per erronea applicazione della decurtazione del 5% prevista dal DM del 29/10/97, mancata indicazione della taratura ed omologazione dell’apparecchio rilevatore, nonché per l’irregolarità dello accertamento. Questo Giudice, unitamente alla chiesta sospensiva, ha ritenuto di poter decidere anche dell’opposizione sulla scorta delle eccezioni sollevate, dal mancato deposito della documentazione richiesta, si è riservata la sentenza dandone lettura del dispositivo.




MOTIVAZIONE


Preliminarmente va detto che l’opposizione è ammissibile per essere stata proposta nei termini di legge e cioè nei 60 giorni dalla notifica dei verbali e tenuto conto della sospensione feriale. Dandosi atto della contumacia del Ministero e della Polizia Stradale di Salerno opposti, va subito detto che il ricorso è fondato e va accolto con vittoria di spese.
In primo luogo, si ritiene del tutto priva di fondamento l’eccepita mancata contestazione immediata e mancata sua motivazione. Sul punto, essendosi già detto innumerevoli volte, appare del tutto inutile e superfluo soffermarvisi anche adesso. Ma, è sicuramente fondata l’eccezione della mancata prova della taratura ed omologazione dell’apparecchio rilevatore SICVe. Ed è necessario richiamare l’attenzione sul recente disposto di cui alla sentenza n°29334/08 resa dalla Suprema Corte, che testualmente così recita: “la materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratori di velocità ha una propria disciplina specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura, contenuta nel D.M. del 29/10/97… alcuni tipi di apparecchi…utilizzati in modalità automatica…senza il controllo diretto dell’operatore di polizia stradale…devono essere sottoposti ad una verifica periodica tendente a valutare la corretta funzionalità dei meccanismi di rilevazione che, secondo le disposizioni dell’art. 4 richiamato D.M.,deve essere effettuata a cura del costruttore…con cadenza al massimo annuale…”. Come si vede, quindi, una complessa attività di controlli preventivi, in corso ed anche successivi. Nel caso che ci riguarda, va invece rilevato che nessuna documentazione è stata prodotta dai resistenti, nessuna certificazione dell’avvenuta taratura né che essa sia stata effettuata con la cadenza annuale prevista dalla norma, né dove né se sia stata eseguita. Anzi, rimanendo contumaci, gli Enti resistenti non hanno adempiuto all’onere di dimostrare compiutamente l’esistenza dei fatti costitutivi dell’illecito contestato. Infatti, l’Amministrazione non ha esibito né prodotto le fotografie relative all’infrazione. Per cui, ritenendo questo Giudice che la fotografia costituisce un elemento essenziale e fonte di prova indefettibile ai fini dello accertamento dell’infrazione, non può di certo riconoscersi l’attendibilità dello stesso accertamento con la ovvia conseguenza dell’annullamento del verbale. Nello specifico dei verbali opposti.
Ad abundantiam, è sicuramente opportuno ricordare l’esistenza delle prescrizioni di cui all’art. 1, comma 4 del D.M. a firma della Dir. Gen. per la Motorizzazione n°3999 del 14/12/04, che ha approvato il Sistema di Controllo dei Limiti di Velocità, denominato SICVe. Tale articolo, infatti, contiene precise indicazioni circa la scelta dell’ubicazione delle unità di rilevamento e stabilisce che, all’interno delle tratte interessate al controllo a mezzo del sistema detto, non debbono essere presenti situazioni “statisticamente rilevanti”, quali svincoli, aree di servizio o di parcheggio, tali da determinare l’introduzione di elementi di discriminazione e di iniquità tra gli stessi automobilisti. Tali indicazioni corrispondono ad una precisa ratio, ossia quella di evitare disparità di trattamento tra gli automobilisti che effettuano soste o uscite dall’autostrada e coloro che, invece, percorrono l’intera tratta soggetta a controllo. Da ciò l’accorgimento inserito nel D.M. citato, adottato su prescrizione della V Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici; tale prescrizione è stata adottata nell’adunanza del 28/04/04, voto n°71. È stato stabilito che “l’ubicazione delle unità di rilevamento deve essere scelta in modo che fra due sezioni, tra le quali viene accertata la velocità media, non vi siano immissioni od uscite di traffico e, preferibilmente, neppure aree di servizio o di parcheggio”. Essendoci uno svincolo fra i due punti di rilevamento, il ricorrente lamenta la lesione, da parte degli accertatori, del suddetto art. 1, comma 4 del D.M. del 14/12/04 e di converso di evidenti elementi di disparità di trattamento tra gli stessi utenti della strada in quanto detta presenza può indubbiamente sottrarre l’automobilista più incosciente ai rigori del sistema SICVe. Inoltre, nel verbale di contravvenzione non è indicato la presenza del cartello che avverte gli automobilisti della presenza del dispositivo elettronico della velocità. Secondo l’articolo 142 n.6 bis del CdS, infatti, non basta che sia stata posizionata la segnaletica verticale di preavviso obbligatorio agli utenti della rilevazione strumentale della velocità, ma occorre che ne venga dato atto puntualmente nel verbale di contestazione dell’infrazione. Cosa che nella fattispecie non è invece avvenuta. Ancora va rilevata la palese disparità di trattamento (illegittimo di costituzionalità) se si considera che il servizio di rilevamento della velocità SICVE lavora per mezzo di una serpentina, inserita nell’asfalto, lunga circa 3.30 metri, posizionata in ogni corsia della misura di circa 4,55 metri. Il rilevamento si eccepisce quando il veicolo attraversa i sensori posizionati che servono ad indicare il passaggio del veicolo, ma la cosiddetta serpentina non può definire la classe del veicolo: ad esempio, se transitasse una moto ai bordi della striscia tratteggiata alla velocità di X km/h il sistema non sarebbe in grado di percepirne il passaggio, in quanto manca parte del sensore per rilevare i dati; oppure, per esempio, se transitasse al bordo della linea continua una moto o tagliasse il percorso per 10 m sulla corsia di emergenza, il SICVe non sarebbe più in grado di percepirne il passaggio; se si transitasse a cavallo della linea tratteggiata con un qualsiasi mezzo, il sistema di rilevazione ottico non sarebbe in grado di percepire i dati della targa, in quanto lavora solo sulla propria corsia e leggerebbe, quindi, solo mezza targa senza essere in grado di identificare l’utente. E’ di tutta evidenza, dunque, l’illegittima disparità di trattamento del sistema SICVe nel rilevare l’infrazione degli automobilisti piuttosto che dei motociclisti. Infine, va fatto un esplicito richiamo alla sentenza del Giudice di Pace di Viterbo che, il 6 ottobre 2008, ha riconosciuto la diversità del Tutor rispetto all’Autovelox: il primo misura la velocità media, il secondo la velocità istantanea. Rilevando, quindi, la necessità di differenziare con una riduzione diversa in aumento (progressiva del 5, 10 e 15%), come precisato dal comma 3 dell'art. 345 delle disposizioni di attuazione del codice della strada per il Tutor quella percentuale di tolleranza del 5% prevista invece per l’Autovelox.
L’opposizione è accolta e le spese di lite seguono la soccombenza.


P Q M

Questo Giudice, definitivamente pronunciando sul ricorso in del sig. Tizio, così decide:

1) accoglie l’opposizione e, per l’effetto annulla i verbali n°SCV0001633236, n°SCV0001650519, n°SCV0001692015 e n°SCV0001655814;

2) condanna l’Ente resistente alla refusione delle spese di lite che si determinano in € 221,00 complessivi (di cui € 41,00 per esborsi), oltre rimb.,CAP ed IVA, con attribuzione al procuratore antistatario;

3) la sentenza è esecutiva.

Salerno, lì 29/11/10

Il G. di P.

Avv. Raffaele Russo

venerdì 10 dicembre 2010

Presentato esposto in Procura per la nuova “segnaletica stradale”


Ingannevole la nuova “segnaletica stradale” per la sosta a pagamento estesa nei giorni festivi dal Comune di Lecce? Presentato esposto in Procura

Dopo la raffica di multe dello scorso 8 dicembre, festività dell’Immacolata, elevate dagli ausiliari del traffico del capoluogo salentino, e gli articoli di giornale che segnalavano le lamentele degli automobilisti che dichiaravano d’ignorare l’estensione del pagamento della sosta anche nei giorni festivi per il periodo delle festività natalizie, abbiamo potuto appurare che in effetti la segnaletica modificata per l’occasione sembrerebbe contraddittoria, ingannevole e quindi di non facile comprensione.
Infatti, per come si può appurare dai segnali che regolamentano il parcheggio a pagamento, gli amministratori e per quanto è dato di sapere la società concessionaria dei servizi di gestione comunale, hanno dato esecuzione a un delibera comunale artefacendo – con una subdola croce posticcia e di diverso materiale catarinfrangente - la cartellonistica stradale già esistente con ciò inducendo in errore molti automobilisti che sono stati sanzionati nel corso della giornata dell’Immacolata.
Pertanto, dopo aver effettuato alcune fotografie della cartellonistica, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, ha presentato un esposto in Procura al fine di verificare la regolarità della segnaletica, la sussistenza di eventuali reati e quindi ha chiesto il sequestro probatorio della stessa al fine di evitare il protrarsi della possibilità di condurre in errore gli automobilisti che non fossero a conoscenza dell’ordinanza con la quale il comune ha modificato temporaneamente i criteri per la sosta a pagamento.
Appresa la notizia, è giunto immediatamente anche il sostegno del “Comitato Strisce Blu” nazionale.

mercoledì 8 dicembre 2010

Privacy e nullità delle multe


Privacy e nullità delle multe per la mancata adozione del documento programmatico della sicurezza (privacy) da parte del Comune. Importante sentenza del Giudice di Pace di Bari

Tempo fa, addirittura il 09.03.2009 avevamo segnalato l’importanza dell’adozione da parte dei Comandi delle Polizia Locali, ma probabilmente anche di quelli di polstrada e carabinieri e comunque di tutti gli enti accertatori d’infrazioni, del documento programmatico di sicurezza per la tutela della privacy ai fini della validità degli stessi accertamenti e quindi dei verbali.
Nel comunicato facevamo presente che da una semplice lettura del D. Lgs 196/03 il cosiddetto testo unico sulla “privacy” (Codice in materia di protezione dei dati personali) che disciplina la materia della raccolta dei dati personali, risultasse espressamente che i dati personali trattati in violazione della suddetta normativa sarebbero assolutamente inutilizzabili per qualsiasi fine e quindi anche per l’accertamento delle violazioni amministrative.
Oggi Giovanni D’AGATA, Componente Nazionale del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, non può non compiacersi nel segnalare l’importante sentenza del Giudice di Pace di Bari la n. 2309 del 11.03.2010 che riporta integralmente la motivazione che da tempo inseriamo nei nostri ricorsi in materia di multe e privacy.
Nell’accogliere il ricorso di un automobilista avverso un verbale del comune di Valenzano ha ritenuto assorbente la motivazione relativa all’inutilizzabilità dei dati personali dell’opponente, condannando infine alle spese lo stesso ente.
Ha sostenuto opportunamente il giudicante che “Il d. lgs. n. 196/03 impone a chiunque sia stabilito nel territorio dello Stato o comunque soggetto alla sovranità dello Stato e che effettui il trattamento di dati personali (art. 5) ivi compresi, quindi, gli enti pubblici, il rispetto di una serie di regole, volte a tutelare la privacy dei soggetti i cui dati vengono trattati, regole che vanno dalla tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza, al possesso di strumenti idonei a proteggere i dati da ingerenze esterne e, in generale, dal trattamento illecito degli stessi; dall’individuazione di un responsabile del trattamento, alla prescrizione di un’esplicita delega scritta da parte di quest’ultimo a chi poi tratti effettivamente i dati.
L’art. 11, comma 2 del cit. decreto legislativo prevede poi espressamente l’inutilizzabilità dei dati trattati “in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali”. Ebbene, nonostante l’esplicita contestazione sul punto da parte dell’opponente, il Comune di Valenzano non ha in alcun modo provato il rispetto delle regole basilari, qui testé richiamate, in materia di trattamento di dati sensibili.
Ne deriva che illegittimamente - facendo uso di dati; che erano in realtà inutilizzabili - la Polizia Municipale del Comune di Valenzano ha individuato la proprietaria del veicolo con cui venne commessa l’infrazione per cui causa”.
Di seguito il testo integrale della sentenza.


Giudice di Pace di Bari n. 2309 del 11.03.2010

‘Con ricorso depositato presso questo ufficio in data 23.07.2009, D, V proponeva Opposizione al verbale n.. PH… /09, emesso, in data 02.06.2009, dalla Polizia Municipale di Valenzano, e chiedeva l’annullamento, previa sospensiva, del provvedimento impugnato.
Con il verbale in questione, era stata contestata alla ricorrente, quale proprietaria del veicolo Toyota Aygo targato ..,, la violazione dell’art. 146, comma 3, del C.d.S., irrogata la sanzione pecuniaria di euro 150.00, oltre accessori, per un totale dì euro 158,40, ed intrapreso il procedimento di decurtazione di 6 punti dalla patente di guida del trasgressore con la seguente motivazione:
“(…) Il giorno 18.04.2009, a/le ore 15.56, ha violato l’art. 41 comma 11, in relazione all’art. 146 comma 3 del C.d.S. superando la linea dì arresto sulla direttrice semaforizzata, proseguendo la marcia nonostante la lanterna semaforica proiettasse luce rossa (…)”. Nel provvedimento si dava atto che l‘accertamento era stato effettuato mediante apparecchiatura di rilevazione automatica Photored - posizionata, nel territorio del comune di Valenzano all’intersezione via B. e via N. - regolarmente omologata, e che la funzionalità dello strumento era stata preventivamente verificata dagli agenti accertatori. Si dava inoltre atto che la contestazione era stata differita “ai sensi dell’art. 201, comma 1 - bis, lett. b) e comma I ter del C.d.S.”. Si costituiva il Comune di Valenzano, chiedendo il rigetto dell’opposizione.
All’udienza odierna, precisate le conclusioni, la causa è stata discussa,
MOTIVI DELLA DECISIONE:
L’opponente invoca, tra l’altro, l’inutilizzabilità dei dati personali dell’opponente
- in particolare del numero di targa dell’autoveicolo di sua proprietà
- in quanto trattati in violazione del d. lgs. n. 196/03. Denuncia, più precisamente, tra l’altro, che la polizia municipale del Comune di Valenzano non sia in possesso di un documento programmatico sulla sicurezza e di meccanismi di protezione da trattamenti illeciti degli strumenti elettronici e dei dati; che i propri dati siano stati trattati da soggetto la cui designazione non è stata effettuata per iscritto dal responsabile del trattamento dei dati.
Il motivo è fondato e, in quanto tale, assorbe e rende superfluo l’esame delle ulteriori censure.
Il d. lgs. n. 196/03 impone a chiunque sia stabilito nel territorio dello Stato o comunque soggetto alla sovranità dello Stato e che effettui il trattamento di dati personali (art. 5) ivi compresi, quindi, gli enti pubblici, il rispetto di una serie di regole, volte a tutelare la privacy dei soggetti i cui dati vengono trattati, regole che vanno dalla tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza, al possesso di strumenti idonei a proteggere i dati da ingerenze esterne e, in generale, dal trattamento illecito degli stessi; dall’individuazione di un responsabile del trattamento, alla prescrizione di un’esplicita delega scritta da parte di quest’ultimo a chi poi tratti effettivamente i dati.
L’art. 11, comma 2 del cit. decreto legislativo prevede poi espressamente l’inutilizzabilità dei dati trattati “in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali”. Ebbene, nonostante l’esplicita contestazione sul punto da parte dell’opponente, il Comune di Valenzano non ha in alcun modo provato il rispetto delle regole basilari, qui testé richiamate, in materia di trattamento di dati sensibili.
Ne deriva che illegittimamente - facendo uso di dati; che erano in realtà inutilizzabili - la Polizia Municipale del Comune di Valenzano ha individuato la proprietaria del veicolo con cui venne commessa l’infrazione per cui causa.
Il provvedimento impugnato va quindi annullato, e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Defìnitivamente pronunciando sulla domanda presentata da D. V, con ricorso depositato in data 23.07.2009, cosi decide:
1) accoglie l’opposizione, ed annulla l’impugnato verbale;
2) condanna il Comune di Valenzano alla rifusione, in favore di D. V, delle spese e competenze di causa, che liquida complessivamente in euro 180,00, di cui euro 120,00 per diritti, ed euro 60,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge.
Bari, 10.02.2010”

martedì 7 dicembre 2010

Un milione di italiani bevono acqua con troppo arsenico.


L'Europa dice stop, il ministero tace, i cittadini ignorati
Forse non tutti sanno che in alcune regioni italiane ed in particolare in 128 comuni italiani i cittadini, circa un milione, bevono acqua dichiarata potabile ma con soglie di arsenico molto spesso superiori a quella massima consentita.
E così l’ennesima richiesta di deroga alla somministrazione, la terza, effettuata dal governo nei confronti della Commissione europea si è conclusa con la non concessione dell’ulteriore eccezione.
Studi sui pericoli dell’ingestione di arsenico effettuati anche dall’agenzia dall’Autorità per la sicurezza alimentare europea che come è noto a sede in Parma, non hanno ritenuto opportuno definire una dose che non presenti rischi apprezzabili per la salute (la concentrazione media in Europa è inferiore ai 2 microgrammi/litro) concludendo che non è possibile escludere l’esistenza di un rischio per alcuni consumatori.
L’EFSA si è quindi soffermata sui possibili effetti associati all’assorbimento a lungo termine di arsenico inorganico, con conseguenze che fanno accapponare la pelle: lesioni cutanee, tumori alla vescica, ai polmoni e alla pelle oltre ad effetti sullo sviluppo, la neurotossicità, le malattie cardiovascolari, l’interferenza col metabolismo del glucosio e il diabete. Ciò però va correlato ad aspetti senza alcun dubbio soggettivi anche se dall’indagine a cui si è fatto riferimento sembrerebbe che l’ingestione prolungata abbia un incidenza maggiore nell’insorgere delle patologie sopra elencate.
V’è da specificare che i livelli d’arsenico non dipendono da inquinanti ma si trovano naturalmente in falda e pertanto la situazione è di difficile soluzione se non si adottano misure che riducano drasticamente la sostanza nelle acque anche perché secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” è inutile creare allarmismi visto che il problema, peraltro, persiste da anni e potrebbe essere risolto attraverso vari rimedi tra cui la miscelazione con acque a bassissimo contenuto, la ricerca di nuove risorse idriche o in alternativa processi meccanici o chimici che depurano l’acqua dalla sostanza rendendola completamente potabile.
Ciò che sorprende, che nonostante il tempo trascorso da quando nel 2001 è stata abbassata la soglia massima di arsenico di 10 microgrammi/litro, rispetto ai 50 microgrammi/litro precedenti per definire un’acqua potabile e nonostante le precedenti due deroghe rilasciate dalla Commissione, ad oggi non si è fatto nulla o poco per risolvere un problema di questa portata e pertanto sorprende ancor di più l’atteggiamento del Ministero della Salute che pare non si sia attivato, almeno pubblicamente, per avviare tutte le procedure per informare la popolazione interessata e “obbligare” i gestori degli acquedotti a realizzare i rimedi suindicati anche perché non si può costringere i cittadini a comprare solo acqua in bottiglia per servizi idrici che spesso vengono pagati a caro prezzo o farli continuare a bere per altrettanti anni quella stessa acqua con possibili rischi per la salute.
Prevenire, come diceva una famosa pubblicità, è meglio che curare.
In allegato la decisione della Commissione Europea del 28/10/2010.

Cassazione, è da licenziare in tronco chi si addormenta durante l’orario di lavoro


La " Terza sezione penale " della Cassazione ha bocciato il ricorso del lavoratore e nella sentenza 43412 del 7 dicembre 2010 ha sottolineato che "l'essersi addormentato costituisce abbandono del posto di servizio".
Il giudice di legittimità ha respinto il ricorso proposto da un agente della Polizia di Stato, che la Corte d’Appello di Milano aveva condannato per abbandono del posto di lavoro poichè, in servizio alla frontiera, si era allontanato per recarsi a riposare nel gabbiotto.
In questo modo ha reso definitiva la condanna a quattro mesi di reclusione per abbandono di servizio nei confronti di Sabino G., 30enne agente di Polizia in servizio al valico di Zenna e addetto al controllo dei passaporti che, il 20 agosto del 2004, alle prime ore del mattino, era stato sorpreso addormentato nel gabbiotto di vigilanza.
Per la Suprema Corte, "l'addormentamento, quando dipende da una libera scelta del soggetto e non da cause patologiche, è sempre un atto volontario" e, come tale, costituisce abbandono di servizio. Sabino G. era già stato condannato a quattro mesi di reclusione dalla Corte d'appello di Milano, nel novembre 2009, in violazione della legge 121 del 1981 poiché alle 6.50 del 20 agosto di sei anni fa "era stato sorpreso addormentato a bocca aperta nel proprio gabbiotto e non si era svegliato nonostante il rumore del passaggio dell'autovettura di servizio e nonostante che l'ispettore avesse aperto il vetro di separazione del gabbiotto".
Invano il lavoratore ha rivendicato una sanzione minore sostenendo, tra l'altro, di non avere di non avere "abbandonato il posto di lavoro" cercando giustificare la propria condotta.
La Suprema Cassazione ha infatti sancito che, non solo un tale comportamento indicava il venir meno al dovere generale legato alla tenuta della divisa, ma che “abbandona il servizio non solo colui che materialmente si allontana dal luogo dove il servizio deve essere prestato, ma anche colui che, pur presente nel luogo in realtà non lo presta. Colui che, peposto al controllo dei passaporti in una zona di frontiera, si addormenti nel relativo gabbiotto, certamente non presta il servizio che gli è affidato”.
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza è certamente eccessiva anche perché mentre nelle grandi aziende americane si creano spazi perché i dipendenti possano schiacciare un pisolino pomeridiano, in Italia i dipendenti sorpresi a fare la siesta vengono licenziati ed addirittura è “Configurabile il reato d’abbandono del posto di servizio”.

domenica 5 dicembre 2010

Sicurezza sul lavoro: il privato risponde degli infortuni in casa


“ Il privato, in qualità di committente di lavori edili da svolgersi nella sua abitazione, risponde di omicidio colposo qualora l'operaio da lui incaricato, in assenza di qualsiasi cautela relativa alla sicurezza, muoia in occasione del lavoro assunto”.
Lo ha stabilito la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 42465 del 1° dicembre 2010, in merito alla morte di un operaio che, incaricato di svolgere dei lavori edili all'interno di un'abitazione privata, precipitava da un’impalcatura non munita di parapetti e in assenza di qualsiasi cautela atta a scongiurare i rischi di caduta dall’alto.
Gli ermellini respingendo il ricorso del proprietario avverso le le sentenze di primo grado e secondo grado che disponevano una pena di otto mesi di reclusione, lo hanno considerato responsabile della morte di un operaio contattato per dipingere i soffitti del suo appartamento.
La vittima, senza cintura di sicurezza e senza casco, era precipitata, da oltre 3 metri, dove lavorava su assi inchiodate, raggiungibili con una scala e prive di parapetto.
I Giudici di legittimità, con la sentenza hanno affermato che in tema di sicurezza sul lavoro "riveste una posizione di garanzia il proprietario (committente) che affida lavori edili in economia a lavoratore autonomo di non verificata professionalità e in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta a fronte di lavorazioni in quota superiore ai metri due".
Inoltre hanno sottolineato che, è errata la tesi in diritto secondo la quale "in caso di prestazione autonoma (d'opera) il lavoratore autonomo sia comunque l'unico responsabile della sicurezza".
Spiegano i Supremi giudici come correttamente, nel caso di specie, la Corte d'appello abbia accertato con ragionevole certezza l'altezza del punto di precipitazione e l'identificazione della catena causale che lega la morte, conseguente alla caduta, all'assenza di presidi di sicurezza e alle omissioni poste in essere dal committente. con sentenza n. 24233 del 30 novembre 2010 sottolineando che "il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale derivante dal demansionamento e dalla dequalificazione del lavoratore postula l'allegazione dell'esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche, nonché la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che, quanto al danno esistenziale, può essere fornita anche ricorrendo a presunzioni".
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza certamente allarga il diritto di tutela a garanzia della salute dei lavoratori e indica i paletti di una norma che, seppure tarata su diversi modelli di lavoro subordinato, esplica la sua funzione anche al di là del lavoro dipendente, come chiaramente indicato dall'articolo 7, statuendo una sorta di equiparazione tra lavoratori autonomi e subordinati.

“Vieni via con me”. La poesia degli Stabilizzati dell’ente Provincia di Lecce


Dopo aver letto la poesia degli stabilizzati dell’Ente Provincia di Lecce che, vittime di giochi di potere e della politica, rischiano il posto di lavoro ho sentito l’obbligo di girarla per far conoscere una triste vicenda lavorativa che coinvolge le vite di 37 dipendenti che solo fino a qualche giorno fa avevano la certezza di un posto di lavoro pubblico fisso.”

Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” che continua ad appellarsi al buon senso della giunta Gabellone affinché faccia un passo indietro.

Vieni Via con Me

RESTO perché voglio aver un futuro QUI nella mia terra, nella terra dove sono nato, dove sono cresciuto, dove ho la mia famiglia; nella terra dove vorrei crescere i miei figli

VADO VIA perché il mio futuro me lo hanno cancellato

RESTO QUI perché ho un sogno: il sogno di far crescere il mio amato Salento

VADO VIA perché il sogno è stato distrutto da una politica senza sogni

RESTO QUI per il sorriso di ogni immigrato che riceve aiuto da me

VADO VIA perché questa politica non vuole davvero aiutare gli ultimi

RESTO QUI perché con il mio lavoro ho visto inserirsi nella società videolesi ed audiolesi

VADO VIA perché le Politiche Sociali non fanno risanare il bilancio della nostra Provincia

RESTO QUI per tutte le prostitute che hanno implorato il mio aiuto per fuggire dalla violenza

VADO VIA perché la nuova politica della nostra Provincia non vuole salvare gli oppressi

RESTO QUI perché ho trovato finanziamenti per più di 200 piccole aziende

VADO VIA perché non si vuole far crescere la piccola impresa

RESTO QUI perché voglio innovare il mio territorio

VADO VIA perché la nuova politica divora il nostro futuro per mantenere il suo presente

RESTO QUI perché voglio respirare i profumi della mia terra e vedere l’azzurro del mio cielo

VADO VIA perché il grigio di questa politica non mi appartiene

VADO VIA perché sono triste… la nuova politica vuole sostituirmi con i suoi amici.

RESTO QUI perché credo nella Giustizia, credo di dover difendere il diritto al mio LAVORO, al mio FUTURO, al mio SOGNO!!!

Gli Stabilizzati della Provincia di Lecce

Multe ingiuste? Non più quando la Prefettura è attenta ai termini.


Codice della Strada e ricorsi prefettizi ai verbali. Quando la Prefettura è attenta ai termini. Un altro interessante decreto di archiviazione, questa volta del Prefetto di Pisa, per il ritardo nei termini di trasmissione degli atti da parte dell’ente accertatore e nell’emissione dell’ordinanza – ingiunzione stabiliti in sessanta e centoventi giorni dagli articoli 203 comma 2 e 204 1bis del C.d.S.

La P.A. non sempre si dimostra scrupolosa nell’esaminare i motivi di ricorso gerarchico e perciò molte volte il cittadino è costretto a ricorrere all’Autorità Giudiziaria competente per vedere accolte le proprie ragioni.
Tutto ciò non accadrebbe se come è successo con l’ordinanza di archiviazione di un verbale emessa dalla Prefettura di Pisa, su reclamo gerarchico disciplinato dall’art. 203 del Codice della Strada, i Prefetti e gli uffici all’uopo incaricati verificassero puntualmente ogni aspetto del ricorso, così evitando di intasare le aule giudiziarie dei Giudici di Pace e non si limitassero a dei “copia e incolla” di rigetto come sovente purtroppo continua ad accadere.
Per queste ragioni Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” porta all’attenzione della cittadinanza e dei media un recente decreto di archiviazione della Prefettura di Pisa a seguito di un ricorso predisposto dai consulenti dello “Sportello Dei Diritti” avverso un verbale elevato per superamento del limite di velocità rilevato con apparecchiatura elettronica.
Questa volta però la Prefettura non è entrata nel merito del ricorso o della rilevazione dell’infrazione ed ha tuttavia evidenziato il superamento dei termini di cui agli articoli 203 comma 2° e 204 1bis del C.d.S. che stabiliscono in sessanta e centoventi giorni i limiti temporali entro i quali l’organo accertatore è tenuto a trasmette gli atti del procedimento e la Prefettura competente a decidere del ricorso stesso.
Nel caso di specie, la Prefettura ha motivato l’archiviazione ritenendo peraltro che “nella fattispecie, la tardività della definizione del suddetto gravame non possa documentalmente giustificarsi in base ad obbiettivi tempi tecnici della fase endoprocedimentale” e pertanto ha ritenuto opportuno provvedere all’archiviazione del verbale.

sabato 4 dicembre 2010

Cassazione:risarcimento del danno per demansionamento anche ricorrendo a presunzioni.


La prova può essere fornita anche ricorrendo a presunzioni.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 24233 del 30 novembre 2010 sottolineando che "il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale derivante dal demansionamento e dalla dequalificazione del lavoratore postula l'allegazione dell'esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche, nonché la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che, quanto al danno esistenziale, può essere fornita anche ricorrendo a presunzioni".
I Giudici di piazza Cavour, respingendo le doglianze datoriali hanno rigettato la ratio della decisione del giudice del gravame secondo il quale riteneva erroneo il riconoscimento del danno da demansionamento in favore di un proprio dipendente perché non sorretto da idonea prova, hanno ribadito, richiamando la sentenza n. 4652/2009, che "in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto". Spiegano i Supremi giudici come correttamente, nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto che l'onere probatorio posto a carico del lavoratore può essere adempiuto, oltre che mediante prove di natura documentale e testimoniale, anche in via presuntiva. Detta dimostrazione può ritenersi assolta, secondo le regole sancite dall'art. 2727 c.c., "allorché venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta (non in astratto) descrivano: durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di (precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell'interesse relazionale, gli effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto".
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza certamente una decisione esemplare che potrà invogliare i lavoratori vittime di abusi sul posto di lavoro e costituisce precedente persuasivo e da monito per tutti i datori di lavoro perché possano pensarci non una, ma cento volte prima di umiliare e vessare il proprio dipendente.
Lo “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione dei cittadini per fornire assistenza gratuita per verificare l’esperibilità di azioni di recupero.

venerdì 3 dicembre 2010

Anatocismo bancario, buone notizie dalla Cassazione per i consumatori cattive per le banche.


La prescrizione per richiedere gli interessi anatocistici decorre dalla chiusura del conto.

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre, hanno finalmente posto dei paletti sul termine decennale di prescrizione per richiedere alla banca gli interessi anatocistici indebitamente pagati.
Secondo i Giudici della Suprema Corte la prescrizione decorre “dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto” ed inoltre sugli interessi maturati a debito del correntista non è legittima neppure la capitalizzazione annuale.
Gli Ermellini hanno respinto anche il motivo incidentale presentato dal correntista che lamentava la misura degli interessi appicati negli anni dall’istituto di credito.
“Sul punto della Prescrizione le Sezioni unite hanno chiarito una volta per tutte, dando più tempo ai clienti che presentano istanza per la resitutizione degli interessi anatocistici indebitamente versati che “dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto i1 saldo di chiusura dei conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati." Ma non basta. Sul fronte capitalizzazione degli interessi il Collegio esteso ha rafforzato un principio già sancito dal legislatore e secondo cui “l’interpretazione data dal giudice di merito all'art. 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base trimestrale, è conforme ai criteri legali d'interpretazione del contratto ed, in particolare, a quello che prescrive l'interpretazione sistematica delle clausole; con la conseguenza che, dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad l'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna" fonte Debora Alberici.
Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza certamente potrà invogliare migliaia e migliaia di correntisti a procedere per il recupero di quanto indebitamente percepito dalle banche in sede di capitalizzazione dgli interessi passi sui conti correnti.
Lo “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione dei cittadini per fornire assistenza gratuita per verificare l’esperibilità di azioni di recupero.

mercoledì 1 dicembre 2010

Circolazione stradale. Giro di vite della Cassazione penale sugli automobilisti indisciplinati


Secondo la sentenza 42498 depositata il 1 dicembre 2010, risponde di omicidio colposo chi lascia la macchina in doppia fila con lo sportello aperto e provoca un incidente mortale.
La Suprema Corte ha confermato la condanna di un automobilista romano per omicidio colposo, reato però nel frattempo estinto per prescrizione.
Inutilmente l’imputato aveva tentato di difendersi smentendo il nesso causale tra l’aver lasciato la vettura in doppia fila e la morte del motociclista, che procedeva a forte velocità.
I Giudici di Piazza Cavour hanno però respinto le doglianze dell’imputato ed hanno confermato la ratio della decisione del giudice del gravame sottolineando che tale la condotta di guida integra il reato di omicidio colposo.
Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” la Suprema Corte si dimostra intransigente al punto che rischia una condanna per omicidio chi lascia l’auto in doppia fila provocando un incidente mortale.