martedì 31 maggio 2011

Italia, i prezzi alla produzione e al consumo accelerano nel mese di aprile.


I prodotti manifatturieri sono aumentati in un anno del 3,3%, mentre quelli al consumo nel mese di maggio sono cresciuti dell'1,5. Causa la crisi economica e gli aumenti dei prezzi impazza in tutto il Belpaese la mania del riciclo e sempre più italiani si rivolgono al mercato dell’usato per fare i propri acquisti.
L'Istat ha pubblicato gli indici dei prezzi alla produzione industriale delle manifatture e quelli dei prezzi al consumo. Per i prezzi dei prodotti delle Industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori, venduti sul mercato interno è stato registrato un aumento dello 0,5% rispetto a marzo 2011 e del 4,8% rispetto ad aprile 2010. Al netto del comparto per l'Industria del legno, della carta e stampa gli incrementi sono stati pari, rispettivamente, allo 0,3% e 1,8%.
Per i beni tessili venduti sul mercato estero l’aumento è rimasto pressochè invariato rispetto al mese precedente (per l’area non euro) ma è crescituo del 1,8% rispetto ad aprile 2010. Anche nel mese di aprile gli aumenti più significativi, sono stati rilevati a distanza di un anno per l’area euro nel settore della fabbricazione dei prodotti del legno, della carta e stampa (+6,9%) e per l’area non euro per un incremento del 2,4%.
Osservando, inoltre, gli indici provvisori dei prezzi al consumo, nel mese di maggio, secondo le stime preliminari è stato registrato per l'abbigliamento e le calzature un aumento di appena lo 0,1% rispetto al mese di marzo 2011 e dell'1,4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Molto simile l'andamento dei prezzi al consumo per mobili, articoli e servizi per la casa, dove è stato registrato rispettivamente un incremento dello 0,1% e 1,6%.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, complice la crisi economica e gli aumenti dei prezzi, impazza in tutto il Belpaese la mania del riciclo e sempre più italiani si rivolgono al mercato dell’usato per fare i propri acquisti. Infatti, negli ultimi cinque anni il settore ha visto un incremento del 40% con quasi 5000 esercizi commerciali attualmente attivi in tutta Italia. Di questi la gran parte, circa 2000, si occupano della compravendita di mobili usati, antichi e non. A seguire abbigliamento per grandi e piccoli, oggettistica e libri scolastici.

Escherichia coli: forse la responsabilità è dell’acqua inquinata.


Le autorità sanitarie tedesche hanno confermato che le indagini epidemiologiche sui pazienti colpiti da Sindrome uremica emolitica (HUS) puntano il dito su: cetrioli, pomodori e insalata come veicolo dell’infezione
Le autorità sanitarie tedesche hanno confermato che le indagini epidemiologiche sui pazienti colpiti da Sindrome uremica emolitica (HUS) puntano il dito su: cetrioli, pomodori e insalata come veicolo dell’infezione. Ma le analisi microbiologiche di conferma sono ancora in corso e si lascia intendere che ci potrebbero essere altre cause.
In altre parole le autorità hanno individuato con sicurezza sui pazienti il ceppo epidemico responsabile (Escheichia coli O 104), ma lo stesso ceppo non è stato isolato con precisione sui cetrioli. C'è stato inizalmente un fondato sospetto che però gli accertamenti successivi non hanno confermato. In assenza di questo dato la situazione è un pò ferma e si attendono ulteriori sviluppi.
Vi è incertezza sulle cause che potrebbe essere stata alimentata dalla presenza del batterio nell'acqua di scolo degli allevamenti animali che arrivando nei campi ha contaminato la falda.
Sul fronte sanitario in Germania è iniziata la sperimentazione su 19 pazienti con un anticorpo monoclonale IG umanizzato: Eculizumab per cercare di evitare conseguenze tragiche per le persone in gravi condizioni.
Questo aspetto non è da sottovalutare perchè l'HUS provoca danni irreparabili ai reni.
Per tali ragioni, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” in attesa di conferme invita ad usare la massima attenzione osservando poche norme d'igiene, come ad esempio lavare molto bene le verdure, gli utensili utilizzati in cucina, lavarsi bene le mani ed evitare il contatto di prodotti già lavati con quelli da lavare.

lunedì 30 maggio 2011

La nuova povertà. Si moltiplicano e crescono i mercati degli indumenti usati


Saranno solo dati empirici, sarà solo l’osservazione della realtà, ma passeggiando per i mercati settimanali si può assistere ad uno spettacolo incredibile: crescono e si moltiplicano le bancarelle degli indumenti usati e migliaia di cittadini si recano a frugare a cercare l’occasione.
Si trova di tutto, proprio di tutto, ma ciò che colpisce che oltre ai classici capi d’abbigliamento quali pantaloni, t-shirt, camice, gonne ed accessori, come borse e borselli, si trova qua e là anche ola biancheria intima. Il tutto a 1, 2 massimo 5 euro. E pensare, che dove c’era un mese prima una bancarella con abiti nuovi oggi se ne trova una che espone merce usata.
Sono – secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” - i segni tangibili della crisi che avanza e che travolge anche cittadini e famiglie che solo un paio d’anni fa non avrebbero mai pensato di essere costretti a rivolgersi a questo tipo d’acquisti.
È giunta finalmente l’ora che il Paese cambi marcia.

domenica 29 maggio 2011

UE: Body scanner, sì con condizioni su salute e privacy. Primi test in vari Paesi


Sicurezza o privacy e libertà? Grandi paure o fiducia nella possibilità di realizzare una pace permanente e nei controlli già esistenti? I dilemmi sono tanti, così in Europa si continua a discutere degli strumenti di controllo da introdurre negli aeroporti, sempre più invasivi della salute e della riservatezza dei cittadini.
Per tali ragioni, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta all’attenzione quanto accaduto nei giorni scorsi nella commissione trasporti del Parlamento dell’Unione Europea. Gli eurodeputati, riuniti in merito alla discussione relativa all'installazione dei famigerati “body scanner” negli aeroporti europei, hanno votato favorevolmente per l’introduzione seppur a precise condizioni, facendo presente, però che la scelta o meno d’introdurli è attribuita ai vari stati nazionali. Il voto finale nell’aula di Strasburgo sarà il 23 giugno.
Il relatore del provvedimento lo spagnolo del PPE, Luis de Grandes Pascual, ha voluto evidenziare che tali apparati possono aumentare la sicurezza, ma devono offrire garanzie sulla salute e la privacy.
A dire il vero, in realtà, già molti stati e tra questi Germania, Italia, Francia e Finlandia si sono dotati dei body scanner a scopo di test mentre l'Inghilterra e l'Olanda li hanno già introdotti, sempre a titolo di test, negli scali più importanti, come Heathrow (Londra), dove la tecnologia prescelta si basa sui raggi X.
Il voto del Parlamento avrà lo scopo di condizionare la Commissione Europea che entro l’estate dovrà introdurre nuove regole europee al fine di consentire l’utilizzo dei body scanner nei paesi dell'UE, condizionandone l’uso a determinati requisiti.
In particolare, secondo la commissione Trasporti, per ottenere il via libera i body scanner dovranno rispondere a due principi fondamentali: da una parte dovranno garantire la salute dei passeggeri e dall’altra tutelare la privacy.
Per quanto riguarda il primo problema, la salute, secondo gli europarlamentari, saranno vietate tecnologie basate sui raggi X, così come sulle radiazioni ionizzanti. Per quel che riguarda il diritto alla riservatezza e la protezione dei dati personali, le immagini utilizzate dovranno essere stilizzate e non fotografiche, e non potranno essere per nessuna ragione immagazzinate.
Peraltro, dovrà essere garantito il diritto dei singoli passeggeri a rifiutare gli scanner e sottoporsi a controlli di altro tipo, come i classici metal detector o l'ispezione personale.

Aberrazioni della ZTL. La Gdf gli sequestra la macchina e gli fanno la multa al varco elettronico


Aberrazioni della ZTL a Lecce: la Guardia di Finanza gli sequestra la macchina, la porta presso la caserma situata nel centro storico e gli arriva pure la multa per attraversamento del varco elettronico. Ma il Comune non l’annulla in autotutela e deve essere costretto a fare ricorso

Non finiscono di stupire le segnalazioni per le multe nella ZTL di Lecce del centro storico dopo che da circa un anno sono stati attivati gli occhi elettronici ai varchi. Così come non finiscono di stupire le lamentele dei cittadini che troppo spesso trovano un muro di fronte alla P.A che pare non predisposta ad ascoltare le ragioni, spesso incontrovertibili dei cittadini.
Questa volta ha dell’incredibile la vicenda di un automobilista, che ci viene segnalata dall’avv. Ilario Manco che lo ha difeso nell’iter avviato a partire dal sequestro della propria autovettura.
Lo scorso 7 gennaio, infatti, il malcapitato veniva fermato a Calmiera da una pattuglia della Guardia di Finanza di Lecce alle ore 01,00 circa, nel mentre era alla guida della sua autovettura per un normale controllo. A seguito di tanto, gli agenti della GF accertavano, tra l'altro, che il ricorrente era sprovvisto del contrassegno assicurativo e ritenevano, quindi, che detta autovettura circolasse senza copertura assicurativa ed in conseguenza gli stessi poliziotti della GF eseguivano il sequestro del veicolo e lo conducevano presso i loro uffici, che come è noto sono ubicati in Lecce in Piazzetta Peruzzi di Lecce, in piena zona ZTL.
Successivamente, il ricorrente, recuperata la documentazione e chiarita la sua posizione, otteneva il dissequestro e la restituzione del veicolo che nella stessa serata era stata affidata in custodia alla SGM.
La spiacevole sorpresa gli veniva notificata il successivo 13 marzo quando gli giungeva presso la propria residenza una multa del comune di Lecce per aver “per avere circolato, in data 8.1.2011, alla guida dell'autovettura BMW tg. XXXXX, in località Casale Fornello ossia in ZTL”.
Risultando evidente di non avere alcuna responsabilità per il verbale elevato per attraversamento dei varchi elettronici della ZTL, il cittadino proponeva un istanza in autotutela al Comando della Polizia Municipale confidando nell’inevitabile accoglimento delle proprie ragioni. Ma puntualmente, tale istanza non veniva presa in considerazione e l’automobilista è stato costretto a predisporre ricorso.
Non finiremo di riportare tali segnalazioni - sottolinea Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” - affinché siano da stimolo all’amministrazione comunale del capoluogo salentino per migliorare l’atteggiamento nei confronti dei cittadini, troppo spesso arroccato a difendere le prerogative dell’ente anche quando sbaglia con tale evidenza.
Ricordiamo, infatti, che in molti casi sarebbe sufficiente utilizzare i poteri di annullamento che l’ordinamento concede in via d’autotutela, piuttosto che costringere i cittadini ad avviare ricorsi amministrativi o ancor peggio azioni giudiziarie che come è noto oggi non sono più esenti da costi.

Rumori e musica molesta: scatta il risarcimento per danni morali da movida


Disco-pub di Soleto (LE) deve risarcire vicini anche se non si conoscono i decibel raggiunti
La Cassazione dice STOP contro i locali notturni che turbano la tranquillità e il riposo delle persone. Secondo i giudici di piazza Cavour quei locali che a causa di rumori molesti e di schiamazzi disturbano il riposo dei loro vicini devono risarcire il danno morale. La Suprema Corte ha convalidato un risarcimento per danni morali pari a 5.000 euro nei confronti di un uomo e del suo nucleo familiare a causa dei disturbi provocati da un disco-pub di Soleto in provincia di Lecce. Nella sentenza n° 69/11 della prima sezione penale del 25/05/2011 la Suprema Corte chiarisce che l'articolo 659 del codice penale, che considera reato il disturbo alla quiete dei cittadini, non riguarda tanto il superamento di determinati decibel ma si basa su "criteri di normale sensibilita' e tollerabilita' in un determinato contesto socio-ambientale". Sotto questo profilo gli accertamenti acustici operati dai tecnici dell'Arpa "in quanto accertamento di carattere amministrativo trasfuso in atto pubblico, non ha valore peritale ed e' come tale liberamente valutabile dal giudice che puo' basarsi su altri elementi probatori acquisiti agli atti per ritenere i rumori non connaturati al normale esercizio dell'attivita' lavorativa e al normale uso dei suoi mezzi tipici e causa di disturbo della quiete, a prescidere dalla conoscenza dei decibel raggiunti". Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” sottolinea che nella motivazione la Cassazione ricorda che per far scattare la multa «è necessario che le emissioni sonore rumorose siano potenzialmente idonee a disturbare il riposo o le occupazioni di un numero indeterminato di persone, anche se non tutte siano state poi in concreto disturbate e una sola di esse si sia in concreto lamentata».

sabato 28 maggio 2011

Assegni e cambiali: calo dei protesti ma è allarme mutui per le famiglie italiane

Diminuisce il numero dei 'protestati' nell’anno 2010. Il valore complessivo dei titoli protestati assegni e cambiali nel 2010 ammonta a 4.014.049 migliaia di euro, valore in calo del 14,6 per cento rispetto al 2009 per un importo medio di 2.768,25 euro.
E' quanto emerge dalle tabelle contenute nel rapporto Istat sulla coesione sociale. Al primo posto tra le regioni, per numero di abitanti protestati, si classifica il Lazio dove il 4,3% degli abitanti non e' riuscito a rispettare le scadenze, per un importo medio di 3.011 euro. Al primo posto per importi si classifica invece il Trentino Alto Adige, dove il valore medio dei protesti e' pari a 3.960 euro; allo stesso tempo nella regione si registra la percentuale piu' bassa di protesti (0,4%). In valore assoluto le regioni dove si concentrano di più le mancate promesse di pagamento sono Lazio, Lombardia e Campania con un monte di scoperto pari, rispettivamente, a 748, 736 e 546 milioni. La Lombardia balza in testa alla classifica se si guarda invece al numero di effetti complessivamente protestati, quasi 230mila, seguita da Lazio e Campania rispettivamente con 220mila e 198mila. La graduatoria cambia se si prende in considerazione il valore medio delle “bufale”: il conto più salato lo presentano in Trentino-Alto Adige, Veneto e Lazio. Salerno e Caserta tra le province a maggiore densità di protesti. Migliora, invece, la situazione a Napoli.
Secondo una ricerca di Das Italia, compagnia specializzata nella tutela legale, che analizza i dati sui protesti degli ultimi tre anni (2008-2010), Crotone, Salerno, Frosinone e Ragusa sono le province più “protestate” d’Italia, mentre Bolzano, Trento e Belluno le più virtuose. Nel 2010 il numero dei protesti subisce un calo complessivo del 7,2% rispetto all’anno precedente, tuttavia il fenomeno rimane molto diffuso, sia tra i consumatori, sia tra gli imprenditori. In provincia di Crotone – secondo il rapporto – la densità dei protesti è di uno ogni 22 abitanti, che scende a 23 a Salerno e Frosinone. Al decimo posto si colloca Caserta con un rapporto di 1 protesto ogni 26,5 residenti. La migliore è decisamente Bolzano con un protesto ogni 277,5 abitanti.
Fra le grandi città notevoli miglioramenti rispetto a tre anni fa si registrano a Milano (-16,4%), Napoli (-13,5%), Palermo (-10,2%) e Roma (-5,5%).
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, quello tratteggiato dall’Istat dati alla mano sottolinea come l’economia fa i conti con la recessione. Imprenditori e consumatori fanno più attenzione al portafoglio. Sembra questo il “mix” di condizioni che hanno determinato, nel 2010, una visibile frenata del fenomeno dei protesti rispetto all’anno precedente e che ha fatto fermare il conto delle promesse non onorate a livello nazionale. Tuttavia, i consumatori lanciano l'allarme mutui per le famiglie italiane. In Italia una su quattro spende piu' del 30% del proprio reddito per pagare la rata concordata con la banca. E sommando questa spesa alle bollette e alle altre tariffe, risulta che quasi un nucleo su due, il 46,7%, ha difficolta' a mantenere la propria abitazione. Per quanto riguarda le famiglie in affitto, se nel 2011 queste decidessero di acquistare una casa e accendere un mutuo, il 49,3% si troverebbe in difficolta' a pagarne le rate; il 68,5% non potrebbe garantire sempre la copertura totale delle spese per l'abitazione (mutuo e bollette). Sarebbero piu' a rischio i nuclei unipersonali (68,8%) o formati da un genitore e figli (72,9%); soggetti con scolarita' media, ma magari con un'occupazione a salario basso, e famiglie in cerca di occupazione (59,5%).
La crisi inciderebbe di piu' in Toscana (56,7% dei nuclei), Sicilia (56,5%), Umbria e Marche (54,9%)

giovedì 26 maggio 2011

Ondate di calore: pericolo per anziani e persone fragili.


Lo Sportello Dei Diritti invita i Sindaci e le ASL a mettere in atto l’ordinanza ministeriale del 14 maggio 2011 per tutelare le persone più sensibili.
La “bella stagione” è ormai alle porte, ma non sempre è così bella per ogni categoria di cittadini, specie quelle più deboli e fragili ed in particolare gli anziani soli che sono i più colpiti dalle conseguenze delle improvvise ondate di calore che come è tristemente noto determinano spesso lutti e costi sociali elevatissimi per tutta la collettività.
Lo scorso 14 maggio 2011, va sottolineato, per attenuare gli effetti dei caldi improvvisi e per ampliare le tutele proprio per questi soggetti, il Ministro della salute Ferruccio Fazio ha emanato un'ordinanza che sarà in vigore sino al 30 ottobre 2011 che impone alle amministrazioni comunali di trasmettere alle ASL gli appositi elenchi delle persone over 65, iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.
Le aziende sanitarie locali in collaborazione con i comuni, si legge nell’ordinanza, dovranno attuare tutte le iniziative più opportune per prevenire e monitorare danni gravi e irreversibili conseguenti ai grandi caldi che sempre con più frequenza si verificano in ogni area del Paese già a partire dall’inizio dell’estate.
In particolare le amministrazioni comunali dovranno predisporre servizi di assistenza economica o domiciliare, di telesoccorso, di accompagnamento e di trasporto.
Per tali ragioni, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” invita le ASL e i comuni a dare immediata attuazione all’importante ordinanza e di non procrastinarne gli adempimenti, perché in questi casi la prevenzione può salvare migliaia di vite umane.
Per non considerare poi gli effetti sociali di un monitoraggio di tal tipo e le conseguenze positive anche in termine di riduzione dei costi per la collettività oltreché per il sollievo ed il sostegno morale agli anziani soli che come specificato rappresentano la categoria che patisce in maniera più gravosa gli effetti dei caldi estivi.

mercoledì 25 maggio 2011

Istat siamo in piena recessione. Calano le vendite, ancora giù gli alimentari


Diminuzione al dettaglio del 2%. Reggono gli elettrodomestici.

Nonostante le smentite del ministro dell'economia Giulio Tremonti, l'Istat continua a fotografare un'Italia in piena recessione. Eppure gli effetti negativi continuano a farsi sentire: aumentano i disoccupati in Italia, calano vendite e acquisti di ogni generi, dai supermercati al commercio.
Le vendite al dettaglio a marzo, infatti, sono calate del 2,0% rispetto allo stesso mese del 2010 e dello 0,2% rispetto a febbraio. L'istituto statistico ha poi aggiunto che la discesa registrata su base annua è la più marcata dal gennaio del 2010. Sulla contrazione, sia tendenziale che congiunturale, pesa soprattutto la negativa performance del comparto alimentare (leggi i dati Istat su crescita e industria)
Rispetto a febbraio 2011, le vendite di prodotti alimentari diminuiscono dello 0,3% e quelle di non alimentari dello 0,2%. A confronto con marzo 2010 la differenza è ancora più ampia, -2,6% per i primi e -1,6% per i secondi.
MALE LA GRANDE DISTRIBUZIONE. Sempre su base annua, nella grande distribuzione le vendite segnano variazioni negative sia per il 'food' (-2,9%), dove il ribasso è più accentuato, sia per il 'non food' (-1,2%).
Anche per le imprese operanti su piccole superfici, si è registrata una diminuzione (con un calo dell'1,9% sia per i prodotti alimentari, sia per quelli non alimentari).
Guardando alla dimensione delle imprese, a marzo 2011 il valore delle vendite è diminuito, in termini tendenziali, del 2,2% nelle micro imprese (fino a 5 addetti), del 2,0% in quelle da 6 a 49 e dell'1,7% nelle imprese con almeno 50 addetti.
Quanto al valore delle vendite di prodotti non alimentari, a marzo le riduzioni più forti riguardano i gruppi 'cartoleria, libri, giornali e riviste' e 'giochi, giocattoli, sport e campeggio' (-2,4%), 'abbigliamento e pellicceria e mobili, articoli tessili, arredamento' (-2,3%).
L'unico settore non in negativo è quello degli 'elettrodomestici, radio, tv e registratori', che, però, segna una variazione nulla.
Uno scenario drammatico, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, quello tratteggiato dall’Istat, che dati alla mano sottolinea come tutte le difficoltà che sta attraversando il settore, a partire dalla forte impennata dei prezzi di alcuni prodotti che se de un lato, ha contratto le vendite nei supermarket, dall'altro ha, di fatto, reso sempre più cara la spesa delle famiglie italiane. Il costo della spesa è aumentato facendo così raggiungere ad alcuni beni di largo consumo, come la pasta, ben il 50% di aumento in un anno.

E’ Stalking condominiale se molesta tutte le vicine di casa anche se la vittima è una sola.


Le minacce e gli atti persecutori rivolti a ogni residente solo in quanto donna turbano inevitabilmente anche le altre
I rapporti tra vicini, talvolta, possono diventare davvero difficili. Dal rumore di notte alla pulizia delle scale, dall’aspirapolvere in funzione all’alba fino al parcheggio molesto davanti ai garage… Le occasioni per litigare non mancano. Ma quando le antipatie reciproche sconfinano nei dispetti continui e nella persecuzione, in una lotta all’ultima vendetta, il caso non può che finire in tribunale, con un accusa ben precisa: stalking.
Il reato di cui all’articolo 612 bis Cp introdotto di recente può ben configurarsi anche quando le parti offese sono varie, come nel caso dell’energumeno che molesta tutte le signore del palazzo. Insomma: esiste anche lo stalking condominiale.
Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta in evidenza quello che emerge da una sentenza depositata il 25 maggio 2011 dalla quinta sezione penale della Cassazione.
I problemi sono iniziati quando nella palazzina il molestatore ha iniziato a terrorizzare le vicine di casa, al punto da bloccare sistematicamente l’ascensore dove le sue vittime si rifugiano. Sotto accusa è palese che in questo caso il persecutore molesta le residenti solo in quanto donne. E questo è decisivo ai fini della configurabilità dell’articolo 612 bis Cp: l’offesa arrecata a una persona per la sua appartenenza al genere femminile turba di per sé ogni altra signora che risiede nello stesso luogo di privata dimora. Può essere fondamentale ai fini della configurabilità del reato la circostanza che in una determinata occasione una persona, già molestata dal persecutore, sia oggetto diretto di nuove minacce da parte dell’agente. Inoltre la norma incriminatrice di cui all’articolo 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono i reati di minaccia o molestia, ma non rispetto all’articolo 610 Cp: la violenza privata, infatti, può anzitutto essere commessa con atti per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla a uno specifico comportamento; dunque, la previsione dell’articolo 610 Cp non genera soltanto il turbamento emotivo occasionale dell’offeso per il riferimento a un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività: ecco spiegato, allora, il quid pluris di cui all’articolo 610 Cp.

martedì 24 maggio 2011

Il comune deve risarcire i danni se la buca era piena d’acqua ed il pedone cade e si infortuna


La pozzanghera sul marciapiede non costituisce “caso fortuito” e la responsabilità del comune è aggravata.
Le strade ed i marciapiedi sono spesso groviere, tant’è che tra i programmi elettorali delle recenti amministrative, dal comune più piccolo a quello più grande è possibile leggere che quasi tutti gli aspiranti candidati si sono impegnati a chiudere le buche in caso di elezione. Con i recenti provvedimenti della cassazione la necessità di prodigarsi per eliminare le buche pare sia ormai indifferibile perché al di là degli aspetti estetici e di decoro urbano è la sicurezza stradale e la possibilità di pagare risarcimenti milionari nei confronti degli infortunati che vi incappano a preoccupare maggiormente le amministrazioni locali.
Con l’ordinanza del 24 maggio 2011 che Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” riporta, la cassazione ha precisato che nel caso in cui le buche sul marciapiede colme d’acqua e perciò non visibili ai pedoni, siano causa d’infortunio, il comune non può invocare il caso fortuito ed essere dispensato dalla responsabilità da cose in custodia di cui all’art. 2051 del codice civile.
Risulta, quindi, contraddittoria la sentenza di merito che non accoglie la domanda di risarcimento motivando su di una circostanza di fatto che invece aggrava la posizione dell’amministrazione per l’omessa manutenzione.
I giudici della terza sezione civile della Cassazione hanno dunque accolto il ricorso dell’infortunata dopo che le due corti di merito avevano rigettato le sue richieste e rinviato la causa in corte d’appello.
Secondo gli ermellini, infatti, è illogica in particolare la motivazione adottata dalla corte d’appello che da una parte aveva accertato l’esistenza del nesso eziologico fra l’incidente accaduto alla signora, caduta su di un marciapiede accidentato addebitando così all’ente locale la responsabilità per l’omessa manutenzione, dall’altra, il giudice di secondo grado aveva ritenuto configurabile il caso fortuito che costituisce secondo il citato articolo 2051 del codice civile motivo di esclusione della responsabilità sulla circostanza che la pioggia costituirebbe un evento estemporaneo che ha impedito all’amministrazione di intervenire in modo tempestivo.
Rilevano i giudici di piazza Cavour, che la precipitazione atmosferica costituisce un evento largamente prevedibile e non interrompe affatto la relazione causale fra la cosa posta sotto la custodia del Comune, cioè il marciapiede sconnesso, e il danno, vale a dire il sinistro del pedone. Al contrario, la pioggia occulta «le asperità del suolo» e le rende ancora più insidiose e quindi in assenza di acqua sulla buca si sarebbe potuto configurare un concorso di colpa dell’infortunato che non aveva guardato dove metteva il piede e non si era accorto delle insidie presenti.

lunedì 23 maggio 2011

Istat la situazione del Paese nel 2010: dal rapporto annuale un italiano su 4 è a rischio povertà ma governo pensa solo a spostare i centri di potere


L’Italia torna indietro di 10 anni

Uno scenario drammatico, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, quello tratteggiato nel rapporto annuale 2010 dell’Istat, che dati alla mano sottolinea come un italiano su 4 sia a rischio povertà non riuscendo ad arrivare alla fine mese mentre il governo pensa a spostare i centri di potere.
Peraltro, l’istituto di statistica evidenzia che nel decennio 2001-2010 l'Italia "ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i Paesi dell'Unione europea, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2% contro l'1,3% registrato dall'Ue e l'1,1% dell'Uem".
Di seguito i dettagli del rapporto in sintesi:

1 ITALIANO SU 4 'SPERIMENTA' POVERTA',ESCLUSIONE - Circa un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, piu' o meno 15 milioni) "sperimenta il rischio di poverta' o di esclusione sociale". Si tratta di un valore - rileva l'Istat - superiore alla media Ue che e' del 23,1%.
Il rischio poverta' riguarda circa 7,5 milioni di individui (12,5% della popolazione). Mentre 1,7 milione di persone (2,9%) si trova in condizione di grave deprivazione si trova 1,7 milione (2,9%) e 1,8 milione (3%) in un'intensita' lavorativa molto bassa. Si trovano in quest'ultima condizione l'8,8% delle persone con meno di 60 anni (6,6% contro il valore medio del 9%). Solo l'1% della popolazione (circa 611 mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di poverta', deprivata e a intensita' di lavoro molto bassa. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57% delle persone a rischio poverta' (8,5 milioni) e il 77% di quelle che convivono sia col rischio, sia con la deprivazione sia con intensita' di lavoro molto bassa (469 mila).

-532 MILA OCCUPATI IN 2009-2010, 501 MILA SONO UNDER 30 - "In Italia l'impatto della crisi sull'occupazione e' stato pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati e' diminuito di 532 mila unita'". I piu' colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d'eta' in cui si registrano 501 mila occupati in meno.

1 GIOVANE SU 5 NE' STUDIA NE' LAVORA,SONO OLTRE 2 MLN - Nel 2010 sono poco oltre 2,1 milioni, 134 mila in piu' rispetto a un anno prima (+6,8%), i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. Si tratta del 22,1% degli under 30, percentuale in aumento rispetto al 20,5% del 2009. Lo sottolinea l'Istat nel rapporto annuale 2010, in cui esamina il fenomeno dei cosiddetti NEET (Not in education, employment or training). L'incremento riguarda soprattutto i giovani del Nord Est, gli uomini e i diplomati, ma anche gli stranieri. Infatti, nel 2010, sono 310 mila gli stranieri NEET.

EMORRAGIA LAVORO AL SUD, MA E' CRISI ANCHE AL NORD - Nel biennio di crisi economica 2009-2010 "piu' della meta' delle persone che hanno perso il lavoro erano residenti nel Mezzogiorno", dove l'occupazione si e' ridotta di 280 unita'. E' quanto emerge dal rapporto Istat 2010, in cui si evidenzia pero' come la recessione abbia colpito fortemente anche le Regioni del Nord, dove si contano 228 mila occupati in meno. "Le Regioni centrali - si legge nel rapporto - sono rimaste invece sostanzialmente indenni dalle ricadute della crisi".

EROSO RISPARMIO FAMIGLIE, ITALIA SOTTO BIG UE - Le famiglie italiane, per salvaguardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio, "sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell'Uem", ovvero dell'eurozona. L'Istat sottolinea che lo scorso anno la propensione al risparmio delle famiglie si e' attestata al 9,1%, "il valore piu' basso dal 1990".

800 MILA DONNE ESCLUSE DA LAVORO PER NASCITA FIGLIO - Sono circa 800 mila le donne licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravidanza. E' quanto emerge dal rapporto annuale 2010 dell'Istat, in base ad un'indagine condotta tra il 2008 e il 2009 sulla vita lavorativa delle madri. Si tratta dell'8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato e la percentuale sale al 13,1% per le donne giovani nate dopo il 1973. In generale, sottolinea l'Istat, il 15% delle donne smette di lavorare per la nascita di un figlio.

QUASI 2 MLN ITALIANI CON PROBLEMI SALUTE SENZA AIUTO - Quasi due milioni di italiani con limitazioni della salute non sono raggiunti da alcun tipo di sostegno. Si tratta di persone che vivono sole o con altre persone con limitazioni, o in un contesto familiare parzialmente o del tutto incapace di rispondere ai loro bisogni. Il 37,6% di queste persone e' residente nel Mezzogiorno. Lo afferma il rapporto annuale dell'Istat. Considerato il mix di piu' fonti di aiuti (informale, pubblico e privato) sono state sostenute nel 2009 il 27,7% delle famiglie (erano il 16,9 nel 2003), con un valore massimo nel nord-est (32,2%) e minimo nel Mezzogiorno (26,1%) dove pero' c'e' piu' bisogno. L'Istat rileva piu' aiuti dove le famiglie sono gia' sostenute. Nel nord-est, ad esempio, il 19,7% delle famiglie con almeno una persona con piu' di 80 anni ha ricevuto cura e assistenza grazie al sostegno congiunto di piu' tipi di operatori o servizi; nelle altre zone i valori sono piu' bassi, intorno al 13,5%. Nel complesso, nel 2009 gli aiuti informali, pubblici e privati, hanno raggiunto il 36,7% delle famiglie con bambini sotto i 14 anni (30,5% nel 1998); sono risultate in aumento anche le famiglie con bambini aiutate dal settore pubblico (da 3,4 del 1998 a 6,3%), stabili invece i nuclei che si rivolgono a strutture private (11,5%). Gli aiuti sono cresciuti per le madri che lavorano (da 43,1% del 1998 a 48,9% del 2009), comprese quelle single (da 38,1% a 47,1%). Per le famiglie con anziani, il ricorso esclusivo ai servizi a pagamento e' piu' alto nel Mezzogiorno (13,7%), al Centro (13,5%) e nel nord-est (13,4%) rispetto al nord-ovest (10,6%). Nel 2009, l'aiuto economico da altre persone non coabitanti, da Comuni o altri enti pubblici e privati, ha raggiunto appena il 3,4% delle famiglie con anziani contro il 6,3% registrato per il totale delle famiglie. Circa 700 mila famiglie di anziani sono state raggiunte solo da aiuti pubblici (3% della categoria) o da una combinazione di aiuti pubblici con altre fonti di aiuto (4,8%).

DONNE 'CARE GIVER', 2,1 MLD ORE DI AIUTO L'ANNO - La rete di aiuto e cura informale in Italia si regge sulle donne. Sono loro a svolgere i due terzi del totale delle ore svolte, ben 2,1 miliardi l'anno. Emerge dal rapporto annuale dell'Istat, secondo il quale, sono aumentati gli aiuti gratuiti fra persone che non coabitano (care giver): erano il 20,8% nel 1983, sono stati il 26,8% nel 2009. Diminuiscono, pero', le famiglie aiutate (dal 23,2% al 16,9%), soprattutto quelle con anziani (dal 28,9% al 16,7%). Sono invece in aumento gli aiuti economici erogati dai care giver, il 19,9% contro il 15% del 1998. Questi aiuti hanno raggiunto il 20,6% delle famiglie (18,9%); i destinatari sono soprattutto famiglie con persona di riferimento disoccupata (67,1%) e quelle con madre sola casalinga (42,7%). Anche se sono il fulcro degli aiuti informali, le donne hanno diminuito il tempo dedicato a questa attivita' (da 37,3 ore al mese nel 1998 a 31,1 nel 2009) perche' hanno sempre meno tempo a disposizione; in calo anche il tempo degli uomini (da 26,4 a 21,5). L'eta' media dei care giver si e' alzata, da 43,2 anni nel 1983 a 50,1 nel 2009. In particolare, sono aumentati soprattutto nella classe di eta' 65-74 anni (da 20,2% a 32,7%) e fra gli over75 (da 9,3% a 16,3%). Nel 6,6% dei casi i care giver sono volontari e risiedono piu' frequentemente al Nord (8,1% nel nord-ovest, 7,5% nel nord-est). L'assistenza informale agli adulti e' diminuita nel corso degli anni (da 759,3 milioni di ore nel 1998 a 730,5 milioni nel 2009) mentre e' aumentata di oltre il 50% quella per i bambini (da 805,5 milioni di ore l'anno a 1 miliardo 322 milioni); in calo le ore dedicate alle prestazioni sanitarie, in aumento quelle per compagnia ed accompagnamento. Le donne sono coinvolte per lo piu' nelle attivita' domestiche (84,5%), assistenza di audlti (73%), cura di bambini (66,7%), aiuto nello studio (61,5%). L'Istat lancia un allarme: la catena di solidarieta' femminile fra madri e figlie su cui si fondava la rete di aiuti informale "rischia di spezzarsi" perche' le donne sono sempre piu' sovraccariche di lavoro all'interno della famiglia e le nonne sono sempre piu' schiacciate tra la cura dei nipoti, dei genitori anziani non autosufficienti e dei figli adulti.

domenica 22 maggio 2011

Sprechi alimentari, un’iniqua distribuzione delle risorse in un mondo indifferente.


Uno studio della Fao evidenzia che ben 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo della produzione mondiale, finiscono nei cassonetti. In Italia una parte viene salvata dal Banco Alimentare ma bisogna fare di più.
Una recente indagine commissionata dalla Fao sullo spreco del cibo ha dato risultati a dir poco scioccanti: ogni anno, infatti, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ovvero circa un terzo della produzione mondiale va perduto o sprecato. Di queste 670milioni di tonnellate finiscono nell’immondizia dei paesi industrializzati e ben 630 milioni nei paesi in via di sviluppo.
L’allarme lanciato dallo studio commissionato in occasione del congresso mondiale “Save the Food!”, che si è tenuto in Germania a Dusseldorf il 16 e il 17 maggio ha messo in evidenza altri impressionanti dati. Fra questi, è da rilevare la quantità di cibo che i consumatori dei paesi ricchi sprecano, 222 milioni di tonnellate, che è pari all'intera produzione alimentare netta dell'Africa sub-sahariana, circa 230 milioni.
Secondo la ricerca, frutta, verdura, radici e tuberi, sono gli alimenti che vengono maggiormente sprecati.
Due le ragioni principali dello spreco: per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo si parla soprattutto di “perdita” a causa delle infrastrutture carenti, delle tecnologie obsolete e della mancanza di investimenti mentre per quel che concerne i paesi industrializzati si può parlare di “spreco” ovvero di cibo ancora consumabile che viene gettato nella spazzatura.
Ma veniamo alle cifre pro capite. In Europa ed in Nord America il cibo buttato è pari a 95-115 kg all'anno, mentre nell’ Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico è di 6-11 kg l'anno.
Da qualche tempo, però nel mondo si sta attivando qualche procedura virtuosa per ridurre lo “spreco”. Attraverso la creazione di vere e proprie “Food Banks” parte del cibo che potrebbe essere gettato, infatti, viene “salvato” per essere riutilizzato per scopi sociali, ovvero per dar da mangiare a chi il cibo non può permetterselo.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” è evidente che per invertire la rotta non sono sufficienti tali iniziative, che seppur apprezzabili e necessarie, sono esclusivamente determinate da logiche solidaristiche e caritatevoli e non riescono per la loro stessa natura a ridurre il fenomeno alla fonte. È chiaro e improcrastinabile, invece, un mutamento epocale culturale nella mentalità dei consumatori attraverso un aumento della consapevolezza di tutti i cittadini. Certo, nella civiltà dei consumi è difficile, ma poche misure quotidiane e maggiore attenzione e parsimonia negli acquisti da parte di tutti potrebbero veramente invertire questa pericolosa tendenza.

Sicurezza stradale e risarcimento danni. Autostrade SpA risponde dei danni causati da un animale


Sussiste la responsabilità della società che gestisce l’autostrada (Autostrade Spa) in caso di danno causato dalla presenza di un animale sulla carreggiata
Non importa se sia cane o volpe. Solo la prova del caso fortuito solleva dalla responsabilità il custode
Quanti incidenti stradali, accadono per la presenza di animali sulla carreggiata? Le statistiche parlano di centinaia per non dire migliaia, con conseguenze a volte gravissime per gli automobilisti che in gran parte dei casi sono incolpevoli per essersi trovati all’improvviso la strada ostacolata da cani o altri animali. E per gli enti proprietari o gestori delle strade sono guai. Almeno è così per la Corte di Cassazione che con la sentenza numero 11016 del 19 maggio 2011 che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ha stabilito il diritto al risarcimento del danno per l’automobilista danneggiato per la presenza di un animale sulla carreggiata a meno che le autostrade Spa non riescano a dimostrare il caso fortuito e cioè che non era prevedibile immaginare la presenza di quella specie.
Nulla cambia se si trattava di cane o volpe e per estensione potremmo dire di qualsiasi altro animale.
Con l’importante decisione in commento, infatti, i giudici della terza sezione civile hanno accolto il ricorso di un automobilista che era finito contro il guard rail per evitare un animale sulla carreggiata anche se non era stato in grado di stabilire se si trattasse di un cane o di una volpe.
Proprio perché per tale ultima ragione entrambi i giudici di merito avevano escluso ogni responsabilità delle Autostrade Spa, l’uomo aveva deciso di ricorrere in Cassazione.
La Suprema Corte ha però ribaltato le due precedenti decisioni, stabilendo che comunque sussisteva la responsabilità del gestore, salvo che questi non riesca a provare che la presenza di quella specie sulla strada era assolutamente imprevedibile, ossia il cosiddetto “caso fortuito”.
In particolare, gli ermellini hanno sottolineato che “la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l'attore dimostri il verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode”.
Ma v’è di più: “Ove non sia applicabile la disciplina della responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ., per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene, l'ente proprietario risponde dei danni subiti dall'utente, secondo la regola generale dettata dall'art. 2043 cod. civ. In questo caso graverà sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene, mentre spetterà al gestore provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia”. Peraltro, “allegata e dimostrata la presenza sulla corsia di marcia di un'autostrada di un animale di dimensioni tali da intralciare la circolazione, non spetta all'attore in responsabilità, sia nell'ambito della tutela offerta dall'art. 2051 cod. civ., sia alla stregua del principio generale del neminem laedérem, di cui all'art. 2043 cod. civ., provarne anche la specie, la quale potrà semmai essere dedotta e dimostrata dal convenuto quale indice della ricorrenza di un caso fortuito”.

sabato 21 maggio 2011

Sportello Dei Diritti: ZTL no limits ad invalidi e disabili


Dopo l’ennesima denuncia di una cittadina disabile “maltrattata” lo “Sportello dei Diritti” chiede che l’autorizzazione ai disabili per il passaggio dai varchi elettronici della ZTL a Lecce sia concessa a chiunque sia titolare di permesso anche se residente in altri Comuni.
Ancora una denuncia da parte di una cittadina sul problema persistente del controllo elettronico per i varchi della ZTL di Lecce che continua a mietere multe a raffica nei confronti di migliaia di automobilisti che vanno a rimpinguare le casse di un’amministrazione comunale in affanno economico.
Questa volta una persona con difficoltà di deambulazione residente in un comune dell’hinterland leccese e che per svariate esigenze personali e lavorative è costretta a recarsi nel centro storico anche nelle ore notturne, ha lamentato a Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la difficoltà ad ottenere un’autorizzazione permanente nonostante sia munita di apposito contrassegno per invalidi rilasciato però da altro comune limitrofo.
Recatasi, infatti, presso gli addetti uffici della Polizia Municipale, si è vista opporre il diniego ad ottenere l’autorizzazione solo per il fatto di avere un “pass” emesso da un comune diverso da quello di Lecce e che per recarsi nel centro storico, avrebbe dovuto effettuare un avviso a mezzo fax entro le 48 ore precedenti all’ingresso nella zona a traffico limitato.
Al di là del trattamento riservato all’incolpevole cittadina presso i suddetti uffici, tra personale assolutamente disponibile a comprendere le ragioni dell’istante ed addetti a dir poco insensibili pronti a fare la solita stupida battuta che ”i disabili hanno già troppi diritti e privilegi”, risulta evidente che per il cittadino con handicap che per esigenze quotidiane è costretto a recarsi nell’area i cui ingressi sono videocontrollati nelle ore notturne, una situazione del genere aggravi la propria vita già non semplice.
È giunta l’ora che l’amministrazione comunale del capoluogo e quindi l’assessorato alla mobilità trovino una soluzione per rimuovere tali ostacoli e consentano la possibilità di autorizzare al transito nella ZTL tutti i cittadini già muniti di permesso per disabili per autovetture a loro sostegno, indipendentemente dalla circostanza se il pass sia stato rilasciato da altro comune.

venerdì 20 maggio 2011

Patente a punti. Per la Cassazione se la multa è contestata oltre il termine di 90 giorni deve essere esclusa la sanzione prevista se chi era alla gui


Importante ordinanza della Cassazione in tema di patente a punti ed omessa comunicazione dei dati del conducente, quella emessa il 20 maggio 2011, che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta.
Secondo la seconda sezione civile della Suprema Corte, infatti, se la notifica del verbale per la contestazione principale avviene oltre il termine massimo previsto dalla data della infrazione, che come è noto è stato ridotto a 90 giorni, l’amministrazione procedente non può poi pretendere che il pagamento della sanzione successiva in caso di omessa comunicazione dei dati del conducente del veicolo individuato nella prima rilevazione. Questo anche se l’infrazione relativa all’omessa comunicazione è sempre oggetto di verbale diverso da quello riguardante la violazione principale.
Come è noto, infatti, il Codice della Strada prevede un termine perentorio per la contestazione delle violazioni del codice della strada che è individuato dall’articolo 201 Cds e stabilito in novanta giorni e quindi la notifica tardiva del verbale rende tardiva la contestazione. Peraltro, per alcune sanzioni specifiche è previsto l’obbligo per il proprietario del veicolo di comunicare entro sessanta giorni dalla notifica, il soggetto che si trovava materialmente alla guida. In caso di omessa comunicazione è stabilita un’altra multa.
Gli ermellini, hanno però sottolineato che la pretesa dell’ente accertatore, non può estendersi indeterminatamente: nel caso in cui la notifica della violazione principale sia avvenuta fuori oltre il termine indicato, il verbale per la mancata indicazione dei dati del trasgressore deve essere dichiarata illegittima.
In virtù di un principio logico, oltreché giuridico, infatti, non si può pretendere che il proprietario del veicolo a distanza di molto tempo dall’infrazione contestata conservi il ricordo preciso di chi fosse alla guida dell’auto multata.
Ma la Suprema Corte si spinge oltre è stabilisce che non è necessario che il primo verbale, pure notificato tardivamente, non sia stato poi opposto. Può, quindi, essere impugnato autonomamente il verbale della sanzione successiva di cui all’articolo 126 Cds bis.
Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, le due violazioni sono vincolate l’una all’altra e la notifica in ritardo del primo verbale rende illegittima la seconda sanzione.

Diritti civili e Corte di Giustizia UE. Unioni omosessuali: no a discriminazioni sul trattamento pensionistico.


Da tempo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” evidenzia come le istituzioni europee siano in molti casi più avanti per quanto riguarda la tutela dei diritti civili e come invece gli stati membri ed in particolare quello italiano si dimostrino arretrati ed in non rare volte discriminatori.
Un’altra decisione della Corte di Giustizia, la sentenza 10.05.2011 n° C-147/08, dimostra questa tendenza. Questa volta la Corte si occupa di parità di trattamento tra coppie ed in particolare, sulla base del principio di parità di trattamento e sul divieto di discriminazione fondato sulle tendenze sessuali in materia di occupazione e lavoro, ha stabilito un’equiparazione tra la pensione complementare di vecchiaia percepita da un soggetto coniugato e quella di colui che ha contratto un’unione civile, nel caso in cui lo Stato membro abbia legittimato, mediante registrazione, l’unione per coppie dello stesso sesso.
Peraltro, secondo la sentenza che riportiamo, il cittadino ha facoltà di invocare la disciplina contenuta in una direttiva UE, in virtù del primato del diritto comunitario su quello nazionale, senza dover aspettare il recepimento da parte del legislatore interno abbia e sia scaduto il termine impartito allo Stato membro per la trasposizione.
Una decisione non applicabile in Italia, in quanto, come a tutti è noto, in Italia si dibatte da anni sui diritti tra coppie di fatto e coppie dello stesso sesso senza però arrivare ad una conclusione mentre migliaia di famiglie di questo tipo sono ad aspettare e subiscono una serie di evidenti discriminazioni che dovrebbero essere bandite in uno stato che ritiene di essere civile.
Nel caso di specie, il signor Romer era stato dipendente di un ente pubblico territoriale tedesco dal 1950 sino a quando nel 1990 era stato costretto a pensionarsi in conseguenza di uno stato di incapacità lavorativa. Quando nel 2001 aveva contratto un’unione civile registrata col proprio compagno e aveva comunicato il nuovo status civile all’ex datore di lavoro, aveva anche richiesto che la pensione complementare di vecchiaia fosse rimodulata tenendo conto della deduzione più vantaggiosa per il soggetto d’imposta. Il datore di lavoro aveva obiettato sull’istanza di ricalcolo prospettato in quanto riteneva che fosse riservato dalla legislazione ai soggetti sposati e non stabilmente separati. Quindi nel 2008 l’ex lavoratore aveva ritenuto di proporre ricorso innanzi al Tribunale del lavoro di Amburgo ritenendo che il principio contenuto nella suddetta normativa non fosse riservato solo al “beneficiario coniugato e non stabilmente separato” ma anche applicabile a coloro che avessero contratto unioni civili registrate, in conformità alla normativa interna vigente, sulla scia del principio di parità di trattamento sotteso alla direttiva 2000/78. La corte adita sospendeva il procedimento rimettendo la vicenda alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e formulando ben sette questioni pregiudiziali.
Nel motivare la decisione, la Corte di Giustizia ha ricordato che la legislazione in materia di stato civile è di competenza dei singoli Stati membri ed ha sottolineato che l’obiettivo della direttiva 2000/78 è quello di contrastare, in materia di occupazione e di lavoro, anche le discriminazioni fondate su tendenze sessuali, per rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento. In particolare, ai sensi della citata direttiva, la parità di trattamento consiste nell’assenza di ogni discriminazione diretta o indiretta, ricorrendo la fattispecie relativa alla discriminazione “diretta” quando un soggetto viene tratto con minor favore, rispetto ad un altro, in una situazione non uguale bensì “paragonabile”. La Corte ha rammentato che dal 2001 la Repubblica federale tedesca ha istituito l’unione civile registrata per i partner dello stesso sesso e solo tre anni dopo è stata varata una legge che, anche sotto il profilo del diritto alla pensione di reversibilità, ha uniformato l’unione civile al matrimonio. Il dovere reciproco dei partner dell’unione civile a contribuire, anche col proprio lavoro, alla comunità partenariale, sussiste anche in capo ai coniugi all’interno della famiglia. Peraltro, i giudici europei hanno rilevato che se l’ex lavoratore fosse stato coniugato, anziché partner in un’unione civile registrata, gli sarebbe stata calcolata la pensione complementare di vecchiaia in modo più favorevole, subendo pertanto un trattamento meno favorevole basato sul dato concernente la propria tendenza sessuale. In ordine al diritto del singolo di chiedere l’applicazione del principio alla parità di trattamento contenuto nella direttiva 2000/78, la Corte ha stabilito che questo risultava attivabile a decorrere dal 3 dicembre 2003, termine per la trasposizione della direttiva nel diritto interno, senza aspettare che il legislatore interno avesse reso la legislazione conforme al diritto comunitario.
Secondo la Corte, la direttiva n. 2000/78 sulla parità di trattamento in ambito di occupazione e condizioni di lavoro deve essere interpretata nel senso che non sono escluse dalla propria applicazione le pensioni complementari di vecchiaia oggetto del ricorso principale: siffatta direttiva si rende quale ostacolo di un’eventuale normativa interna degli Stati membri, come quella tedesca citata nel giudizio principale, dove un beneficiario partner di una unione civile registrata percepisce una pensione complementare di vecchiaia inferiore rispetto a quella percepita da un soggetto sposato. Chiaramente tutto ciò è condizionato dalla circostanza che che nello Stato membro il matrimonio sia riservato a soggetti di sesso diverso e coesista ad un’unione civile, come quella prevista in Germania, nonché sussista una discriminazione diretta basata sulle tendenze sessuali poiché, per quanto concerne la pensione di vecchiaia, il partner si trova in una condizione di fatto e di diritto paragonabile a quella di un soggetto sposato.
In ultimo i giudici hanno precisato che il giudizio sulla “paragonabilità” compete al giudice del rinvio e che in ogni caso deve essere compiuto sui diritti e obblighi dei coniugi e delle persone che hanno contratto un’unione civile.

martedì 17 maggio 2011

Equitalia, crescente difficoltà delle famiglie a fare fronte al debito con lo stato


Sino ad oggi 1,145 milioni di rateizzazioni, per una cifra complessiva di 15 miliardi.
Crescono le cifre della riscossione da parte di Equitalia che segnano un + 15 % nel 2010, così come impressionante è l’importo recuperato nella lotta all’evasione fiscale che solo l’anno scorso è salita sino a ben 9 miliardi di euro recuperati dall’agente per la riscossione. E queste sarebbero le note positive per uno Stato in cui l’evasione fiscale arriva a livelli impressionanti ed è pari a 120 miliardi di euro secondo stime prudenziali. Una bazzecola, quindi, l’importo recuperato a fronte di un fenomeno che non accenna a diminuire e sembra aumentare proporzionalmente al pari dell’incremento della pressione fiscale perché è sempre più difficile per gli italiani fare fronte a qualsiasi tipo di debito.
Al contempo aumentano i disagi per i cittadini - come da tempo denuncia Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” - a causa della rigidità degli strumenti affidati dal legislatore all’ente per il recupero coatto dei debiti nei confronti della pubblica amministrazione e delle crescenti difficoltà a “interloquire” con l‘ente.
Ormai milioni di cittadini, infatti, sono costretti a barcamenarsi tra cartelle esattoriali, avvisi, ingiunzioni e poi ipoteche, fermi amministrativi dei veicoli e pignoramenti a vario titolo spesso per imposte, tasse e debiti di cui non sempre è semplice comprenderne l’origine se non a seguito di interminabili code agli sportelli, non sempre chiarificatrici. Ed a volte, non rare volte, gli importi richiesti non sono dovuti o si riferiscono a debiti prescritti.
La soluzione per molti contribuenti esasperati che non intraprendono le lungaggini dei ricorsi e che decidono di pagare ormai è quasi obbligatoria: l’istanza di rateizzazione degli importi a debito. La prova di questa scelta arriva direttamente dall’esorbitante cifra delle rateizzazioni: sono ben oggi 1,145 milioni per 15 miliardi di euro i piani di rientro autorizzati da Equitalia.
Sarà che l’agente per la riscossione continua a lamentare danni all'immagine per gli attacchi che si sono tramutati in veri e propri atti fisici per esempio, di recente, contro le sedi di Torino e Milano, o alle proteste davanti alla sede sarda delle partite iva, ma evidentemente è necessaria una vera e propria operazione trasparenza da parte di Equitalia affinché possano essere evitate conseguenze di tal tipo su scala più ampia e per garantire ai cittadini un miglioramento urgente dei servizi informativi e quindi degli sportelli aperti al pubblico.

domenica 15 maggio 2011

L'ausiliario del traffico multa il pulmino dell'Associazione ONLUS HANDICAP & SOLIDARIETA'


L’ausiliario del traffico multa sulle “strisce blu” il pulmino dell’associazione che assiste i disabili munita di permesso autorizzativo.
E l’associazione, nonostante le legittime proteste, è costretta a fare ricorso.

Chiamiamola ancora con il suo nome: mala amministrazione. Ma l’episodio che anche questa volta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” è costretto a segnalare ne è un esempio tipico.
Questa volta, la bramosia di recuperare ogni euro possibile dalle sanzioni relative alla sosta a pagamento ha colpito un pulmino che svolge il servizio di assistenza ai portatori di handicap che era stato temporaneamente parcheggiato sulle “strisce blu” in via IV novembre a Lecce proprio nelle vicinanze dell’abitazione di due disabili, poiché in zona al momento risultavano occupati tutti gli spazi riservati alla sosta di veicoli a servizio per gli invalidi e nonostante fosse munito di relativo contrassegno autorizzativo rilasciato dal comune di Lecce che sostituisce a tutti gli effetti quello ministeriale riservato alle persone fisiche.
L’ausiliario del traffico non si è fermato neanche innanzi a ciò e come al solito è arrivata, impietosa, la sanzione di 39 euro oltre a 15 euro per le “fantomatiche” spese di notifica che andrà a gravare sulle casse dell’”ONLUS HANDICAP & SOLIDARIETA'“, questo il nome dell‘associazione, che da anni, come tiene a precisare il presidente professor Biagio Perrone “svolge una attività di assistenza ai disabili che il comune non compie, e quotidianamente, con fondi propri provvede a prenderli dalle rispettive abitazioni per portarli nel proprio centro ove stanno per tutto il giorno, compiendo attività, e vengono poi riportati a casa, sempre con il detto pulmino“.
A nulla sono valse le proteste del professore Perrone che subito dopo si è recato presso il Comando della Polizia Municipale, per chiedere l’annullamento in autotutela della multa.
La risposta è stata tanto rapida quanto cristallina: nulla si poteva fare perché l'autorizzazione era limitata agli stalli di sosta e non estesa alle zone a pagamento.
Per la cronaca, dopo tale circostanza il comune di Lecce ha provveduto a rettificare l'autorizzazione, estendendola anche agli spazi a pagamento. Come a dire, abbiamo sbagliato, ma pagate lo stesso.

venerdì 13 maggio 2011

L'indifferenza verso i cani va multata.


Un leccese abbandona il cane: incastrato dal microchip, paga mille euro di ammenda.
Al presunto smarrimento non segue la denuncia: ritrovato l’animale, scatta l’illecito del proprietario

Linea dura contro l'abbandono e l'indifferenza nei confronti dei cani. Il padrone del cane deve pagare mille euro di multa per aver abbandonato l’amico a quattro zampe.
Lo sancisce una sentenza emessa il 13 maggio 2011 dalla terza sezione penale della Cassazione. che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta.
Infatti non è credibile la tesi dello smarrimento dell’animale dotato di microchip di cui il proprietario non presenta denuncia di smarrimento.
Un atteggiamento, dice la Suprema Corte, che "in controtendenza con l'accresciuto senso di rispetto verso l'animale e' avvertito nella coscienza sociale come una ulteriore manifestazione della condotta di abbandono che va dunque interpretato in senso ampio e non in senso rigidamente letterale".
In questo modo, la Terza sezione penale ha convalidato una multa di mille euro per abbandono di animali nei confronti di un 56enne della provincia di Lecce, Giovanni M., colpevole di essere rimasto completamente "indifferente" allo smarrimento del suo cane. A nulla e' valsa la difesa dell'uomo volta a dimostrare che il cane si era perso in una battuta di caccia e vane erano state le ricerche nella immediatezza e nei giorni successivi.
Insomma: è dimostrato che il padrone avesse comunque l’intenzione di liberarsi del suo amico a quattro zampe.
Smascherato dal terzo che ha ritrovato l’animale, l’ex proprietario del cane pagherà anche le spese di giudizio oltre all’ammenda.
Lo sportello Dei Diritti invita i cittadini che assistono a un caso di abbandono di denunciare alle autorità giudiziarie (Carabinieri, Polizia di stato, Corpo Forestale, Polizia locale o veterinari ASL) i colpevoli di tali atti. Contribuirai a far applicare le sanzioni previste dalla legge e a fermare gli abbandoni.

mercoledì 11 maggio 2011

Canone RAI non tutti sono tenuti a pagare



La Finanziaria statale del 2008 – dichiara Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” – ha abolito il pagamento del canone Rai per gli over 75 anni con un reddito non superiore a 516,46 euro per tredici mensilità: una platea di persone più ampia di quello che si potrebbe immaginare ma poca pubblicità è stata data dai media e dagli uffici competenti alla circolare che stabilisce i requisiti per l’esenzione.
Di fatto, hanno diritto alla esenzione del pagamento del Canone Rai tutti coloro i quali, avendo compiuto 75 anni di età prima della scadenza del pagamento del canone stesso,vivano da soli o con il coniuge, e abbiamo un reddito complessivo non superiore a € 6713,98. Il documento a cui fare riferimento per ottenere l’esenzione è il CUD dell’anno precedente.
- La domanda di esenzione deve riferirsi al canone Rai dell’apparecchio televisivo presente nell’abitazione in cui si ha la residenza “entro il 30.04.2011″ per gli abbonamenti annuali ed “entro il 31.07.2011″ per quelli semestrali. Con allegata copia di documento d’identità e precise indicazioni dell’Abbonamento in essere, deve essere inoltrata a: AGENZIA DELLE ENTRATE – Ufficio Torino 1 S.A.T. – Sportello abbonamenti TV – 10121 – Torino.
– Gli over 75 possono ottenere “entro il 30.04.2011″ anche il rimborso del canone versato nel triennio 2008-2010 (sempre che ci siano gli stessi presupposti), compilando l’apposito modulo messo a disposizione sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate.
– Per i pensionati che non hanno ancora raggiunto l’età e non abbiano un reddito che superi i 18.000,00 €, il Canone si può pagare anche a rate con una detrazione dalle tasse, in massimo 11 rate. La richiesta va presentata entro il 15/11 dell’anno precedente a quello cui si riferisce il canone Rai all’ente che eroga la pensione. L’ente comunica poi al pensionato l’accettazione della domanda entro il 15 del successivo mese di gennaio. L’addebito avviene come trattenuta sulla pensione, in 11 rate mensili a partire dal mese di gennaio dell’anno a cui si riferisce il canone Rai.
E’ facile immaginare che in molti, pur avendone diritto, non hanno fruito materialmente dell’esonero dal canone a causa le lungaggini burocratiche che ledono soprattutto i diritti di tutti quegli anziani con difficoltà motorie e problemi di salute, che trovano oggettive difficoltà negli spostamenti.
Pertanto lo Sportello Dei Diritti chiede ai mezzi di informazione di dare un’ampia informazione a tutti gli italiani che sono nelle condizioni di accedere a questo esonero per evitare che i cittadini siano costretti prima a pagare e poi a chiedere un improbabile rimborso.

La sentenza di modifica delle condizioni di divorzio non è immediatamente esecutiva


È inutile sperare di recuperare immediatamente gli alimenti arretrati dopo l’emissione della sentenza che modifica le condizioni di divorzio. Così tanti coniugi sono e saranno costretti ad attendere a lungo anche dopo la decisione per vedersi attribuito quanto gli spetta se non interverrà il Parlamento a colmare questa grave lacuna normativa.
Secondo la prima sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza 9373 del 2011 che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta, infatti, dev’essere esclusa l’esecutività immediata della sentenza modificativa delle condizioni di divorzio.
Gli ermellini evidenziando il vuoto normativo che secondo la Corte dev’essere colmato dal legislatore in quanto “di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa” ha stabilito, quindi, la non immediata esecutività delle sentenze con le quali vengono modificate dal giudice le condizioni economiche del divorzio o della separazione. Secondo i giudici di legittimità occorre che nel provvedimento sia indicata un’apposita clausola di esecutorietà.
Nella stessa decisione, i giudici di piazza Cavour hanno precisato come non necessaria la questione di legittimità costituzionale sulla norma procedurale che statuisce che le modifiche delle condizioni economiche fossero adottate in camera di consiglio, poiché “i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in camera di consiglio”. Spetterebbe, quindi, “al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina”.
La vicenda portata all’attenzione dalla Suprema Corte riguarda, in particolare una coppia di La Spezia che già nel 2003 si era separata con decisione omologata dal Tribunale.
Successivamente lo stesso Tribunale aveva stabilito un assegno a carico del marito, in favore di figli e moglie che era stato ridotto in seguito all’esito di apposito ricorso di questi.
Nonostante la modifica, il marito però era stato per lo più moroso e la ex aveva deciso d’impugnare la sentenza di modifica delle condizioni avviando il pignoramento dello stipendio di lui che nei due gradi di giudizio di merito non veniva accordato.
I giudici del Palazzaccio respingevano anche l’ultimo ricorso della donna stabilendo che il provvedimento, in assenza di una clausola espressa, non era immediatamente esecutivo.
L’epilogo della vicenda obbligherà, quindi, la moglie a riavviare un giudizio esecutivo nei confronti dell’ex per cercare di ottenere l’assegno e gli arretrati.

martedì 10 maggio 2011

Rc Auto e cartello anticoncorrenziale fra assicurazioni: vietato lo scambio di dati sensibili fra imprese che fa aumentare il premio


I consumatori hanno diritto al risarcimento del danno
La Cassazione respingendo il ricorso ha severamente condannato una primaria compagnia d’assicurazioni che aveva partecipato a un cosiddetto cartello, scambiando dati sensibili con le concorrente ed ottenendo così un aumento del premio. La sentenza è chiarissima, è vietato scambiarsi dati sensibili dei consumatori che, se danneggiati, per un illecito aumento del premio hanno diritto al risarcimento e la società di assicurazione può provare il contrario ma non mediante generiche valutazioni di andamento del marcato.
Durissimo colpo, insomma, per le compagnie assicurative che pensavano di “farla franca” dopo l’altrettanto nota sentenza delle Sezioni Unite n. 2207/05. La terza sezione civile ha ricordato che “l'AGCM ha motivato il giudizio di illiceità con il fatto che lo scambio di informazioni è andato ben oltre le finalità, lecite e fisiologiche per le imprese del settore di comunicarsi i dati rilevanti per la determinazione del c.d. premio puro (cioè di quella parte del premio che è commisurata alla natura e all'entità dei rischi), e si è esteso a comprendere i c.d. dati sensibili, che concorrono a determinare l'importo del premio commerciale, che è quello concretamente convenuto in polizza e che include, oltre al premio puro, le imposte, i caricamenti corrispondenti ai costi ed alle spese generali e soprattutto l'utile di impresa”. Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la sentenza della Cassazione che bacchetta le compagnie d’assicurazione dice STOP ai cartelli fra compagnie di assicurazione, ponendo fine ad un fenomeno vergognoso tutto italiano quale quello assicurativo.

lunedì 9 maggio 2011

La giurisprudenza attenua gli effetti della Bossi-Fini a colpi di sentenze


Per la Cassazione civile, non occorre che il minore stia male perché il genitore extracomunitario possa soggiornare in Italia
Tra i «gravi motivi» richiesti per la permanenza temporanea rientra la necessità di evitare l’effetto-sradicamento

La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità continua nell’opera incessante di attenuazione degli effetti negativi della Bossi-Fini a colpi di sentenze. Per la Cassazione civile, infatti, con la recentissima sentenza della prima sezione civile del 6 maggio, è sufficiente che l’allontanamento del genitore crei un serio problema al figlio affinché ricorrano i «gravi motivi» richiesti dal testo unico sull’immigrazione per consentire la permanenza temporanea in Italia del familiare del minore e quindi non è necessaria per la sussistenza del suddetto requisito l’esistenza di una situazione di emergenza o di un problema di salute del piccolo.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti” con le decisioni che si stanno susseguendo e che sovente riportiamo all’attenzione dell’opinione pubblica in materia di immigrazione, è evidente che la Suprema Corte abbia mutato in un certo senso atteggiamento e si sia orientata verso interpretazioni meno restrittive delle norme relative alla Bossi – Fini. Nel caso di specie ciò è avvenuto con l’articolo 31, comma 2, del 286/98, per come modificato dalla legge 189/02 meglio nota come Bossi-Fini.
Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, affinché sia accordato il permesso temporaneo al genitore, non è necessario che l’allontanamento del familiare abbia in qualche modo effetti negativi sulle condizioni di salute del minore: risulta invece sufficiente che l’assenza del genitore possa causare un danno effettivo al complessivo equilibrio psicofisico del bambino. Nella fattispecie presa in esame dagli ermellini è stato accolto con rinvio al giudice di merito, il ricorso della madre extracomunitaria chiamata ad accudire tre figli minori d’età.
Spetterà così ad altro giudice verificare se l’eventuale allontanamento della donna dall’Italia possa determinare il cosiddetto “effetto-sradicamento” nei bambini al punto da rendere ineludibile la vicinanza della mamma.

Risarcimenti da sinistri stradali e cessione del credito. L’autocarrozzeria non può agire per il recupero del credito se lo stesso non è accertato né



L’autocarrozzeria non può agire per il recupero del credito se lo stesso non è accertato né riconosciuto. Né vale la dichiarazione di cessione con la sola firma autografa. Importante sentenza del Giudice di Pace di GalatinaÈ prassi consolidata delle autocarrozzerie e degli autoriparatori in genere farsi cedere il credito relativo al risarcimento danni all’autoveicolo in caso di sinistro stradale mediante la sola sottoscrizione autografa del cedente - danneggiato di un apposito modulo o contratto, senza che la stessa sia stata autenticata e prima che il credito vantato sia concretamente accertato.
Non pochi i dubbi nascenti da questa consuetudine commerciale, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale del “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori nonché fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
L’”usanza“, infatti, da una parte non consente di conoscere con certezza la provenienza dell’atto di cessione del credito dal vero cedente - danneggiato perché la richiesta avviene semplicemente esibendo un atto di questi con firma autografa non autenticata da pubblico ufficiale, ed invero, soprattutto, è relativa quasi sempre ad un credito ancora incerto, e quindi né liquido o esigibile, poiché in caso di citazione in giudizio della compagnia assicurativa e del responsabile da parte del cessionario, non risulta ancora accertato il diritto al risarcimento del danno da parte del cedente, con conseguente difetto di legittimazione attiva da parte dell’autocarrozzeria che agisce per il recupero della somma che dovrebbe essere liquidata a titolo di risarcimento.
E così il Giudice di Pace di Galatina dott. Ermanno Vergari con la sentenza n. 320/2011 ha accolto l’eccezione preliminare sul difetto di legittimazione passiva del procuratore di una primaria compagnia di assicurazioni che aveva rappresentato proprio l’inesistenza del credito e la nullità dell’atto di cessione.
Secondo il Giudice di Pace, “il documento esibito mediante deposito nel proprio fascicolo di parte … consiste in una dichiarazione unilaterale intitolata “Contratto di cessione del credito pro solvendo e autorizzazione al trattamento dei dati personali” con cui … dichiara di cedere il credito sorto nei confronti della compagnia … per il sinistro avvenuto … “ con sottoscrizione di … non autentica né comunicata al debitore ceduto (artt. 1260 e seguenti c.c.). Ma soprattutto occorre rilevare oltre alla assenza di sottoscrizione resa autentica, la inesistenza, al tempo della dichiarazione di cessione, di un credito da poter cedere non essendo stato accertato né riconosciuto il diritto di … ottenere in qualche misura un risarcimento del danno né essendo … titolare di un diritto di agire contro gli odierni convenuti“.

domenica 8 maggio 2011

Lavoro nero: oltre al danno la beffa. Obbligo del lavoratore di dichiarare al fisco i pagamenti


L’omissione dell’azienda non libera il contribuente dagli oneri tributari

Ora anche chi subisce il ricatto del “lavoro nero”, ossia l’incolpevole lavoratore, dovrà comunque pagare le imposte non versate dal datore di lavoro e quindi dichiarare quanto percepito.
Forse si è trovato un nuovo modo per far emergere il lavoro nero, o un invito ai lavoratori a denunciarlo? Non crediamo data l’estensione del fenomeno, una vera e propria piaga in particolare nel Mezzogiorno, ma diffuso in ogni ambito lavorativo del Paese e di difficile soluzione se non si adotteranno con urgenza misure strutturali in materia di occupazione. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, commentando la sentenza n. 9867/2011 della Corte di Cassazione.
Secondo la sezione tributaria della Suprema Corte, infatti, con la decisione in questione, il lavoratore che percepisce lo stipendio in nero, ha l’onere comunque di dichiarare al fisco il reddito ricevuto, e quindi il comportamento illegittimo del datore di lavoro/sostituto d’imposta non assorbe e annulla gli obblighi del lavoratore.
Il caso di cui si occupa la cassazione era stato avviato a seguito di un avviso di accertamento Irpef dell’Agenzia delle Entrate, attraverso la quale l’ente statale aveva richiesto il pagamento delle tasse relative ai redditi erogati e non dichiarati da una società. In particolare, gli stipendi in nero erano stati provati a seguito del reperimento in occasione di una verifica fiscale nei confronti della società datrice di lavoro delle ricevute rilasciate dal lavoratore.
Le commissioni tributarie provinciali e regionali avevano accolto i ricorsi del contribuente - lavoratore, che si era opposto al prelievo, poiché non risultava un accordo per non dichiarare il reddito ed in virtù della manifesta buona fede con cui aveva agito il contribuente ritenendo di non dover presentare la dichiarazione per redditi derivanti dall’unico rapporto di lavoro.
I giudici del Palazzaccio, al contrario, hanno accolto la linea difensiva dell’Agenzia della Entrate, secondo cui in presenza di pagamenti in nero, sussiste comunque l’obbligo del lavoratore di dichiarare al fisco i pagamenti.
Uniformandosi all’orientamento generale di legittimità, gli ermellini hanno ritenuto comunque che in caso di mancato versamento della ritenuta d'acconto da parte del datore di lavoro, il soggetto obbligato al pagamento del tributo è comunque anche il lavoratore contribuente ed hanno espresso il principio secondo cui “in presenza dell'obbligo di effettuare la ritenuta di acconto (diretta in sé ad agevolare non solo la riscossione, ma anche l'accertamento degli obblighi del percettore del reddito), l'intervento del "sostituto" lascia inalterata la posizione del "sostituito", il quale è specificamente gravato dall'obbligo di dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché essi concorrono a formare la base imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l'imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione di prelievo”.

venerdì 6 maggio 2011

Multe ai varchi elettronici della ZTL a Lecce. Nuova sentenza del Giudice di Pace di Lecce


Continua la battaglia dello “Sportello dei Diritti” contro i verbali seriali e a raffica che da qualche mese continuano a colpire i cittadini a causa dell’introduzione di sistemi di rilevazione elettronica delle infrazioni sui varchi elettronici della ZTL del centro storico di Lecce. Una manna dal cielo per le casse del Comune capoluogo del Salento, un flagello per migliaia automobilisti colpiti a raffica da multe in serie, molto spesso incolpevoli per la difficile avvistabilità dei segnali posti all’ingresso del centro storico e perciò tratti in inganno e costretti se non propongono ricorso a pagare centinaia di euro. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Da segnalare un’altra recente sentenza del Giudice di Pace di Lecce, la n. 2061/11, resa all’udienza del 07 marzo 2011 dall’avv. Anna Maria Aventaggiato le cui motivazioni sono state pubblicate lo scorso 13 aprile, che censura il comportamento dell’amministrazione comunale “colpevole” di non aver provato la sussistenza delle violazioni attraverso idonea documentazione fotografica cui ha omesso il deposito negli atti di causa.
Nel caso di specie il giudice ha annullato ben sei verbali d’importo totale pari ad euro 534,00 euro cui un automobilista si era opposto con un unico ricorso accogliendo la motivazione addotta dall’opponente sul difetto di prova da parte della P.A. adducendo che “il ricorrente ha posto in dubbio la validità dell’accertamento nel mentre l’Ente non ha allegato la relativa documentazione fotografica dalla quale si verifica sia l’auto che ha commesso la violazione mediante lettura della targa, sia il luogo intercluso ad essa. Sicchè è da ritenersi privo di dimostrazione l’assunto della P.A., né la presunzione di fede privilegiata attribuita ai propri atti possiede carattere tanto preminente e superiore da poter essere assimilata ad un dogma”.

giovedì 5 maggio 2011

Cassazione: i tassi d’interesse devono essere indicati analiticamente pena la loro nullità


Importante sentenza della Cassazione in materia di conti correnti, estratti conto e tassi d’interesse
I tassi d’interesse devono essere indicati analiticamente pena la loro nullità. Allo stesso modo la banca è obbligata ad indicare chiaramente costi e commissioni. L’estratto conto contestato non prova il credito della banca
Inoltre in materia di capitalizzazione trimestrale sono nulle le clausole anatocistiche stipulate prima della riforma del 99

La trasparenza non è sempre di casa nei rapporti di conto corrente, tant’è che la Cassazione è intervenuta nuovamente con la recentissima sentenza n. 9695 del 03/05/2011 ad individuare i comportamenti che devono tenere le banche nel regolare tali tipi di contratti bancari.
La terza sezione civile della Suprema Corte ha infatti ribadito con l’importante decisione che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta in evidenza, alcuni principi che devono osservare gli istituti di credito in merito alla gestione dei conti in materia di tassi d’interesse, sulla valenza probatoria dell’estratto conto ai fini della dimostrazione del credito vantato dalla banca e sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi per i contratti ante riforma.
Per quanto riguarda la necessità di chiarezza, secondo i giudici di piazza Cavour sono illegittimi i tassi di interesse che non sono indicati analiticamente per iscritto e individuabili dalle parti contraenti con precisione. Ogni clausola riguardante gli interessi ai fini della sua validità deve essere redatta in forma scritta e il tasso da applicare deve essere specificato in modo puntuale. La Corte, infatti, esclude sul punto che si possa configurare la possibilità di un uso normativo nelle condizioni abitualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza (rinvio a clausole «su piazza») in assenza di regolamentazioni vincolanti stabilite a livello nazionale con accordi di cartello: in caso contrario non sarebbe possibile stabilire a quale previsione le parti contraenti abbiano voluto riferirsi di fronte alle diverse tipologie di interessi esistenti. Stesso discorso, vale per le previsioni di costi, commissioni e la disciplina della postergazione delle valute di accredito.
Inoltre, in materia di valore probatorio dell’estratto del conto corrente, se contestato, per i giudici del Palazzaccio non costituisce di per sé prova del credito della banca anche perché la certificazione stabilita dall’articolo 50 del D.Lgs 385/93 non può dimostrare validamente l’entità del credito vantato in quanto atto unilaterale e proprio per tale ragioni non può attribuirsi a tale documento valenza probatoria ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo.
In merito all’annosa questione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, gli ermellini ribadiscono che le clausole anatocistiche stipulate antecedentemente alla riforma del Decreto Legislativo 342/99 sono nulle perché risultano fondate su di un uso negoziale e non normativo e ciò ai sensi dell’articolo 1283 Cc.

mercoledì 4 maggio 2011

Ubriaco al volante: anche se l’autovettura è in sosta scatta il sequestro


Scatta il sequestro della macchina in sosta se al volante c’è un automobilista in stato di ebbrezza alcolica.
È il principio stabilito nella sentenza di oggi 4 maggio 2011, emessa dalla quarta sezione penale della Suprema Corte che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”
Con la decisione in commento gli ermellini hanno, infatti, confermato il sequestro preventivo di una Porsche Cayman ferma su ciglio della strada e con al posto di guida il proprietario che aveva indossato la cintura di sicurezza e acceso i fari.
L’uomo era stato colto all’improvviso in evidente stato di alterazione alcolica sostenendo che il sequestro era illegittimo perché al momento dell’accertamento non era ancora partito dalla posizione di sosta.
Tale giustificazione è stata ritenuta insufficiente dal Riesame e anche secondo la Cassazione.
Nella motivazione è possibile, infatti, leggere che “il giudice del merito ha legittimamente ritenuto che la condotta dell’indagato fosse idonea ad integrare la fattispecie contravvenzionale ipotizzata posto che, il porsi alla guida di un'auto, in evidenti condizioni di alterazione dovuta all'assunzione di sostanze alcoliche, nell'atto di muovere il veicolo, già con il motore avviato ed i fari accesi, avendo anche provveduto ad allacciare la cintura di sicurezza, valeva già a rappresentare una condotta idonea ad integrare la fattispecie ipotizzata.
E poi, la circostanza secondo cui, al momento del controllo, l'auto non si era ancora mossa, non si presenta, allo stato, significativa nei termini ritenuti dal ricorrente, posto che il concetto di circolazione di un veicolo non può esaurirsi alla fase dinamica del mezzo ma deve intendersi riferibile anche alle fasi della sosta che egualmente ineriscono alla circolazione.
Tanto più che la sosta di un'auto su area di pubblico transito, che presuppone un arrivo sul posto ed una ripartenza del veicolo, non è circostanza irrilevante nella sede cautelare, “posto che ad essa possono certamente inerire condotte riconducibili alla fattispecie allo stato ipotizzata, specie se, come nel caso che oggi interessa, l'atteggiamento dell’automobilista, come sopra descritto, non lascia dubbi non solo circa il sopraggiungere dello stesso a bordo della sua auto sul luogo della sosta, ma anche in ordine all'intenzione, una volta avviato il motore e postosi ai comandi del veicolo in assetto di guida, di ripartire. Intento non portato a compimento solo
per l'intervento dei carabinieri, pronti a bloccare l'auto perché consapevoli delle alterate
condizioni dell'indagato e dei rischi che potevano conseguire dalla circolazione del veicolo”.