lunedì 31 gennaio 2011

Al fianco degli ammalati di malattie rare e delle loro famiglie. In attesa del 28 febbraio, giornata mondiale delle “malattie rare” si alzi il livello


Il 28 febbraio prossimo si celebrerà a livello mondiale la giornata delle “malattie rare”, un evento che ci obbliga a riflettere sul livello di attenzione della generalità della cittadinanza e delle istituzioni su un problema che riguarda migliaia di cittadini in prima persona e le loro famiglie.
I dati che emergono dalle recenti statistiche la cui ultima di pubblico dominio della Isfol - realizzata dall’Istituto per gli Affari Sociali (Ias), in collaborazione con la Federazione italiana malattie rare Uniamo-Fimr Onlus, Orphanet-Italia e Farmindustria evidenzia una situazione che impone un ovvio e quantomai necessario innalzamento dei livelli di guardia e di protezione sociale per gli elevatissimi costi di assistenza e della cura che le malattie rare comportano e che vanno a gravare in gran parte su famiglie che non sono sempre in grado di farvi fronte e che purtroppo s’impoveriscono sempre di più.
Secondo l’indagine il costo medio mensile sulle famiglie - nel 35 % dei casi già sotto la soglia di povertà - per la cura e l’assistenza di queste patologie supera i 500 euro (per una famiglia su quattro) fino ad arrivare ad oltre 2000 e risulta che almeno il 20% degli intervistati ha avuto bisogno di un aiuto finanziario che nella metà dei casi non è pervenuto dal sistema del welfare ma dai parenti.
Ciò perché sono spesso troppo alti i costi delle cure e dei pochi farmaci esistenti, ed in particolare dei cosiddetti farmaci “orfani” che sono prodotti medicinali destinati alla diagnosi, prevenzione e trattamento delle malattie rare. Per chi non lo sapesse sono definiti “orfani” perché non risulta conveniente per le industrie farmaceutiche sviluppare e commercializzare prodotti destinati al trattamento di un ristretto numero di pazienti. Così come elevatissime sono le spese per fronteggiare la malattia, in termini di aiuto umano e tecnico, insieme alla carenza di benefici sociali e possibilità di rimborso.
Tra le priorità che riguardano la problematica v’è innanzitutto da specificare che gran parte dei malati rari rimangono “invisibili” per il sistema sanitario nazionale poiché molte di queste patologie, oltre un centinaio, non sono state inserite nell’Allegato A del Decreto Ministeriale 279/01 che ne contiene un elencazione e che poi risultano una piccola parte delle oltre 6000 scoperte fino ad ora. Secondo la scienza medica una sindrome può essere considerata rara quando colpisce una persona ogni duemila abitanti, ma, se si moltiplica per tutte i tipi di patologie, si arriva a cifre impressionanti secondo le quali in Europa sarebbero colpiti circa 30 milioni di cittadini. Sarebbero circa due milioni, gli italiani affetti da malattie rare e quindi proprio per le ragioni dette una moltitudine di ammalati sarebbe sconosciuta alla sanità pubblica.
Inoltre, da anni si cerca di regolamentare il settore attraverso una legge quadro che non si riesce a far varare dal nostro parlamento che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ritiene quale necessità improrogabile al fine di qualificare legislativamente la questione.
Resta comunque da fare molto, anzi troppo anche perché non risultano essere stati ancora attuati gli importanti impegni presi dal governo Prodi, tramontati dopo la sua caduta e che riguardano i seguenti punti per i quali facciamo un appello al Ministero della Salute affinché possano essere concretizzati:
- la realizzazione di un programma nazionale triennale sulle malattie rare;
- l’istituzione di un fondo nazionale per le malattie rare, per la ricerca, lo sviluppo e l’accesso dei pazienti ai medicinali orfani;
- l’istituzione di un comitato nazionale per le malattie rare presso il Ministero della Salute (rappresentanti delle Regioni, dei seguenti Ministeri: Salute, Pubblica Istruzione, Università e Ricerca, Politiche per la Famiglia, Solidarietà sociale e dell’ISS e delle associazioni di tutela dei malati) con compiti consuntivi e propositivi sulla gestione del fondo;
- la defiscalizzazione della ricerca sui farmaci “orfani” quale possibile incentivo per le case farmaceutiche che inevitabilmente hanno poca attrattiva nei confronti degli stessi;
- la disponibilità e gratuità di farmaci (classe C), di alimenti, di dispositivi medici e di altre sostanze attive utili per la cura sintomatica e di supporto esclusivamente dei soggetti portatori di malattie rare.

Lecce via Duca Degli Abruzzi alcuni cittadini indignati per il selvaggio taglio di pini


Ancora segnalazioni dal Comune di Lecce da parte di cittadini indignati, per non dire altro, questa volta per il taglio completo di alcuni pini che è avvenuto nella giornata di oggi 31 gennaio su via Duca degli Abruzzi.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, non può non condannare quest’atto d’inciviltà che purtroppo per l’ennesima volta avviene nel silenzio di tanti, ma che denunciamo grazie alla coraggiosa attenzione di chi ha ancora senso civico e segnala un’azione di violenza contro la natura che condanna ad ingiusta ed ingiustificata morte robusti e giovani alberi, così causando un ulteriore depauperamento al non florido patrimonio arboreo del capoluogo.

domenica 30 gennaio 2011

Italia:da un’ indagine Istat affonda la fiducia dei consumatori


A gennaio 2011 l’indice del clima di fiducia dei consumatori è sceso, a 105,9 da 109,1 del mese precedente. Il calo è dovuto a un maggior pessimismo sul futuro della situazione economica del paese e della famiglia (l’indice del “clima futuro” passa da 98,1 a 90,9), mentre migliora leggermente l’indicatore relativo al clima corrente (da 116,5 a 117,0).
Anche l’indice relativo al clima economico generale scende da 81,9 a 77,3, mentre si deteriorano in misura minore le valutazioni sul clima personale (l’indice scende da 121,9 a 120,6). Riguardo ai prezzi, i giudizi circa l’evoluzione degli ultimi dodici mesi segnalano una accelerazione e le previsioni sull’andamento futuro mostrano attese di accentuazione della dinamica inflazionistica.
Questo é quanto emerge dall'indagine dell'Istat sullo stato della fiducia dei consumatori.
Pur condividendo le osservazioni di autorevoli esponenti delle associazioni dei consumatori in merito alla necessità dell’indifferibilità di interventi urgenti del governo in grado di rimettere in moto l’economia, quali il rilancio dei consumi attraverso la detassazione dei redditi fissi e la ripresa degli investimenti nella ricerca, tutte questioni assolutamente necessarie ed improcrastinabili, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ritiene che l’esecutivo stia continuando a sottovalutare tali preoccupanti segnali che però non evidenziano un ulteriore circostanza: ossia che anche il livello della soglia di povertà si stia abbassando gradualmente ma troppo pericolosamente e l’abbassamento della fiducia dei consumatori è solo una faccia della medaglia che non evidenzia quante famiglie non siano più in grado di far fronte alle quotidiane esigenze alimentari. Non per essere troppo pessimisti, ma Tunisia, Albania ed Egitto, forse non sono mai state così vicine, non solo geograficamente.

sabato 29 gennaio 2011

Sicurezza alimentare: sul web l’elenco di tutti i prodotti alimentari ritirati dal mercato pericolosi per la salute


Per la tutela della salute dei cittadini estendiamo l’idea rivoluzionaria della regione Valle d’Aosta che ha pubblicato in rete l'elenco dei prodotti alimentari pericolosi per la salute

La rivoluzione in materia di tutela di salute dei consumatori parte dalla Valle d’Aosta ed in particolare dal suo Assessorato alla Sanità che dal 1 gennaio 2011 ha messo in rete e quindi a disposizione della generalità dei cittadini, l’elenco di tutti i prodotti alimentari ritirati dal mercato perché ritenuti pericolosi per la salute in conseguenza di alcuni casi d’intossicazione di massa accaduti negli anni precedenti.
Un’idea a dir poco antesignana e coraggiosa visto che dall’inizio dell’anno i cittadini saranno regolarmente informati su tutti quei prodotti comprensivi di dati che solo sino a qualche tempo fa risultavano riservati e non divulgabili perché riguardanti i marchi, la provenienza la quantità, il motivo del ritiro e la lista dei negozi dove sono stati commercializzati.
Risulta evidente che l’utilità delle informazioni non va a beneficio dei soli singoli cittadini che saranno più consapevolmente guidati negli acquisti, ma anche agli ospedali che avranno più elementi a disposizione nelle diagnosi cliniche che riguardano circostanze analoghe.
Chi è sensibile alla tutela dei diritti dei consumatori non può non condividere l’iniziativa della regione autonoma che ha preferito superare la rigidità del sistema di allerta standard italiano che in quanto informato al principio di prevenzione, si limita alla sola individuazione del tipo di prodotto ed al ritiro dal mercato senza ulteriori comunicazioni al pubblico eccettuate quelle per le contaminazioni da “botulino”. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che ritiene utile un’estensione dell’idea su tutto il territorio nazionale anche al fine di garantire indistintamente a tutti i cittadini di poter essere ragionevolmente e tempestivamente informati sui rischi alimentari.
Nel frattempo il consigliere regionale Aurelio Gianfreda dell’IDV, presidente della IV commissione regionale permanente della regione Puglia, ha già fatto sapere che presenterà un’iniziativa legislativa affinché la Puglia si doti nell’immediato dello stesso sistema a tutela della salute pubblica.

Ministero dell’Interno: sono illegittimi i verbali ai sensi degli artt. 141 e 146 del c.d.s. elevati con strumenti automatici senza la presenza degli


Ministero dell’Interno: sono illegittimi i verbali ai sensi degli artt. 141 e 146 del c.d.s. elevati con strumenti automatici senza la presenza degli agenti accertatori se non sono ancora omologati o approvati

Se i dispositivi di rilevazione elettronica delle infrazioni non sono debitamente omologati o approvati con apposito decreto ministeriale, ed in particolare i cosiddetti semafori intelligenti e comunque anche autovelox e photored di ultima generazione, non è possibile elevare infrazioni senza la presenza degli organi di Polizia Stradale. Così la circolare con numero di protocollo 209 del 19.01.2011 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti – Dipartimento per Trasporti, la Navigazione e i Sistemi Informatici e Statistici – Direzione Generale Sicurezza Stradale - Divisione II.
Secondo il Ministero “i dispositivi o apparecchiature richiamati nei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 201 (ndr per l’appunto le apparecchiature elettroniche con le quali è possibile elevare le infrazioni senza la contestazione immediata) devono essere omologati od approvati per la specifica funzione di rilevamento e non si può dunque impiegare per attività diverse un dispositivo omologato od approvato per un determinato accertamento, senza che ne sia stata garantita la funzionalità attraverso una specifica procedura”.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” risultano quindi nulli tutti i verbali elevati in violazione di quanto previsto dalla legge come confermato dalla circolare se privi di omologazione o approvazione.

venerdì 28 gennaio 2011

Mala amministrazione.Le segnalazioni dei cittadini. Le foto degli uffici ZTL della Polizia Municipale di Lecce


Segnalazioni di mala amministrazione, burocrazia, inefficienza. Le foto inviate da un cittadino del 3° piano degli uffici della Polizia Municipale di Lecce

Tra le tante segnalazioni di mala amministrazione, burocrazia, inefficienza, oggi giunge a Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la fotografia di un luogo che a Lecce molti cittadini stanno imparando a conoscere bene, dopo le migliaia di verbali che stanno imperversando da quando è stata avviata la procedura di controllo fotografico dei varchi della zona a traffico limitato (ZTL) nel centro storico di Lecce.
Ed infatti, un solerte ed attento osservatore recatosi al terzo piano degli uffici del comando della Polizia Municipale di Lecce, nelle adiacenze dell'Ufficio ZTL, è rimasto stupefatto quando ha visto che in bella vista in uno dei locali ivi posti risultavano accatastati, nel modo che solo la visione della foto può rappresentare, decine di faldoni pieni zeppi di documenti.
A voi l'opinione. Noi dello “Sportello dei Diritti”siamo rimasti increduli: altro che privacy!
Continuate, quindi, cittadini ha mandarci le Vostre segnalazioni e denunce per dare i necessari input per migliorare la (Nostra) pubblica amministrazione.

Processi lumaca. Super risarcimenti in un anno. Giustizia rischia il collasso



Secondo la relazione del Procuratore Generale della Cassazione nel 2008 indennizzi per 81 milioni di cui ben 36 milioni e mezzo non pagati. E chi paga sono sempre i cittadini

La lentezza della Giustizia italiana è un problema che la politica sta cercando di affrontare da decenni senza purtroppo alcuna valida soluzione e a pagare il conto sono sempre i cittadini e quindi lo Stato che è costretto, dopo l’introduzione della legge 89/2001 meglio nota come “legge Pinto” , a dover indennizzare le vittime dei processi lumaca che spesso, anche dopo la sentenza che riconosce il diritto all’indennizzo, devono aspettare ancora altro tempo per intascare materialmente l’importo liquidato. L’aveva ricordato qualche giorno fa in un suo comunicato Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, in merito ad una recente sentenza del Consiglio di Stato sull’obbligo di provvedere all’equa riparazione entro sessanta giorni.
Oggi arriva la conferma di quanto avevamo riportato: sono, infatti, troppi i risarcimenti per la lentezza dei processi e quindi il comparto Giustizia è a rischio default. Nel solo 2008 l’importo che lo Stato italiano è stato condannato a pagare per risarcire le vittime dei processi-lumaca ammonta a circa 81 milioni di euro, di cui ben 36 milioni e mezzo «non risultano pagati malgrado l'esecutività del titolo». Il preoccupante grido d’allarme non viene da qualche istituto statistico, ma direttamente dal procuratore generale della Corte di Cassazione, Vitaliano Esposito, nella relazione per la cerimonia dell'apertura dell'anno giudiziario 2011.
«Lo Stato – secondo quanto dichiarato dal PG - preferisce pagare invece che risolvere la problematica dell’esorbitante durata dei processi ma, per di più, non è neppure in grado di adempiere a tali obblighi di pagamento. Cosa poco consona per un Paese che fa parte della elitaria cerchia del G20». «È oramai sotto gli occhi di tutti – prosegue Esposito - come la situazione quasi fallimentare della giustizia e dei suoi tempi si stia trasformando in una situazione che si può definire quasi di insolvenza per lo Stato». È noto, peraltro, che l’Italia risulti inadempiente rispetto ai principi del giusto-processo: «E ciò ha portato di recente la Corte di Strasburgo a parlare, senza mezzi termini, di defaillance dello Stato italiano, tale da minacciare perfino i meccanismi di applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali». Al 21 dicembre scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo «ha constatato in 475 casi la violazione della convenzione europea da parte dello Stato italiano per i ritardi nella corresponsione dell'indennizzo liquidato dalle Corti d’appello».

mercoledì 26 gennaio 2011

Quote rosa anche per i commissari esterni di concorsi al Comune.


Quote rosa anche per i commissari esterni di concorsi al Comune. Il Tar Lazio pone l’accento sulla necessità di trasparenza dopo la prova annullata

La trasparenza nei concorsi dovrebbe essere un fatto normale, ma si sa che in Italia che paese normale non è, tale requisito diviene un optional anche se il concorso è stato già annullato dal Consiglio di Stato. Per tali ragioni Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta la sentenza n. 42/2011 del Tar Lazio, con la quale è stato espresso il principio secondo cui se il concorso è stato annullato, il Comune deve sostituire tutti gli esaminatori, rivolgendosi stavolta a esperti esterni all’ente, e garantire la presenza di almeno una donna nella nuova commissione che dovrà giudicare le prove.
La vicenda che dura ormai da circa quindici anni, nasce da un concorso per un posto di lavoro in un comune, annullato dal Consiglio di Stato perché uno dei candidati aveva violato le regole dell’anonimato della prova avendo lasciato dei segni di riconoscimento nel proprio elaborato. L’amministrazione locale nel procedere con il nuovo concorso aveva confermato gli esaminatori uscenti, interni all’ente, tranne due commissari che nel frattempo erano andati in pensione e perciò sostituiti da altri dirigenti interni.
Anche questa volta il ricorrente non si è perso d’animo ed ha contestato la procedura di nomina dei “nuovi” commissari, poiché ha ritenuto come confermato dalla corte amministrativa, che il Comune nell’eseguire la sentenza di Palazzo Spada non ha seguito i ragionevoli criteri di trasparenza ivi dettati.
Secondo i giudici del Tar i nuovi esaminatori sarebbero dovuti essere tutti esterni all’ente, dal momento che l’annullamento del precedente concorso è stato dettato dall’ovvio sospetto che la prima commissione abbia favorito il vincitore della prova.
Peraltro, secondo i giudici amministrativi, nella composizione della nuova commissione il comune dovrà assicurare la presenza di almeno una donna commissario per l’ovvia esigenza di garantire le pari opportunità, nonostante le norme che la prevedono abbiano natura programmatica.

martedì 25 gennaio 2011

Molestie telefoniche a sfondo erotico da ora punite penalmente


Sono sufficienti poche chiamate in breve tempo per integrare gli estremi del reato purché si dimostri la volontà di disturbare la vittima con frasi a sfondo erotico

Se il termine stalking è ormai entrato nel linguaggio e nella cronaca comuni per identificare fatti eclatanti di gravi e continuativi atti di persecuzione - come Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ha più volte evidenziato - la cassazione penale con la sentenza n. 1838/11, ci ricorda che eventi di minore clamore sociale quali le molestie telefoniche, anche per brevi lassi temporali, possono integrare la contravvenzione di cui all’articolo 660 del codice penale che punisce il colpevole con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516.
Così rischia la condanna colui che ripetutamente chiama una ragazza sul cellulare rivolgendole frasi a sfondo erotico. E ciò anche se le telefonate furono in sostanza poche e pure concentrate nel tempo, purché si dimostri il dolo generico dell’agente, inteso come volontà e consapevolezza di arrecare disturbo alla parte offesa.
Secondo la prima sezione penale della Suprema Corte che si rifà ad altro recente precedente (Cass. Pen. Sez. 1° n. 29933/10), integrano la contravvenzione di molestia alle persone anche poche telefonate disturbatrici, specie se di contenuto odioso, non esimendo la sussistenza del reato l’eventuale concorrenza di altri disturbatori – rimasti ignoti o comunque estranei al processo.
Nel caso di specie l’imputato, peraltro, non è riuscito a dimostrare da una parte di aver davvero dimenticato il cellulare al bar, come sottolineato dagli ermellini che hanno confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Salerno, e dall’altra la mancanza dell’elemento soggettivo atteso che il reato di cui all’art. 660 del codice penale: “è sorretto dall’elemento psicologico del dolo generico- coscienza e volontà di arrecare disturbo o molestie, nella fattispecie palesemente ricorrenti – essendo la petulanza e il biasimevole motivo elementi che confluiscono in quelli oggettivi della fattispecie, ed essendo irrilevanti gli eventuali motivi personali”.

lunedì 24 gennaio 2011

Il Consiglio di Stato interviene in materia di elettrosmog


Il Consiglio di Stato interviene in materia di elettrosmog: no all’autorizzazione ad un nuovo ripetitore per telefonia mobile se il Comune non esclude, già in sede d’istruttoria, interferenze con l’impianto esistente

La sentenza n. 372/11 della sesta sezione del Consiglio di Stato pone a dir poco signficativi “paletti” in materia di elettrosmog e ripetitori per cellulari, così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Secondo la decisione della suprema corte amministrativa le antenne del segnale dei cellulari devono essere localizzate sul territorio in modo da ridurre al minimo l’emissioni di onde elettromagnetiche: spetta al Comune, prima di assentire la realizzazione di un nuovo impianto radio base, verificare se la nuova stazione potrà generare interferenze con quello già presente e autorizzato dall’amministrazione.
È preciso dovere dell’ente locale mettere in atto tutte le iniziative possibili a ridurre l’esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici e quindi di vigilare sulla potenziale dannosa proliferazione degli impianti.
Nell’accogliere il ricorso dell’azienda che gestisce i tralicci di telecomunicazione per alcuni gestori avverso la frettolosa autorizzazione di una giunta municipale ad un nuovo ripetitore radio di proprietà di un gestore telefonico nazionale che era destinato a sorgere a soli sette metri dall’impianto di proprietà della ricorrente, i giudici amministrativi hanno applicato il principio secondo cui se la nuova stazione di trasmissione del segnale dovrà sorgere molto vicino ad un altra operativa da tempo, l’amministrazione deve sempre controllare già in sede di istruttoria del nuovo titolo autorizzatorio l’eventuale situazione di conflitto con l’altro impianto di ripetizione d’onde attivo sul territorio comunale.
Non ci resta che lanciare l’appello, ovvio, a tutti quei comuni che nel corso degli anni hanno reso possibile la proliferazione nei propri territori di antenne di ogni tipo, affinché pongano un argine alla crescita dannosa d’impianti, che spesso risultano inutili, perchè incoraggiata dall’aspra concorrenza delle multinazionali della telefonia e verifichino puntualmente tutti i parametri di legge comprese le nuove importanti linee tracciate dalla decisione commentata.

Nel mercato illegale in internet i farmaci sono contraffatti sino al 50% dei casi.


Il web può definirsi tra le più grandi scoperte dell’umanità ma troppo spesso il suo uso illegale è divenuto strumento per organizzazioni criminali o comunque pratica e rapida via per delinquere. Così avviene che il mercato parallelo di farmaci contraffatti stia prendendo pieghe inimmaginabili perché proprio la rete, contribuendo alla diffusione immediata delle informazioni consente l’acquisto all’ingrosso e senza alcuna mediazione, di farmaci senza ricetta e a basso costo che non garantiscono alcuna certezza della provenienza, della composizione, della scadenza, così creando gravi pericoli per la salute individuale e quindi pubblica.
Le stime dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ritengono che la vendita di farmaci contraffatti nel mondo vari da meno dell’1% nei Paesi industrializzati a più del 10% nei Paesi in via di sviluppo, in dipendenza dall’area geografica, anche se la F.D.A., l’Autorità di controllo americana sui farmaci, ritiene il valore più alto (10 %), come dato maggiormente probabile.
È noto, infatti, che nei paesi in via di sviluppo la commercializzazione di farmaci di tal genere è prassi quotidiana ed è un dramma, ma il dato che sorprende è che secondo le statistiche conosciute, sul mercato illegale di internet si toccano punte che riguardano il 50 % dei casi (dati estratti da The new estimates on the prevalence of counterfeit medicines, IMPACT (2006) e da Matrix of Drug Quality Reports in USAID-assisted Countries by the U.S. Pharmacopeia Drug Quality and Information Program (http://www.usp.org/pdf/EN/dqi/ghcDrugQualityMatrix.pdf) Rockville: The United States Pharmacopeial Convention Inc. (2007)).
E non si tratta solo di viagra o stimolanti sessuali, si parla anche di farmaci per diabetici, cardiopatici e tutta una serie di patologie anche pericolose, oltre al famigerato mercato parallelo di ormoni, anabolizzanti, stimolanti e diuretici per sportivi e palestrati.
Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” si chiede quindi quali verifiche siano stati attivate dalle Autorità di controllo e vigilanza sul territorio nazionale, se è stato proprio l’Istituto Superiore di Sanità a riportare tali dati sul proprio sito. La salute dei cittadini non può e non deve essere ridotta solo ad una preoccupante statistica e per queste ragioni riteniamo improrogabile l’avvio di immediati controlli a tappeto.
L’IDV si sta già attivando a presentare sia in parlamento con il deputato pugliese Pierfelice Zazzera che presso la regione Puglia attraverso il consigliere regionale Aurelio Gianfreda, interrogazioni al Ministro ed all’assessore regionale alla Salute in merito alla questione.

domenica 23 gennaio 2011

Presentato nuovo atto di sindacato ispettivo per un’indagine conoscitiva sui servizi radiologici dell’INAIL


Siamo impegnati su ogni fronte a vigilare sugli sprechi nella pubblica amministrazione o ente dello Stato e per tale ragione riteniamo opportuno segnalare l’importante atto di sindacato ispettivo, il n. 4-04365 presentato in data 18-01-2011 a firma dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, capogruppo al senato e Giuliana Carlino per un’indagine conoscitiva su eventuali sprechi sui servizi di radiologia dell’INAIL, l’ente nazionale di previdenza sul lavoro. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Forse a tutti non è noto, infatti, che già a seguito della legge n. 67 del 1988, l’INAIL provvede agli accertamenti e quindi anche quelli radiologici sui lavoratori infortunati e tecnopatici e per questa ragione vennero istituiti laboratori di radiologia presso le sedi dell'INAIL ed assunti specialisti in radiologia (con contratto di tipo privatistico) e tecnici di radiologia (con contratto di dipendenti di ruolo), ai fini di migliorare il grado di assistenza per gli infortunati e tecnopatici e di elevare anche la prestazione medico-legale mirata agli accertamenti dei postumi invalidanti.
Nel decennio 2000-2010 è proseguita l'opera di ammodernamento dei locali radiologici e l'acquisto di nuovi apparecchi di radiologia con un costo di parecchi milioni di euro e sarebbe risultato che in molte sedi INAIL tali impianti di radiologia, anche se nuovi, sarebbero rimasti praticamente inutilizzati con conseguente deperimento delle apparecchiature e risulterebbe che i costi di manutenzione delle citate apparecchiature sarebbe stato quasi pari ai costi delle apparecchiature stesse, mentre al contempo molti di quei tecnici di radiologia di elevata professionalità assunti, sarebbero stati destinati addirittura ad altre mansioni.
Peraltro, nonostante l'impegno economico sostenuto dall'ente per l'acquisto dei suddetti apparecchi radiologici e per i costosi lavori di allestimento dei locali dove essi avrebbero dovuto funzionare e nonostante l'esistenza presso l'INAIL di un costosissimo sistema informatico centralizzato (i cui difetti strutturali e i cui malfunzionamenti sono già stati rilevati nell'atto di sindacato ispettivo 4-03578), l'Istituto non avrebbe neanche attuato il servizio di lettura a distanza dei radiogrammi, servizio che avrebbe dovuto effettuarsi nelle sedi INAIL.
Tali circostanze hanno evidentemente arrecato nel corso degli anni grave disagio agli infortunati e tecnopatici i quali sono costretti a recarsi in centri privati convenzionati con l'Istituto per effettuare gli esami radiologici, a dispetto del citato articolo 12 della legge n. 67 del 1988, comportando con ciò un ulteriore dispendio di risorse in capo all’ente.
Per queste ragioni, gli interroganti hanno chiesto ai Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell'Economia e delle Finanze e della Salute: “quale sia stato il costo complessivo del rinnovo o dell'allestimento dei locali radiologici delle sedi INAIL e dei relativi apparecchi radiologici; quali siano state le modalità di espletamento delle gare di appalto per i lavori di allestimento dei locali radiologici e per l'acquisto degli apparecchi radiologici nel periodo 2000-2010; quanti siano stati i locali e gli apparecchi radiologici rimasti inutilizzati, in quali sedi dell'INAIL ed il relativo costo; se sulla vicenda illustrata siano in corso indagini della Corte dei conti”.
Alla luce di tanto, come “Sportello dei Diritti” chiediamo che i Ministri interrogati forniscano nel più breve tempo possibile le risposte richieste affinché, nel caso in cui siano effettivamente verificati degli sprechi in danno dello Stato e quindi dei contribuenti e dei lavoratori, vi si provveda a porre un argine e a mettere regolarmente in funzione i servizi in questione.

sabato 22 gennaio 2011

Ecomostri abbandonati: Lecce da 35 anni l'ex dispensario TBC abbandonato a se stesso ferisce la città.


Ecomostri, immobili abbandonati, appalti a metà, sprechi. Lo “Sportello dei Diritti” vigila sul Territorio e raccoglie le denunce dei cittadini. Il caso del “Dispensario” di via Miglietta a Lecce

Cittadinanza attenta e vigile, dotata di spirito civico e di macchinetta fotografica o telecamera, ma anche all’occorrenza di cellulare fornito di occhio digitale, da tante parti del Belpaese, fa giungere a Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, segnalazioni di ecomostri, immobili abbandonati, appalti a metà ed in generale di sprechi.
Questa volta la denuncia viene dalla vicina Lecce, ed in particolare dalla via Miglietta, in pieno centro cittadino, dove giace, abbandonato dall’uomo e da immemorabile tempo (35 anni) un grande immobile che anni e anni fa era luogo di cura, in particolare per l’accertamento della TBC.
Sarà per non ricordare il triste passato, sarà come al solito per l’incuria umana, l’inerzia o la testardaggine di certa politica, aimè troppo diffusa, questo edificio risulta inutilizzato ed in decadenza, tra erbacce, serrande abbassate e porte da troppo tempo murate.
Veniamo a scoprire poi che è ancora di proprietà della Regione Puglia, nonostante sia stato più volte richiesto dall’ente provincia per sistemare degli uffici, soluzione assai condivisibile visti, da una parte la vicinanza con la sede di via Botti e dall’altra gli esborsi per canoni di locazione pagati negli anni dalla provincia per la carenza di strutture adeguate di proprietà provinciale.
Non ci resta che interrogare gli enti competenti affinché finalmente sia trovata una soluzione e restituito decoro e funzionalità.

mercoledì 19 gennaio 2011

Buste - paga “gonfiate”: è perseguibile penalmente per “estorsione” il datore di lavoro


Buste - paga “gonfiate”: è perseguibile penalmente per “estorsione” il datore di lavoro che le impone anche nel caso in cui i dipendenti abbiano avuto la possibilità di andare dai sindacati o dal giudice del lavoro

È un fenomeno tristemente noto e diffuso a livello nazionale quello dei datori di lavoro che obbligano i propri dipendenti a sottoscrivere buste paga “gonfiate”.
Da oggi, però secondo Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”con la sentenza n. 1284/11 della seconda sezione penale della Cassazione i datori che si comportano in tal modo sono passibili di condanna per il reato di estorsione di cui all’articolo 629 del codice penale, se minacciando il licenziamento, impongono la firma di buste-paga superiori alla prestazione lavorativa effettivamente espletata.
I giudici hanno precisato che integra tale fattispecie delittuosa anche nel caso in cui i lavoratori non si siano fatti intimidire e si siano rivolti ai sindacati e al giudice del lavoro, purché la condotta del datore tenda a coartare la volontà altrui mediante la paura.
Sulla scorta della consolidato principio giurisprudenziale (Cass. 36642/07, 16656/10, 656/09, 48868/09) secondo il quale: “integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi” i giudici di piazza Cavour hanno ribadito quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Catanzaro che nel confermare la sentenza di condanna di un datore di lavoro da parte del Tribunale di Castrovillari aveva ritenuto che “per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell’altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un’effettiva intimidazione del soggetto passivo” escludendosi che manchi l’elemento materiale della minaccia e lo stato di soggezione del lavoratore laddove di fronte alla condotta datoriale i lavoratori si siano comunque rivolti alle organizzazioni sindacali e al giudice del lavoro.

martedì 18 gennaio 2011

Leccese arrestato a Dubai per possesso di “ansiolitici”. Interviene lo “Sportello dei Diritti”


Siamo preoccupati per la vicenda del poliziotto leccese arrestato all'aereoporto di Dubai perchè trovato in possesso di ansiolitici utilizzati per curarsi. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” dopo aver appreso della notizia rimbazata sulle cronache locali.
Siamo preoccupati perchè le informazioni sin qui fornite sono scarsissime e non si comprende perchè sino ad oggi non si abbiano ulteriori notizie su di un nostro connazionale che sarebbe “colpevole” della circostanza di dovere alleviare alcuni episodi di crisi depressive con farmaci assolutamente legali in Italia ed in Europa ed oggi già da oltre un mese detenuto nel paese arabo con il rischio di una pesantissima condanna.
Lo “Sportello” ha da sempre rispettato le leggi e le credenze degli altri paesi e popoli, ma riteniamo che la vicenda stia assumendo dei contorni surreali che devono essere immediatamente chiariti se effettivamente al nostro concittadino è stato concesso di curarsi in carcere proprio con quegli ansiolitici che gli sono costati l'arresto.
Per queste ragioni ci siamo subito attivati anche per il tramite dell'onorevole pugliese Pierfelice Zazzera al fine di verificare presso il Ministero degli Esteri ed il Ministero di Giusizia se nel caso in questione si stiano rispettando i diritti umani ribaditi anche dalle convenzioni internazionali e la possibilità di estradizione del cittadino.

lunedì 17 gennaio 2011

Stop assoluto al consumo di alcol in gravidanza


La carenza d’informazione specifica e la pressoché generale assenza di campagne d’informazione sono alla base di una questione sottovalutata da moltissime donne e che oggi Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta alla pubblica attenzione affinché gli organi deputati ed in particolare dal Ministero della Salute sino alle Aziende ospedaliere siano sensibilizzate: il fenomeno del consumo di alcol tra le donne in stato di gravidanza.
Gli effetti del consumo di alcol in gravidanza sono ormai noti e sono connessi con certezza scientifica a difetti alla nascita e considerati quali la principale causa prevenibile di ritardo mentale del bambino, nonché ritenuti uno dei maggiori problemi di sanità pubblica nella maggior parte dei Paesi del mondo. Le puerpere che bevono alcol aumentano i fattori di rischio di successivi problemi mentali del nascituro, anche a dosi inferiori ad un bicchiere alla settimana. E persino il consumo di 1-2 bicchieri al giorno, è associato a disturbi dell’attenzione e del comportamento nell’infanzia.
Alcuni studi hanno dimostrato che l’ingestione di alte dosi ripetitive causino nella misura del 6-10% delle probabilità che il feto sviluppi la sindrome feto-alcolica (difetti di crescita, dismorfismi cranio-facciali specifici, ritardo mentale, problemi comportamentali ed altre anomalie maggiori).
Per dosi ripetitive moderate, invece, c’è il rischio di "effetti alcolici", quali moderata disabilità intellettiva, disturbi della crescita ed anomalie del comportamento, per il binge drinking (saltuario consumo di elevate dosi di alcol con finalità di "sballo" o ubriacatura) il bambino può essere soggetto a moderati deficit intellettivi.
La preoccupazione per cui Giovanni D’Agata riporta l’attenzione dei media, nasce dalla lettura di un’interessante e recentissima indagine conoscitiva sviluppata dall’Azienda USSL di Treviso in collaborazione con l’Università di Trieste sul consumo di alcol tra le gestanti e che ha portato a delle conclusioni stupefacenti e che richiederanno una seria riflessione a livello nazionale per poter prendere le relative determinazioni al fine di bloccare un fenomeno che se non appare in crescita, senz‘alcun dubbio non è in diminuzione. In particolare lo studio ha potuto appurare che ben due donne su tre bevono alcolici prima della gravidanza e solo circa la metà di queste smette di consumare alcolici con la gravidanza.
Peraltro, dalla statistica emerge che “la sola informazione individuale delle donne non pare essere sufficiente a modificare i consumi d’alcol in gravidanza. Le dinamiche che sottostanno alla mancata diminuzione dei consumi in gravidanza sono presumibilmente complesse, con connotazioni culturali, sociali e psicologiche. Lo studio effettuato conferma che gli interventi di prevenzione basati sulla comunicazione di informazioni non producono cambiamenti significativi, per i quali devono essere impiegati altri strumenti di provata efficacia“.
Non resta che avviare nell’immediato, sulla falsariga di quanto ha già fatto l’Azienda USSL di Treviso, campagne di marketing sociale che portino avanti il messaggio che l’astensione totale dal consumo di alcol in gravidanza sia l’unica modalità di prevenzione di effetti negativi sui bambini.
Per queste ragioni, rilanciamo sin d’ora su base nazionale l’iniziativa dallo slogan “mamma beve, bimbo beve”.

domenica 16 gennaio 2011

Clamoroso autogol del Governo. Cibo avariato, abrogata legge che ne riconosce i reati


Altro che Ministero delle Semplificazioni: quello assegnato a Calderoli appare sempre più come il Ministero delle Impunità.
Ed infatti dopo la complicata vicenda della possibile abrogazione dei tribunali minorili con uno degli ultimi provvedimenti “taglia leggi” entrati in vigore ed annunciata qualche giorno fa dal capogruppo alla camera di Italia dei Valori, Donadi, un’altra questione è stata portata all’attenzione dei media e segnalata dal procuratore di Torino Raffaele Guariniello al ministro della salute Ferruccio Fazio, che riguarda la soppressione dei reati connessi con la messa in commercio e vendita di “cibi avariati”.
Questa volta, invero, la mannaia voluta dall’esponente con la legge numero 246 del 28 novembre 2005 che sancisce la cancellazione di tutte le disposizioni legislative anteriori all’ 1 gennaio 1970, tranne quelle ritenute indispensabili alla permanenza in vigore, espressamente elencate dalla legge stessa, si è abbattuta anche sulla legge 283 del 1962 sulla tutela degli alimenti che non appare nell’elenco delle leggi salvate.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ritiene sconcertante quest’ennesima gaffe che non si sa se dovuta ad un implicita volontà politica di abrogare reati gravi - che riguardano in primo luogo la tutela della salute pubblica e la protezione dei prodotti nostrani - che già nel 2007 erano stati oggetto di un tentativo di penalizzazione subito stoppato dalle ovvie e conseguenti polemiche.
Pertanto, ritiene assolutamente necessario un intervento legislativo che ripristini immediatamente le norme abrogate con il ristabilimento di tutti i reati contemplati anche se siamo costretti purtroppo a rilevare che nel frattempo l’intervento della magistratura e dei Nas subirà una brutta battuta d’arresto ed i colpevoli di fatti che solo sino a qualche giorno fa oltre ad essere considerati di notevole impatto sociale erano ritenuti penalmente rilevanti, resteranno impuniti.

venerdì 14 gennaio 2011

Se il cane abbaia di notte ne rispone penalmente il proprietario


Per la Cassazione passibile di sanzione penale il proprietario
Ammenda di 200 euro caduno a marito e moglie che non evitano il disturbo ai vicini

Colpa del cane o del padrone? Per la prima sezione della Cassazione penale è colpa del padrone se il proprio cane abbia di notte molestando i vicini. La decisione che fa sorridere, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è stata presa con la sentenza n. 715/11 secondo cui la è punibile con la contravvenzione prevista dall’articolo 659 del codice penale il proprietario dell’animale che non impedisce i rumori notturni molesti dell’animale di fronte alle ripetute proteste dei vicini di casa.
Nel respingere il ricorso dei proprietari di due cani custoditi nel cortile della loro abitazione condannati all’ammenda di 200 euro caduno prevista dalla contravvenzione, gli ermellini hanno così motivato sulla falsariga di alcuni precedenti giurisprudenziali: “quanto ai requisiti del reato, per la sussistenza dell’elemento psicologico della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., attesa la natura del reato, è sufficiente la volontarietà della condotta desunta dalle obbiettive circostanze di fatto, non occorrendo, altresì, l’intenzione dell’agente di arrecare disturbo alla quiete pubblica (Cass., Sez. I, 26/10/1995, n. 11868) mentre elemento essenziale della fattispecie di reato in esame è l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l’effettivo disturbo alle stesse (Cass., Sez. I, 13/12/207, n. 246)”.

giovedì 13 gennaio 2011

Cassazione penale e mobbing. Sentenza shock


Integra il reato di maltrattamenti solo se il rapporto lavorativo è para-familiare
In attesa di una legge chiarificatrice della materia, come ha più volte sottolineato Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” si assiste ad una serie di decisioni giurisprudenziali spesso contradditorie fra loro e ad oggi un fenomeno che milioni di lavoratori subiscono e che quindi è presente nella realtà fenomenica provocando anche effetti giuridici, quale il mobbing, appare come un contenitore elaborato dalla giurisprudenza assai fumoso ed ancora purtroppo non compiutamente definito o definibile.
La sentenza della IV sezione della Cassazione penale n. 685/11 interviene sugli aspetti penalistici delle condotte mobbizzanti ritenendole sorprendentemente quale non suscettibili di tutela penale fatti salvi i casi-limite in cui fra datore e dipendente ci sia una consuetudine tale da rendere il loro rapporto assimilabile a quello familiare e integrare dunque il delitto di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 del codice penale.
Come detto, quindi, in attesa di una norma incriminatrice specifica come sollecitato già nel 2000 da una delibera del Consiglio d’Europa per i lavoratori non rimane che rivolgersi alla giustizia civile risultando possibile applicarsi la tutela prevista in particolare dall’art. 2087 del codice civile.

mercoledì 12 gennaio 2011

Alcooltest e patente di guida. Innovativa sentenza del Gdp di Galatina


Innovativa sentenza del Gdp di Galatina in materia di sospensione della patente e termine per l’accertamento dello stato di ebbrezza a seguito di sinistro stradale. Nullo l’accertamento se effettuato a distanza di ore dal sinistro.

Un’altra sentenza che farà discutere secondo Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la n. 1644/10 resa il 07/10/2010 dal Giudice di Pace di Galatina avv. Antonio Sindaco in materia di alcooltest e sospensione della patente.
Secondo il giudice salentino, infatti, l’accertamento del tasso alcoolemico a distanza di ore dal momento del sinistro inficia tutto il procedimento sanzionatorio eliminando ogni certezza giuridica allo stesso, poiché non si può essere certi che al momento del sinistro il presunto trasgressore avesse violato la norma di cui all’art. 186 del C.d.S. Tale circostanza rende quindi nulla l’ordinanza – ingiunzione di sospensione della patente di guida che trae giuridico fondamento dal suddetto accertamento.
Ritiene il giudicante, infatti, che “non si può escludere che il superamento del tasso consentito di alcool (nel sangue) fosse conseguenza di una condotta successiva al sinistro stesso, dato che il ricorrente, nell’arco delle tre ore intercorse (tra il sinistro e l’esame effettuato presso la struttura sanitaria competente,come da documentazione sanitaria allegata), ha avuto la possibilità di assumere liberamente sostanze alcoliche di vario genere”.

lunedì 10 gennaio 2011

Vertenza azionisti ALITALIA contro Berlusconi.


L’azionista Francesco Toto che che difende anche altri azionisti unitamente all’avv. Francesco D’Agata presenta un’istanza in corte d’appello di Lecce per l’anticipazione dell’udienza

Ieri 10 gennaio 2011, l’azionista Francesco Toto che difende anche altri azionisti unitamente all’avv. Francesco D’Agata dello “Sportello dei Diritti” ha presentato un’istanza in Corte d’Appello di Lecce per l’anticipazione dell’udienza civile relativa alla questione dell’estromissione degli azionisti intervenuti nella causa civile tra lo stesso avv. Francesco Toto e l’on. Silvio Berlusconi, ritenendo quantomai necessaria - dopo la sorprendente decisione da parte del Tribunale Civile di Lecce di estromettere le decine di soggetti intervenuti e la conseguente ordinanza della corte di appello a cui gli stessi si erano rivolti per essere riammessi nell’azione di primo grado che ha rinviato al 27/06/2012 - un’accelerazione dell’iter processuale stante l’importanza della questione per le ricadute anche in termini sociali.
Di seguito, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta integralmente lo stringato comunicato a firma dell’avv. Toto sull’ennesimo passaggio della questione: “Vicenda Alitalia (Bad Company) vs Berlusconi - nel processso civile pendente innanzi alla Corte di Appello di Lecce. L'avv. Francesco Toto oggi 10/01/2011, nell'interesse degli azionisti, ha richiesto l'anticipazione dell'udienza depositando formale istanza. Denuncia ritardi e tentativi di smembrare il processo di primo grado indebolendo l'azione intrapresa. Il Presidente della Corte dovrà decidere”.

Videomessaggio di Fabio Matacchiera presidente del Fondo antidiossina di Taranto dopo la querela dell’ILVA


Condividiamo il videomessaggio di Fabio Matacchiera presidente del Fondo antidiossina di Taranto del quale di seguito riportiamo il link http://www.youtube.com/watch?v=6i5-_NY3YcM al fine di darne massima diffusione dopo la denuncia-querela presentata dall’ILVA nei suoi confronti.
Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, perché non possiamo non condividere la battaglia di chi quotidianamente lotta affinché i cittadini di Taranto e di tutto il Salento abbiano finalmente qualche certezza e riscontri oggettivi sulla quantità di emissioni nell’atmosfera ed ha subito un ingiusto oltrechè ingiustificato atto che oggi più che mai assomiglia ad una rappresaglia.

domenica 9 gennaio 2011

Mobbing e vessazioni sul luogo di lavoro. Importante indagine ISTAT


“Il disagio nelle relazioni lavorative”

L’impegno pluriennale nella lotta contro il mobbing e le vessazioni sul luogo di lavoro di Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” oggi può contare su alcuni dati ufficiali che sicuramente contribuiranno a farci riflettere sulla necessità di un intervento (decisivo) legislativo per debellare questa piaga moderna.
Dati ufficiali, dicevamo perché provengono dall’istituto di statistica nazionale, l’ISTAT che per la prima volta con una relazione pubblicata il 15 settembre 2010 dal titolo quantomai eloquente “Il disagio nelle relazioni lavorative” ha analizzato tale fenomeno prendendo in considerazione il biennio 2008 – 09 e quindi un periodo di tempo sufficiente per verificare che non a torto il mobbing, senza che venga mai nominato con tale appellativo nello studio dell’ente, che da anni combattiamo, costituisca una moderna patologia da debellare. Per tali ragioni riportiamo integralmente gli sconvolgenti dati sulle “vittime di vessazioni sul luogo di lavoro” (così le definisce anche l’ISTAT).
Non può non sorprendere la cifra dei lavoratori, ben 2milioni 91mila (7,2 per cento) “che hanno dichiarato di aver subito vessazioni in ambito lavorativo nel corso della vita. Le vessazioni si sono verificate per il 5,2 per cento dei lavoratori negli ultimi tre anni e per il 3,5 per cento negli ultimi 12 mesi (Tavola 5). Analizzando le percentuali negli ultimi tre anni, i comportamenti persecutori e discriminatori riguardano, nel 91,0 per cento dei casi, la sfera della comunicazione, nel 63,9 per cento la qualità della situazione professionale, nel 64,1 per cento l’immagine sociale, nel 50,4 per cento le relazioni sociali e nel 3,9 per cento dei casi aggressioni vere e proprie (Tavola 2). Più specificatamente le vessazioni riguardano nel 79,9 per cento dei casi le critiche senza motivo e l’essere incolpati di qualsiasi problema o errore e nel 62,7 per cento le scenate e/o sfuriate. Sono tra il 34 e il 38 per cento le persone messe a lavorare in condizioni estremamente disagevoli o senza gli strumenti necessari per svolgere il proprio lavoro, calunniate, derise e oggetto di scherzi pesanti, i soggetti a cui vengono affidati temporaneamente mansioni inferiori o superiori con l’intento di umiliarli o metterli in difficoltà e le persone che vengono umiliate o prese a parolacce. Nel 30,3 per cento dei casi, invece, è stato loro impedito di ottenere incentivi, promozioni o riconoscimenti assegnati ad altri colleghi, nel 27-29 per cento esse sono state escluse volutamente da occasioni di incontro, cene sociali, riunioni di lavoro e non viene più rivolta loro la parola. Infine, nel 20,7 per cento viene loro impedito di incontrare o parlare con i colleghi con cui si trovano bene, nel 18,1 per cento costoro sono attaccati rispetto alle loro opinioni politiche e religiose, nel 12,1 per cento subiscono controlli o sanzioni disciplinari, nel 7,9 per cento offerte di tipo sessuale e nel 3,5 per cento aggressioni.
L’analisi per genere mostra alcune differenze. Le lavoratrici subiscono più di frequente, rispetto ai propri colleghi maschi, le scenate, le critiche senza motivo, vengono più spesso umiliate, non si rivolge loro la parola e ricevono più offerte o offese di tipo sessuale. Per gli uomini le situazioni critiche riguardano più direttamente l’attività lavorativa in quanto vengono messi a lavorare più di frequente in condizioni disagevoli, non vengono dati loro gli incentivi o le promozioni che altri hanno, ricevono maggiori sanzioni o controlli disciplinari; inoltre, sono attaccati di più per le loro opinioni politiche e religiose, viene loro impedito di stare con colleghi con cui hanno buoni rapporti e sono più di frequente aggrediti fisicamente.
Negli ultimi tre anni per la maggior parte delle vittime (84,7 per cento) l’attacco tocca più di una sfera personale; in particolare, il 28 per cento ha subito attacchi a due aree, il 27,7 per cento a tre, il 26,3 per cento a quattro e il 2,7 per cento a tutte le aree. Solo il 15,3 per cento ha subito attacchi su un unico aspetto (Tavola 3). Attacchi ad una sola area sono più frequenti per gli uomini (18,3 per cento contro 11,9 per cento delle donne), mentre gli attacchi a due aree e a tre sono più frequenti per le femmine (60,9 per cento contro 51 per cento dei maschi)” (Fonte ISTAT. Il disagio nelle relazioni lavorative. 15/09/2010).

sabato 8 gennaio 2011

Altro salasso per le famiglie aumentate alcune tariffe postali


L’anno nuovo comincia male per i consumatori ed utenti, così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, perché oltre al “caro-benzina”, si uniscono una serie di aumenti tariffari e tra questi si aggiungono aimè anche quelli postali a seguito della pubblicazione sulla G.U. del 29.12.2010 del decreto ministeriale del 25.11.2010 recante "Disposizioni in materia di invii di corrispondenza rientranti nell'ambito del servizio postale universale e tariffe degli invii di corrispondenza raccomandata e assicurata attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie, nonché degli invii di posta non massiva per l'interno e per l'estero".
Già a partire dal 30.12.2010 la raccomandata per atti giudiziari (A.G.) costa 6,60 euro.
Successivamente anche Poste Italiane ha comunicato ufficialmente che anche le tariffe di CAN e CAD sono aumentate, rispettivamente a 3,30 euro e 3,90 euro.
Purtroppo tale serie di aumenti, che vanno a colpire soprattutto le spese di giustizia costituiscono un ulteriore aggravio che rende l’accesso alla giustizia sempre più oneroso per i cittadini.

giovedì 6 gennaio 2011

Attenzione ai Popcorn. Apportano troppe calorie e grassi cattivi.


Festività natalizie e del nuovo anno, tempo di cinema e di barattoloni pieni di popcorn da sgranocchiare durante il film. Ma proprio su quest’ultima abitudine alimentare, non troppo salutare che noi italiani abbiamo trasferito anche nelle nostre case, forse troppo spesso, rivolge l’attenzione Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Una recente indagine di un centro di ricerca americano il “Center for Science in the Public Interest” (Cspi), infatti, rivela alcuni dati negativi in termini di apporto calorico, sale e grassi saturi delle abbondanti porzioni di pop-corn vendute nei cinema statunitensi che oggi costituiscono un modello da copiare da parte di quelli italiani.
Non è raro, infatti, assistere nei nostri cinema grandi e piccoli stracolmi di mais scoppiato contenuti in dei recipienti che arrivano ad assomigliare a secchi riempiti oltre l’orlo, ma forse la gran parte dei consumatori non è a conoscenza che le miscele di oli di basso rango usate per la “scoppiatura” e le copiose quantità di sale utilizzate per condirli possono essere dannose per la salute specie se il consumo diventa un’abitudine costante o un abituale eccesso.
Il Cspi ha analizzato in laboratorio le caratteristiche nutrizionali delle varie porzioni di popcorn venduti nelle tre prime catene di cinema negli Usa e la sorpresa è puntualmente arrivata con la verifica dei valori relativi all’apporto calorico, alla presenza di grassi saturi e di sale che in molti casi, specie per quanto riguarda le calorie superano addirittura le quantità dichiarate.
Peraltro, la ricerca ha evidenziato un’ulteriore dato a dir poco stupefacente per un prodotto (che può essere considerato ne più ne meno alla stregua di un cereale soffiato) che si può ottenere anche e solo con aria e calore. I popcorn analizzati, al contrario, sono risultati preparati con oli vegetali di bassa qualità con le conseguenze che tutti possiamo immaginare in termini di corretta alimentazione.
Non resta che rivolgere un semplice consiglio a tutti i consumatori di popcorn: evitare di abusarne.

mercoledì 5 gennaio 2011

“NO” ai matrimoni gay: lo ribadisce un’ordinanza di oggi della Consulta


L’ordinanza della Corte Costituzionale di oggi la n° 4/2011 ripropone il tema del riconoscimento e della tutela giuridica delle coppie omosessuali escludendo l’illegittimità delle norme del codice civile che impediscono di sposarsi a persone dello stesso sesso. Ne dà notizia Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Secondo i giudici non è possibile celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso in quanto le leggi attualmente vigenti in Italia lo escludono.
L’illegittimità costituzionale è confermata da una serie di norme del codice civile che impediscono le nozze gay (gli articoli incriminati erano: 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231).
Ha fatto bene, insomma, l’ufficiale dello Stato civile del Comune di Ferrara a rifiutarsi di procedere alla pubblicazione di matrimonio richiesta dalle parti private.
La Consulta conferma la linea affermata nella sentenza 138/10 e nell’ordinanza 276/10. Ritenendo suprefluo sollevare la questione di legittimità con riferimento ai parametri individuati negli articoli 3 e 29 della Costituzione: rispetto al principio di eguaglianza l’Alta corte osserva che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio; l’articolo 29, poi, si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica.
Nel promuovere il giudizio di legittimità il Tribunale rimettente sottolinea il rapido cambiamento dei costumi sociali avvenuto negli ultimi anni e l’affermarsi, accanto alle unioni tradizionali, di altre forme di convivenza che - seppure minoritarie - aspirano comunque a una tutela; una protezione che, tuttavia, l’ordinamento giuridico al momento non consente: la Consulta ribadisce l’interpretazione dell’articolo 29 della Costituzione secondo cui «la diversità di sesso è elemento essenziale nel nostro ordinamento per poter qualificare l’istituto del matrimonio».
La Consulta interviene su di un tema delicato sul quale senza alcun dubbio occorre un intervento improcrastinabile del legislatore che sappia cogliere l’evoluzione della società italiana.

Nuova sentenza della Cassazione in favore dei cosiddetti “bamboccioni”.


L’ex marito è obbligato a mantenere il figlio maggiorenne precario e non economicamente indipendente anche se questi non convive più con la madre

Una nuova decisione che farà discutere in favore dei cosiddetti “bamboccioni”, così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” sulla sentenza n. 18 del 3 gennaio 2010 secondo cui l’ex moglie ha diritto all’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, precario, anche se questo vive da un’altra parte purché non sia economicamente indipendente.
Nel caso di specie la prima sezione civile della Suprema Corte ha respinto il ricorso di un imprenditore che era stato condannato prima dal Tribunale di Savona e poi dalla Corte d’Appello di Genova a versare alla ex moglie 400 euro al mese anche per il mantenimento della figlia maggiorenne e non più convivente che svolgeva solo lavori precari.
Sull’obbligo del mantenimento della figlia, gli ermellini hanno sostenuto che “la valutazione del giudice di merito, in ordine alla precarietà e modestia delle attività lavorative svolte dalla figlia, costituisce motivazione adeguata del rigetto della domanda di riduzione dell’assegno”.

martedì 4 gennaio 2011

Privacy: esporre i debiti dei condomini negli spazi comuni ne costituisce violazione


Il condominio deve risarcire i danni

Anche ai condomini tocca adeguarsi in materia di privacy, ed il principio espresso dalla sentenza n. 186 resa in data di ieri 4 gennaio 2011 della seconda sezione civile della Cassazione non fa una grinza secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”: poiché secondo i giudici di legittimità costituisce un illecito affiggere sulle bacheche presenti negli spazi condominiali “le posizioni di debito” di inquilini e proprietari.
Con la suddetta decisione, infatti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un condomino del napoletano che aveva chiesto di essere risarcito dal condominio per violazione della privacy dopo l’affissione nell’androne del palazzo dei debiti che questo non aveva ancora saldato.
Nel caso di specie il proprietario di un immobile all’interno di un condominio aveva citato per danni l’amministratore perché in uno spazio comune erano stati affissi i dati relativi alla sua posizione debitoria. Sia il Tribunale civile di Napoli che la Corte d’Appello ne avevano rigettato le richieste .
I giudici di piazza Cavour investiti a loro volta della vicenda hanno cassato con rinvio la sentenza della corte d’appello accogliendo il ricorso ritenendo prevalenti le esigenze di privacy dei singoli condomini rispetto a quelle di efficienza dell’amministrazione condominiale con ciò riconoscendo anche il diritto al risarcimento del danno per illiceità del comportamento tenuto quale fonte di responsabilità civile.
Per questo il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio secondo cui “la disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, prescrivendo che il trattamento dei dati personali avvenga nell’osservanza dei principi di proporzionalità e di non eccedenza rispetto agli scopi per cui i dati stessi sono raccolti, non consente che gli spazi condominiali, aperti all’accesso a terzi estranei al condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino”.
Peraltro gli ermellini ritengono che “fermo il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche, anche su propria iniziativa, gli inadempimenti altrui nei confronti della collettività condominiale - l'affissione nella bacheca dell'androne condominiale, da parte dell'amministratore, dell'informazione concernente le posizioni di debito del singolo partecipante al condominio, risolvendosi nella messa a disposizione di quel dato in favore di una serie indeterminata di persone estranee, costituisce un'indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile, ai sensi degli artt. 11 e 15 del codice”.

Dal 1 Gennaio 2011 al bando lo Stress da lavoro


Circolare del Ministero del Lavoro: Dal 1 Gennaio 2011 al bando lo “stress” da lavoro
Quanti lavoratori si ammalano di “stress”? Si perché lo stress da lavoro può essere considerato una malattia professionale al pari di tante patologie connesse all’ambiente lavorativo, anche perché come è noto sul il datore di lavoro incombono obblighi ben specifici derivanti dalla legge e dai regolamenti e quindi di monitorare eventuali situazioni che possono arrecare danno alla salute del dipendente.
Una recentissima circolare del Ministero del Lavoro Dipartimento Generale della Tutela delle condizioni di lavoro del 18/11/2010 in attuazione del “Testo unico sulla salute e la sicurezza nel lavoro” ha infatti stabilito una serie di linee guida che obbligheranno i datori di lavoro a verificare per attenuarli fino ad eliminarli tutti i fattori di rischio: dagli orari, ai turni, alla carriera, alla precarietà e finanche agli attriti tra colleghi.
Anche se, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la circolare non aggiunge nulla di nuovo alla legislazione in materia se non ulteriori obblighi di valutazione dei fattori che possono determinare lo stress e di opportuni interventi tesi a rimuovere tali elementi, poiché come detto, il datore di lavoro soggiaceva e soggiace comunque ad una serie di doveri, non sempre rispettati, derivanti dalla legge a partire dall’art. 2087 del codice civile che impone la tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore e della sua dignità morale oltre a normative ancora più specifiche fino a quella penalistica applicabile a partire dal reato di lesioni, lesioni colpose o maltrattamenti nel caso in cui sia dimostrabile che lo stress sia una patologia conseguente al luogo di lavoro ed alla mancata predisposizione delle idonee misure per rimuovere i fattori di rischio da parte del datore.
Quindi dal 1 Gennaio 2011, tutti i datori di lavoro pubblici o privati, avranno l’obbligo di ottemperare alle disposizioni di legge emanate nel 2008, che in realtà dovevano già essere in vigore dal 1 agosto scorso, ma una precedente circolare ministeriale aveva dato proroga per il 31 dicembre 2010, indicando l’obbligo di avviare la procedura di valutazione del rischio stress: il datore di lavoro doveva monitorare i propri dipendenti scegliendo un campione da intervistare per valutare le situazioni di rischio.
Come detto la circolare esplica le varie fasi e le linee guida che nell’intenzione del governo serviranno ad eliminare i fattori di rischio – stress, ove presenti: innanzitutto, la lettera del Ministero parte dalla definizione dello “stress lavoro-correlato”. Sempre secondo la nota ministeriale, la valutazione avverrà in due fasi, la prima, obbligatoria, servirà a rilevare “indicatori oggettivi e verificabili” di vario tipo, dall’indice di infortuni alle “specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori”, dai turni ai “conflitti interpersonali al lavoro”, dalla corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e ciò che viene richiesto loro, all’”evoluzione e sviluppo di carriera”.
Qualora non dovessero emergere fattori di rischio, il datore di lavoro dovrà solo segnalarlo in un apposito documento di valutazione del rischio e prevedere comunque un piano di monitoraggio: al contrario, se risultassero sussistere elementi in grado di causare stress, si passa alla seconda fase, cioè all’adozione di “opportuni interventi correttivi” e se la situazione non dovesse migliorare, alla “valutazione approfondita” attraverso “questionari, focus group e interviste semi-strutturate”.

lunedì 3 gennaio 2011

“Processi – lumaca” e diritto all’equa riparazione: lo Stato ha l’obbligo d’indennizzare entro sessanta giorni le vittime della giustizia lenta


Non passa giorno che non si legga una condanna dello Stato italiano da parte della Corte di Giustizia europea per la lentezza di un numero troppo elevato di processi anche perché spesso i cittadini dopo aver ottenuto parzialmente giustizia attraverso la “legge Pinto” che ha previsto la possibilità dell’equa riparazione nel caso in cui si è stati lesi dalle lungaggini del processo, riescono ad ottenere le somme riconosciute a titolo d’indennizzo solo dopo ulteriori travagli giurisdizionali.
Ecco perché in data odierna Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” segnala la sentenza n. 9541/10 della quarta sezione del Consiglio di Stato che stabilisce un importante principio di diritto secondo cui è ben ammissibile il giudizio di ottemperanza promosso contro l’Amministrazione dal cittadino che non ha ancora ottenuto il pagamento dell’equa riparazione disposta dalla Corte d’Appello in base all’articolo 3 della legge 89/2001 meglio nota come “legge Pinto” contro l’irragionevole durata dal processo.
I giudici amministrativi hanno ritenuto che il decreto di condanna a carico dello Stato fondato sulla suddetta legge contro la lentezza della Giustizia costituisce un provvedimento che ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi e, dunque, assume efficacia di giudicato, costituendo, quindi un valido titolo nel giudizio di ottemperanza contro l’Amministrazione per ottenere l’esecuzione della condanna al pagamento della somma di denaro disposta dal giudice. Tale rimedio risulta esperibile in modo non soltanto alternativo ma anche congiunto al processo di esecuzione davanti al giudice civile, fermo restando che è impossibile ottenere due volte il pagamento della stessa somma.
I giudici di Palazzo Spada nel caso di specie hanno accolto i ricorsi dei cittadini per l’ottemperanza respingendo le doglianze della P.A. che aveva ritenuto di avere comunque attivato tre delle tredici procedure di pagamento in questione anche perché, sempre secondo i giudici, solo il versamento effettivo dell’importo liquidato estingue il debito dello Stato: per adempiere l’Amministrazione ha sessanta giorni di tempo che decorrono dalla ricezione della comunicazione in via amministrativa oppure dalla data, se precedente, della notifica della stessa sentenza del Consiglio di Stato.
Lo “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione di tutti i cittadini vittime delle lungaggini processuali che spesso sono fonti di ulteriori danni che comunque il legislatore ha ritenuto indennizzabili.

domenica 2 gennaio 2011

Interessanti statistiche del nuovo anno: l'identikit del nati nel 2011 e la loro vita futura


Abbiamo appena varcato la soglia del nuovo anno che subito si iniziano a leggere statistiche di ogni di tipo: dalle più stravaganti sino a quella, interessante, che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, sull’identikit dei nati nel 2011, frutto di una ricerca dell’ufficio studi di Allianz che sulla scorta dei dati ufficiali e delle proiezioni degli istituti statistici istituzionali quali Istat, Eurostat e Nazioni Unite ha tentato di individuare l’identikit dei bimbi che nasceranno nel 2011 provando a tracciarne anche la vita futura.
E così grazie al progresso della scienza statistica possiamo sin d’ora conoscere il futuro dei bambini della classe 2011: per quanto riguarda l’aspettativa di vita i nuovi nati vivranno 81,5 anni, 84,5 se la cicogna porta una femminuccia, 78,5 se il fiocco è azzurro - in media, s'intende - 16 anni più dei loro nonni e sei più dei genitori. Cifre che fanno del Belpaese la quarta potenza mondiale per longevità dopo Giappone (86,9), Svizzera (82,4) e Francia (81,8), ben davanti - almeno in questo campo - alla Germania, visto che i bebè tedeschi del 2011 dovranno accontentarsi (si fa per dire) di 80,3 anni.. Avranno qualche problema di girovita, studieranno a lungo (uno su tre dei suoi coetanei si metterà in tasca una laurea). E andranno in pensione - ma questa è ormai quasi una certezza - decisamente più tardi, attorno ai 70 anni.
Quanto ai nomi prescelti si può far riferimento ai più gettonati dello scorso anno che, secondo Allianz, sono stati Alessia, Chiara e Giulia per le bimbe e Andrea, Lorenzo o Simone per i maschietti.
Quasi l'80% dei nuovi nati in Italia nascerà da coppie sposate, decisamente in controtendenza rispetto al 95% di 25 anni fa, ma doppiamo i paesi scandinavi dove più di un bambino su due nasce fuori dal matrimonio classico.
Quanto al livello di scolarizzazione è pressoché certo che i neonati del nuovo decennio ingrosseranno le fila dei "figli di papà” che restano in casa dei genitori fino alla laurea. Ogni tre nuovi nati quest'anno nel Belpaese, uno finirà l'università. Un grande passo in avanti visto che nel 2000 solo un italiano su cinque aveva il diploma mentre dieci anni prima eravamo fermi a un modestissimo 11% della popolazione. Risulta inalterato al contrario il gap rispetto al resto del vecchio continente: più del 40% di norvegesi, svizzeri e francesi è già oggi laureato mentre la media dell'Europa a 27 era già al 33% nel 2009.
Il vero pericolo per i ragazzi del 2011, disoccupazione e malattie a parte, sarà il peso corporeo e la dieta. L'Organizzazione mondiale della sanità, al riguardo, parla chiaro: già oggi due europei su tre non raggiungono il livello minimo raccomandato di attività fisica di 30 minuti al giorno. E le nuove generazioni tendendo ad amplificare invece che ridurre il fenomeno. Nel 2056, all'alba dei 45 anni, il 45% dei figli dei baby-boomers - stimano le proiezioni Eurostat - sarà sovrappeso, il 5% in più della già poco edificante 40% attuale. I più grassi saranno soprattutto i maschi (il 50%) mentre "solo" il 40% delle signore sarà seriamente in sovrappeso. Su questo fronte, a parziale consolazione, siamo messi un po' meglio del resto d'Europa: in Gran Bretagna, Germania e Grecia già oggi una persona su due è sovrappeso e quasi sette bimbi del 2011 su 10 in questi paesi rischia, se non cambieranno le diete nazionali, di dover combattere tutta la vita per provare a rimettersi linea.
Dopo la laurea, una buona occupazione e trovata la propria dimensione fisica, la generazione 2011 avrà davanti a sé un solo obiettivo: "Quota 2081". L'anno in cui, alla veneranda età di 70 anni, potranno finalmente accedere, secondo la società tedesca, a una strameritata pensione. Cinque anni di lavoro in più rispetto ai loro genitori che scattano in automatico oggi che la data del ritiro professionale è legata a filo doppio all'evoluzione demografica e alle aspettative di vita. Uno sforzo che non garantirà loro pensioni all'altezza di quelle attuali - prevede l'Allianz - secondo cui questa generazione dovrà per forza integrare l'assegno di stato con accantonamenti personali.
La tranquillità economica non è nulla in confronto alla salute mentale: chi nascerà quest'anno arriverà ai settant’anni con una salute cerebrale decisamente migliore dei coetanei di oggi. I neuroni, come il resto del corpo, stanno allungando la loro vita attiva. E uno studio appena ripreso da Newsweek assicura che è sufficiente mantenere quotidianamente in esercizio la mente per riportare indietro anche di 35 anni le capacità del cervello. A quel punto ci si potrà godere la vecchiaia. Al futuro penserà la "classe 2092".