giovedì 31 marzo 2011

Immigrazione. La Bossi-Fini dimostra la sua inadeguatezza alla luce della normativa comunitaria


Anche la Cassazione manda gli atti alla Corte di Giustizia dell’Ue in merito al reato di “clandestinità”

Il caos in cui si trova Lampedusa per l’esodo di proporzioni bibliche sta avendo dell’inevitabili conseguenze oltrechè in ambito sociale e politico anche in termini giudiziari poiché come ha tenuto a precisare anche il procuratore della Repubblica di Agrigento, Renato Di Natale, risulta «materialmente impossibile» procedere all’iscrizione nel registro degli indagati, come clandestini, le migliaia di cittadini del nordafirca giunti sulle Nostre coste, se si dovesse applicare alla lettera il testo unico sull’immigrazione alla luce della riforma meglio nota come legge Bossi – Fini n. 189/02.
Come aveva sottolineato qualche giorno fa Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la Corte di Giustizia Europea è già stata investita della questione relativamente all’applicabilità della direttiva 2008/115 CE, non ratificata in Italia nonostante sia scaduto il termine, che stride notevolmente con la severa, per non dire assurda legge nazionale che prevede all’articolo 14 comma 5 quater del d.lgs 286/98 l’arresto da uno a quattro anni per lo straniero che rimane nello stato, nonostante il provvedimento d’espulsione.
Ora anche la prima sezione penale della Cassazione con autonoma ordinanza ha pensato d’investire la Corte di Giustizia UE per fare luce sulle conseguenze in Italia della direttiva CE che non è stata ancora recepita dal Nostro Paese apparendo la legge italiana incompatibile con le norme europee in materia.
Ancora, quindi, un duro colpo all’impianto della Bossi –Fini che dimostra ancora una volta la propria palese inadeguatezza ad affrontare il fenomeno migratorio.
Di seguito l’ordinanza della Cassazione

mercoledì 30 marzo 2011

Più diritti umani e tutela dei gay. Allontanato da casa il padre padrone che apostrofa il figlio adolescente come “finocchio”


La sentenza proibisce in modo esplicito qualsiasi tipo di discriminazione, anche quella legata al padre violento che apostrofa come “finocchio” il figlio adolescente omosessuale.
Lecito l’uso della forza pubblica per allontanare da casa il padre violento al fine di tutelare il ragazzo gay .
Lo ha stabilito il Tribunale per i minorenni di Milano con decreto del 25 marzo 2011 ,relatore Gennaro Mastrangelo, che ha sottolineato l’importanza della vicinanza del padre al ragazzo in una fase dell’adolescenza così complessa come quella in cui si accetta l'omosessualità.
Nella motivazione è possibile, inoltre, leggere che l’uomo era venuto alle mani con la moglie in molte occasioni e, in una, aveva anche ferito il ragazzo.
Ai suoi famigliari aveva sempre dichiarato, fra l’altro, di non voler lasciare per nessun motivo l’abitazione.
I giudici accogliendo le istanze della Procura meneghina che chiedeva una maggiore tutela per l’adolescente hanno deciso che, in caso di ostinata opposizione, l’uomo sarà allontanato con la forza.
Per il Tribunale la misura dell’allontanamento “anche se gravemente afflittiva è l’unica efficace e dovrà essere attuata con la forza pubblica se necessaria, giacchè il padre non ha mostrato alcuna collaborazione”.
Secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la sentenza mira a reprimere i maltrattamenti in famiglia e la violenza domestica contro la donna vittima insieme al figlio gay di gravi abusi da parte del marito.

Controlli sulle caldaie ed impianti termici del Comune di Lecce. Una nuova tassa all'insaputa dei cittadini, il comun e chiarisca


La società cooperativa affidataria del servizio del Comune di Lecce, V.I.T. chiede in via preventiva da € 148,80 ad € 450,00 per un non meglio specificato “onere del controllo” ed a pagare dovrebbero essere sempre i cittadini con un nuovo pesante balzello. Il Comune di Lecce chiarisca!

Ci giungono segnalazioni da parte di cittadini del capoluogo salentino per un nuovo presunto balzello che all’improvviso giunge presso le residenze relativamente al “Controllo biennale per accertare l’effettivo stato di manutenzione ed esercizio dell’impianto termico”, in pratica i noti controlli sulle caldaie ed altri impianti termici, da parte della società cooperativa V.I.T. appaltatrice per il comune di Lecce del servizio in questione.
La triste novità della “notifica di controllo”, così riporta l’avviso ricevuto dai nostri concittadini, è la richiesta in via preventiva di un importo compreso tra € 148,00 ad € 450,00 per un non meglio precisato “onere del controllo” che dovrebbe essere pagato entro la data prevista per il sopralluogo.
Al di là del tenore delle verifiche che dovrebbero essere formali, non si comprende al momento la natura di tale richieste, che appare quindi come una tassa mascherata, ed a pagare sono sempre i cittadini per i quali cifre del genere nel momento di crisi che tutti viviamo, vanno ad incidere pesantemente nel bilancio familiare, spesso precario, e pertanto Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, chiede un immediato chiarimento da parte del Comune di Lecce.

martedì 29 marzo 2011

E’ reato di truffa ed evasione fiscale non pagare l’Iva sulle auto importate


Chi importa auto dall’Estero senza pagare l’Iva oltre all’evasione fiscale commette una truffa ai danni dello Stato.
È il principio stabilito nella sentenza del 29 marzo 2011, emessa dalla seconda sezione penale della Suprema Corte che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
Con la decisione in commento gli ermellini hanno, infatti, confermato la condanna nei confronti della mamma di un indagato per truffa al quale erano state sequestrate delle automobili.
Nella motivazione è possibile, inoltre, leggere che il reato si consuma nel momento e nel luogo dove i mezzi arrivano e dove non sono state pagate le imposte. Il luogo della vendita non conta.
Nel caso di specie, la sezione penale ha rigettato il ricorso presentato dalla mamma di un giovane trentino che aveva importato dalla Germania una serie di automobili senza pagare l’Iva per cui era scattato il sequestro. La difesa ha allora proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Trento, sostenendo che comunque, prima di tutto, un’eccezione di incompetenza poiché sempre secondo i difensori gli atti avrebbero dovuto essere rimessi ai giudici di Brescia, luogo nel quale i veicoli erano stati venduti. Tale tesi però, non ha incontrato il favore della seconda sezione penale che hanno confermato la competenza di Trento secondo cui nessuna truffa poteva configurarsi a carico degli acquirenti.
Nella motivazione è possibile, infatti, leggere che “Nel caso di specie, secondo il capo d'imputazione, il profitto sarebbe consistito nella mancata assoluzione degli oneri fiscali ed esattamente nel mancato pagamento dell'IVA…...come correttamente rilevato dal Tribunale, che il reato si è consumato non nel momento in cui le auto furono rese commerciabili a seguito della truffa e, quindi, quando l'indagato riscosse il prezzo della compravendita (invero nessuna truffa è stata ipotizzata nei confronti degli acquirenti) ma nel momento in cui non fu assolta l'Iva, vantaggio che venne conseguito presso il luogo dove le imposte avrebbero dovuto essere pagate e quindi, pacificamente, nel circondano di Trento”.

lunedì 28 marzo 2011

L’Italia inadempiente sulla direttiva sui rimpatri: proposta questione di legittimità costituzionale


Proposta questione di legittimità costituzionale relativamente al carcere per i clandestini espulsi. Gli atti anche alla Corte Europea

Il mancato adeguamento dell’Italia alla direttiva sui rimpatri dell’Unione Europea n. 2008/115/CE pone seri problemi per il governo, in un momento in cui l’emergenza profughi dai vicini paesi del nordafrica sta esplodendo. La famigerata norma della Bossi – Fini (decreto legislativo 286/98) in particolare l’articolo 14, comma 5 quater, che prevede la reclusione da uno a cinque anni per lo straniero destinatario dell’espulsione e poi di un nuovo ordine di allontanamento è a rischio incostituzionalità, perché contraria ai principi comunitari.
Almeno così la pensa il giudice unico del tribunale di Modica, in provincia di Ragusa che ha proposto questione di legittimità proprio su quella norma avendo evidentemente ritenuto che le pene detentive previste dalla legge italiana sono eccessive rispetto agli standard comunitari.
Peraltro, sempre in materia di Bossi – Fini il prossimo mercoledì 30 marzo, è fissata l’udienza innanzi alla prima sezione della Corte di giustizia europea di Lussemburgo relativa alla questione pregiudiziale sollevata il 10 febbraio scorso sulla normativa italiana (laddove prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni «per il cittadino di un paese terzo» il quale, in seguito alla comunicazione di un provvedimento di espulsione, continua a permanere illegalmente nel territorio nazionale).
In particolare, per quanto riguarda la questione di costituzionalità, il giudice siciliano avrebbe rilevato il contrasto della norma con gli articoli 3, 11, 27 e 117 della Costituzione e quindi il fra la normativa penale nazionale e la direttiva respingimenti della Ue.
Secondo la citata direttiva 2008/115/CE, che come detto non è ancora applicata nel Nostro Paese, lo straniero da espellere non può essere trattenuto per un periodo non superiore a diciotto mesi nel quale è a disposizione delle autorità soltanto per le procedure di rimpatrio. In Italia un clandestino espulso una volta e raggiunto da un nuovo ordine di lasciare il territorio nazionale, rischia la reclusione da uno a cinque anni. È evidente, quindi la sproporzione, anche alla luce di altre norme dell’ordinamento analoghe come per esempio se si considera chi non rispetta un ordine dell’autorità per motivi di ordine pubblico che come è noto è soggetto solo all’arresto fino a tre mesi. Ma soprattutto, la funzione della pena inflitta al clandestino non avrebbe finalità rieducativa così come previsto generalmente dalla Costituzione né tuttavia serve a preparare il rimpatrio dello straniero.
Per quanto attiene alla prossima udienza innanzi alla Corte di Giustizia sulla pregiudiziale d’urgenza sollevata dalla Corte d’appello di Trento, v’è da dire che gli stessi magistrati italiani ritengono la direttiva comunitaria “self-esecuting”, dunque immediatamente operativa con disapplicazione dell’eventuale normativa interna incompatibile. Dovranno essere comunque i giudici comunitari a dirimere la questione in tempi brevissimi.
Resta un fatto, ritiene Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, al di là degli interventi giurisdizionali, che la Bossi – Fini oltrechè ad avere evidenti profili d’incostituzionalità ed a porsi in contrasto stridente con la normativa comunitaria si dimostra ancora una volta palesemente inadeguata ad affrontare il fenomeno migratorio in Italia anche alla luce degli ultimi accadimenti di natura internazionale nei quali riteniamo auspicabile un decisivo intervento dell’Unione Europea per affrontare complessivamente un fenomeno che potrebbe assumere proporzioni bibliche e nel quale il principio di accoglienza dev’essere il faro guida dell’intera istituzione comunitaria.

Defibrillatori nei luoghi aperti al pubblico. Pronta una nuova proposta di legge


Quante vite si potrebbero salvare se nei luoghi aperti al pubblico ci fossero apparati defibrillatori, punti di primo soccorso e semplici cittadini che conoscono le regole di primo intervento?
Diverse migliaia di cittadini ogni anno potrebbero essere tempestivamente salvati se si pensa solo alle spaventose cifre delle morti per arresto cardiaco che secondo alcune stime sarebbero pari a 60.000 ogni anno, in media una ogni 19 minuti con percentuali di sopravvivenza minime e pari al 2 % per chi subisce, appunto un arresto cardiaco, anche perché l’urgenza dell’intervento in loco è fondamentale perché, come è noto anche ai profani, la percentuale di sopravvivenza in causo di arresto cardiaco è strettamente legata al tempo: diminuisce del 7-10% per ogni minuto di ritardo nella somministrazione dello shock elettrico.
E così, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta alla ribalta la necessità di una legge che garantirebbe la presenza in ogni luogo aperto al pubblico e quindi locali da ballo, porti, aeroporti, treni, campi sportivi, spiagge, scuole, università, ecc. di un defibrillatore automatico o semiautomatico e di persone correttamente formate ed in grado di utilizzarlo.
In ogni caso, la spesa per l’acquisto di tali indispensabili strumenti per il salvataggio di vite umane e quella per insegnare il primo intervento a tutte le categorie che hanno responsabilità nei luoghi aperti al pubblico sarebbe di gran lunga inferiore ai costi sociali derivanti dalle conseguenze degli arresti cardiaci.
Peraltro, l’utilizzo di questi strumenti sempre più evoluti e semplici da usare così come l’apprendimento delle manovre di BLSD (Basic Life Support Defibrillation), cioè le procedure da attivare in caso di perdita di coscienza dovuta ad arresto cardiaco, è sufficiente un semplice corso di formazione di poche ore che attribuisce l’autorizzazione all’utilizzo del dispositivo senza la necessità di ulteriore esperienza medica.
Per tali ragioni abbiamo pensato ad una legge dello Stato che sancisca l’obbligatorietà di corsi autorizzati di primo intervento riconosciuti a livello nazionale e la presenza di dispositivi di defibrillazione nei luoghi aperti al pubblico che senza alcun dubbio limiterà i decessi conseguenti ad arresto cardiaco e contribuirà a ridurre il gap tra il Nostro Paese e gli altri stati industrializzati dove da anni sono state approntate stabili strategie per garantire il pronto intervento nei luoghi della vita quotidiana.

domenica 27 marzo 2011

Precari della scuola. La sentenza del Tribunale del Lavoro di Genova contro il Ministero dell’Istruzione


La sentenza del Tribunale del Lavoro di Genova contro il Ministero dell’Istruzione rende finalmente giustizia: Lo “Sportello dei Diritti” pronto per i ricorsi in tutt’Italia.

La sentenza del Tribunale del Lavoro di Genova rende finalmente giustizia e pone le basi per tutte le migliaia di precari della scuola che da anni lottano per versi riconosciuti i propri diritti di lavoratore.
Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” che preannuncia sin da subito l’avvio per tutti i docenti con contratto a termine che abbiano superato almeno tre anni di servizio della possibilità di agire in giudizio per vedersi riconosciuta l'effettiva anzianità di servizio, il diritto alla progressione di carriera e quindi i relativi arretrati, mediante l’ausilio dei legali dello “Sportello dei Diritti”.
Al di là del merito della sentenza che ha comunque sancito la condanna del Ministero dell'Istruzione, università e quindi il diritto al risarcimento del danno nei confronti dei quindici docenti che si sono rivolti al giudice del lavoro del capoluogo ligure, per un totale di circa 500.000 euro (il riconoscimento di 15 mensilità per ogni lavoratore come risarcimento del danno per la mancata immissione in ruolo) ed il pagamento delle spese processuali, conclude D’Agata, si potrà avviare una stagione di ricorsi su tutto il Paese per vedere restituiti i diritti, oltrechè, e diciamo soprattutto, la dignità, a decine di migliaia di lavoratori che si battono per un posto di lavoro pubblico a tempo indeterminato.
Va specificato, però che a causa della sciagurata norma che pone un limite temporale ai ricorsi per i lavoratori con contratto a tempo che però è stata prorogata sino al il prossimo 31 dicembre, i docenti avranno tempo sino a questo termine per proporre ricorso.

sabato 26 marzo 2011

Mediazione civile. L’incoerenza della lobby degli avvocati


Scioperano per l’entrata in vigore della “mediazione civile” e poi gli ordini provinciali creano organismi di mediazione

Non ha fatto in tempo a partire la riforma della “mediazione civile” che la lobby degli avvocati si è messa in stato di agitazione dopo aver già bloccato dal 16 al 22 marzo le aule di giustizia.
Come è noto ormai a molti, infatti, a partire dal 21 marzo è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 che ha introdotto in Italia un nuovo istituto di diritto, per l’appunto la “mediazione civile”, che ha lo scopo di far addivenire le parti ad una conciliazione attraverso l'opera di un mediatore, vale a dire un soggetto professionale, qualificato e terzo che aiuti le parti in conflitto a comporre una controversia in via extragiudiziale e che sarà obbligatoria per determinate questioni in materia civile stabilite dall’articolo 5 del suddetto decreto legislativo.
Senza entrare nel merito sulla bontà della riforma che comunque ha negli intenti quello di deflazionare il contenzioso giudiziario che vede l’Italia tra i primi posti per numero di cause e per la lentezza dei processi, Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” rileva un’anomalia tutta italiana che denota una forma di “cerchiobottismo” per non parlare d’incoerenza evidente: da una parte gli avvocati promettono battaglia contro il tentativo di riforma e dall’altra approntano gli organismi di mediazione sul territorio nazionale. Basta scorrere, infatti, il Registro degli Organismi accreditati presso il Ministero della giustizia che è rintracciabile al seguente link http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_10_1.wp?previsiousPage=mg_2_7_5_2 per rendersi conto che gran parte degli ordini professionali degli avvocati si sono attrezzati per procedere già da subito alle mediazioni.
La domanda nasce spontanea: che al di là di tutto si sia fiutato comunque l’affare?

giovedì 24 marzo 2011

Stop ai risparmiatori truffati. Ora paga la Consob


Più tutele ai risparmiatori truffati. La Consob può essere responsabile se viene meno ai suoi obblighi di vigilanza e risarcire i danni.

Rivoluzione nell’ambito del risparmio con un’importantissima sentenza della Cassazione che amplia notevolmente le tutele per i risparmiatori truffati o vittime di qualche crack finanziario.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la Consob, la Commissione nazionale per le Società e la Borsa, in quanto ente di controllo e vigilanza ha l’obbligo istituzionale di "tutela del pubblico risparmio" che dev'essere esercitato in concreto e non limitarsi ad un attività solo formale e pertanto può essere dichiarata responsabile nel caso dovesse essere venuta meno ai propri obblighi di vigilanza e condannata a risarcire i cittadini frodati dalle società finanziarie.
Nella fattispecie che riguardava la Sfa, una Sim (società di intermediazione mobiliare) che tra il '90 e il '92 fece perdere consistenti quote di risparmio che le erano state affidate, facendole letteralmente sparire, i clienti truffati avviarono un giudizio al termine del quale è stato dimostrato che la Consob intervenne in ritardo a sospendere l'attività della società in questione e quindi ebbe una precisa responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile) nei confronti dei risparmiatori.
Gli ermellini hanno infatti confermato quanto già statuito dai giudici di secondo grado che avevano ritenuto insufficiente la motivazione secondo cui all’ente di vigilanza spetterebbe solo un potere di controllo formale sui prospetti di informazione ai clienti e non sostanziale.
Secondo la Cassazione, al contrario, la Consob deve svolgere una reale funzione di garanzia con azioni volte ad impedire danni concreti nei confronti dei risparmiatori seguendo un normale principio di buon senso. Sulla scorta di un orientamento generale in materia di responsabilità aquiliana e comportamento della P.A., i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto che "L'attività della pubblica amministrazione e in particolare della Consob deve svolgersi nei limiti e con l'esercizio dei poteri previsti dalle leggi speciali che la istituiscono, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere".
La novità rappresentata dai principi espressi nella rilevante sentenza, va ricercata sia negli effetti diretti, in quanto consentirà ai risparmiatori truffati di poter agire contro la Consob nel caso in cui possano dimostrarsi carenze o omissioni nell’attività di vigilanza sostanziale sugli atti delle società finanziarie, che nel nuovo atteggiamento che dovrà tenere l’ente nazionale di controllo che avrà l’obbligo di adottare comportamenti volti ad una tutela più concreta dei cittadini - risparmiatori. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.

mercoledì 23 marzo 2011

Illegittima la multa che sanzionava la sosta sulle strisce?


Riconosciuto il danno da stress e risarcito il proprietario dell’auto rimossa su ordine dell’ausiliario del traffico

Duro colpo della Cassazione alle amministrazioni comunali che affidano la possibilità di elevare sanzioni all’ausiliari del traffico, secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”. La seconda sezione civile della Supremo Corte con la decisione del 23 marzo 2001, ha riconosciuto il risarcimento del danno cosiddetto da “stress” al proprietario dell’autovettura se la stessa è stata rimossa illegittimamente dalla strada, poiché gli ausiliari del traffico o “vigilini” non hanno il potere di sanzionare la sosta sulle strisce pedonali laddove hanno competenza solo per le questioni relative al pagamento dei parcheggi o le cosiddette “strisce blu”.
Nel caso esaminato, gli ermellini hanno rigettato il ricorso di un’azienda municipalizzata del comune di Palermo avverso una sentenza del giudice di Pace del capoluogo siciliano che aveva annullato, per difetto di delega da parte del sindaco, un verbale elevato da un ausiliario del traffico per sosta su attraversamento pedonale e successiva rimozione del mezzo.
Secondo i giudici di piazza Cavour il vigilino non poteva accertare la violazione in quanto legittimato solo alle rilevazioni delle infrazioni riguardanti la sosta a pagamento.
La municipalizzata che aveva presentato motivo di ricorso anche avverso il risarcimento del danno da stress provocato all’automobilista per la ricerca dell’autovettura illegittimamente rimossa all’epoca dei fatti, peraltro, in stato di gravidanza, si vedeva respingere anche questa doglianza per inammissibilità dei motivi in quanto non aveva posto la questione di diritto della risarcibilità ma soltanto una questione di fatto.
Ma la Suprema Corte si è spinta oltre ritenendo che la ricerca dell’auto portata via dal carro attrezzi può essere comunque causa di stress al proprietario alla luce della comune esperienza ed ha quindi confermato la sentenza che dispone il risarcimento stabilito nell’importo di 200 euro a favore della proprietaria.

martedì 22 marzo 2011

Sicurezza stradale: Anas responsabile per il guard rail pericoloso


Un principio importante in materia di responsabilità aquiliana dell’Anas quello stabilito dalla Suprema Corte, secondo la quale l’ente di gestione delle strade è responsabile nel caso di guard rail pericoloso ed è obbligato a risarcire chi riporta lesioni o muore in un incidente stradale proprio in conseguenza del guard rail.
Nel caso in esame, che Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” riporta in commento, infatti, il giudice di legittimità ha accolto il ricorso della moglie e del figlio di un uomo che percorreva una strada provinciale, sotto la tutela dell’Anas, che era rimasto ucciso in un incidente stradale dopo essere finito contro il guard rail che, come una lama, ne aveva provocato la morte.
Nei primi due gradi di giudizio la domanda giudiziale volta al risarcimento del danno era stata respinta, ma la terza sezione civile della Cassazione ha ribaltato i due precedenti verdetti accogliendo i motivi di ricorso proposti dai parenti chiarendo che “la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto al quale la si imputa sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche”. Inoltre, “per le strade aperte al traffico l'ente proprietario si trova in questa situazione una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa - ed a maggior ragione per un'anomalia relativa agli strumenti di protezione istallati, è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno. Ma v’è di più: “l'ente proprietario supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada ,ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima -al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto- integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode”.
Gli ermellini hanno, quindi, ritenuto applicabile l'art. 2051 c.c.. anche nel caso di specie e potremmo dire anche per analogia, a tutti gli enti proprietari di strade aperte al pubblico transito in relazione alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione.
Anche perché, concludono i giudici di piazza Cavour in riferimento proprio al caso in questione “la funzione del guard rail è ontologicamente quella di evitare che qualsiasi condotta di guida non regolare possa portare l’autovettura a pericolose uscite fuori dalla sede stradale”.

lunedì 21 marzo 2011

Non è licenziabile il lavoratore che esce di casa mentre è in malattia se segue le prescrizioni del suo medico.


Il datore di lavoro si affida agli 007 e fa pedinare il dipendente senza chiedere la visita di controllo: è illegittimo il recesso nei confronti dell’infortunato che pure è andato a fare shopping a piedi e in auto durante il periodo della malattia.
Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” segnala la sentenza 6375 del 21 marzo 2011, emessa dalla sezione lavoro della Cassazione con cui, ha respinto il ricorso di un un’azienda che aveva fatto pedinare e poi licenziato il dipendente che si era solo attenuto alle prescrizioni del medico curante.
La suprema corte chiarisce che riprendere la vita normale non ritarda la guarigione.
Un conto è andare in giro per compere, un altro è lavorare tutta la giornata, specialmente se le mansioni impongono di passare molte ore in piedi: è evidente che la prima attività risulta meno faticosa della seconda né il datore può legittimamente sostenere che la condotta del dipendente abbia ritardato il recupero dell’integrità fisica laddove il lavoratore non ha fatto altro che attenersi alle indicazioni del suo medico.
Il datore di lavoro avrebbe ben potuto chiedere una visita di controllo se dubitava sull’inabilità temporanea, tanto più che aveva provveduto a far “spiare” il lavoratore che era uscito di casa nonostante la distorsione alla caviglia.
Nella motivazione è possibile, infatti, leggere che: il fatto che l’azienda non abbia fatto ricorso alla visita medica di cui all’articolo 5 dello statuto dei lavoratori non impedisce certo che l’insussistenza della malattia possa essere accertata per altre vie. Il punto è che il dipendente mentre era in malattia non è certo andato a lavorare per qualcun altro, ma ha semplicemente ripreso la sua vita normale dopo l’incidente.
Tali circostanze emergono proprio dai rapporti dell’investigatore privato che ha tenuto d’occhio il lavoratore per conto del datore. Insomma, alla base dei certificati di malattia c’è una vera patologia confermata anche dall’Inail; mentre l’attività compiuta dal dipendente, che è soltanto andato un po’ a zonzo, non impone al lavoratore l’onere di confermare la “bontà” dei certificati medici per confermare la perdurante inabilità temporanea al lavoro. Gli ermellini hanno respinto integralmente il gravame, sostenendo che il datore, dal canto suo, non ha provato la malafede della controparte condannandolo alle spese di giudizio.

domenica 20 marzo 2011

Mangiare pesce almeno una volta a settimana per proteggere gli occhi.


Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta all’attenzione della cittadinanza quanto già pubblicato da Archives of Ophthalmology di una ricerca della Harvard Medical School su il rischio di degenerazione maculare che si dimezza se nella propria dieta si inserisce una porzione di pesce ogni settimana.
Lo studio ha coinvolto 38 mila donne per un intero decennio. Le partecipanti hanno periodicamente compilato questionari sulle abitudini alimentari e sullo stato di salute. Al termine della ricerca è emerso che chi mangiava pesce almeno una volta alla settimana aveva una probabilità inferiore del 42% di ammalarsi
Spiegano gli autori: “A funzionare meglio sembrano essere i pesci con carne scura, come il tonno", hanno spiegato gli autori, "e comunque quelli che hanno un maggiore contenuto di acidi grassi omega-3”.

Tubercolosi:in Italia si verificano ancora più di 4 mila nuovi casi all’anno


24 marzo, “Giornata Mondiale per la Lotta alla Tubercolosi” e pochi sanno che in Italia si verificano ancora più di 4 mila nuovi casi all’anno

Il 24 marzo prossimo venturo si celebrerà, come ogni anno, la Giornata Mondiale per la Lotta alla Tubercolosi (World TB Day) per commemorare il giorno nel 1882, in cui il Dr Robert Koch comunicò di aver trovato la causa della TBC.
In occasione di tale evento, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” porta all’attenzione della cittadinanza quanto già segnalato dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e la Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le quali hanno ribadito, in questi giorni, l’importanza di eliminare la TBC nei bambini ed il grave problema della tubercolosi multi-resistente (MDR TB).
Secondo il nuovo rapporto "Tuberculosis surveillance in Europe 2009" dell’ECDC e Regione europea dell’OMS, sono molto più preoccupanti di quanto si pensi, i nuovi dati relativi a questi due fenomeni che hanno spinto le due organizzazioni a sviluppare un Piano regionale per la MDR-TB e per affrontare i problemi di prevenzione e controllo della TBC nei bambini.
Sorprendono, infatti, le rilevazioni sulla tubercolosi multi-resistente, le cui incidenze più elevate a livello mondiale sono state registrate all’interno della regione Europea, nonché i casi di diffusione della TBC tra i bambini. Il report che si rifà agli ultimi dieci anni parla di quasi 40.000 casi nei Paesi EU/EEA e più di 3.300 casi nel solo 2009.
Per quanto riguarda il Nostro Paese l’incidenza della tubercolosi (TBC) è notevolmente diminuita a partire dagli anni cinquanta seguendo la tendenza di quasi tutti i Paesi dell’Europa Occidentale.
Proprio in conseguenza del drastico calo di contagi si è abbassato notevolmente il livello di attenzione al problema, così come il grado di sospetto diagnostico e le competenze specialistiche, nonostante in Italia vengano acclarati ogni anno più di 4 mila nuovi casi di TBC e vi sia comunque una modesta incidenza della TBC nei bambini che riguarderebbe il 5% dei casi verificati nel 2008 tra bambini di età compresa tra 0 e 14 anni e il 2,4% sotto i 5 anni. Peraltro, in letteratura medica sono da segnalarsi anche vari focolai nelle scuole del nostro Paese.
Questo dato che dimostra che la malattia non è affatto scomparsa dal Nostro territorio deve necessariamente causare un nuovo innalzamento dei livelli di guardia tra gli operatori così come una loro continua formazione ed efficaci strategie di prevenzione e attività di controllo.
Per queste ragioni lo “Sportello dei Diritti” da sempre impegnato nell’opera di prevenzione e nella Tutela della Salute pubblica e dei singoli cittadini, condivide e rilancia la necessità di aumentare la consapevolezza del pubblico rispetto a questa malattia che ancora oggi causa il decesso di milioni di persone all’anno e che la “Giornata Mondiale per la Lotta alla Tubercolosi” si è prefissata quale obiettivo principale.

sabato 19 marzo 2011

Yara Gambirasio: lo Sportello Dei Diritti plaude alla proposta del Gen.Luciano Garofano per il prelevamento dei Dna


Yara Gambirasio: lo Sportello Dei Diritti plaude alla proposta del Gen.Luciano Garofano ex Comandante del RIS di Parma per il prelevamento dei Dna di tutta la popolazione del paesino bergamasco partendo dai vicini di casa di Yara

L’assassino potrebbe trovarsi tra gli abitanti di Brembate di Sopra.
Dopo il rilevamento dei due Dna sul corpo della giovane Yara Gambirasio, è intervenuto l'ex comandante dei Ris dei Carabinieri di Parma, Gen. Luciano Garofano, secondo il quale il ritrovamento dell'assissino potrebbe trovarsi tra gli abitanti di Brembate di Sopra.
Secondo Luciano Garofano sarebbe decisivo un rilevamento massiccio dei Dna, attraverso i tamponi salivari di tutta la popolazione del paesino bergamasco partendo dai vicini di casa di Yara.
Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” plaude alla proposta che potrebbe portare alla soluzione del caso grazie ai tamponi salivari che gli investigatori stanno compiendo a tappeto in questi giorni.

venerdì 18 marzo 2011

Scandalo Autovelox taroccati, lo Sportello Dei Diritti pronto a costituirsi parte civile


Scandalo Autovelox taroccati, lo Sportello Dei Diritti pronto a costituirsi parte civile al fianco delle decine di migliaia di automobilisti illegittimamente multati

La maxi inchiesta della Guardia di Finanza di Brescia che avrebbe smascherato una frode colossale a danno di migliaia di automobilisti che sarebbero stati illegittimamente multati con autovelox appositamente taroccati al fine di misurare velocità superiori del 15% ed oltre rispetto alla velocità effettiva dimostra quanto Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”
sostiene in materia di autovelox ed apparecchiature elettroniche di rilevazione delle infrazioni in generale che hanno finalità di fare cassa, ma che ora sembra siano servite anche per le tasche di qualche privato.
Per queste ragioni lo Sportello Dei Diritti affiancherà le migliaia di automobilisti che hanno pagato ingiustamente le multe costituendosi parte civile per vedere restituito il maltolto a questi cittadini e si augura che anche l’inchiesta della GdF sulle spese di notifica partita da Lecce possa verificare se vi siano stati comportamenti illegittimi da parte delle società appaltatrici nel servizio di postalizzazione delle infrazioni.

Cane muore ucciso al parco da cani più grandi, niente risarcimento del danno morale


Se il cane muore ucciso al parco da altri cani il proprietario non ha diritto ad alcun risarcimento economico. A stabilire che la perdita di un animale non implica alcun danno morale, almeno non riconosciuto dalla legge italiana, è stata la sentenza del 12 gennaio 2011 del tribunale civile di Sant’Angelo dei Lombardi che, ha determinato che la compagnia di un animale non è un diritto inviolabile della persona.
A presentare la richiesta di risarcimento era stata una signora che si era vista uccidere al parco il suo cagnolino, un volpino, da due maremmani.
Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” segnala la sentenza con cui il giudice di merito ha negato il risarcimento del danno morale ed esistenziale basandosi sul fatto che, in mancanza di un reato, il danno non patrimoniale può essere riconosciuto solo in caso di violazione di un diritto costituzionalmente protetto.
La sentenza cita che “in tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (che superi cioè la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi a fastidi o sia addirittura immaginario)”. Ciò precisato, ritiene questo Giudice che, nella specie, non sussista un’ingiustizia costituzionalmente qualificata, tanto che la perdita da animale d’affezione è stata proprio indicata in maniera esemplificativa, dalle Sezioni Unite, quale risibile prospettazione di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone, unitamente ad altre ipotesi pure ivi elencate (la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico); va inoltre evidenziato ad abundantiam che, nella presente vicenda, l’attrice si è limitata a dedurre di aver utilizzato il proprio cane nell’ambito di una pet therapy (con ciò lasciando sottintendere la sussistenza di un rapporto non solo affettivo ma anche terapeutico con la propria bestiola), senza tuttavia corroborare in alcun modo sul versante probatorio il proprio assunto, con ciò omettendo di contribuire – nel caso concreto – all’erosione dell’”equazione” tratteggiata dalle Sezioni Unite”.

giovedì 17 marzo 2011

Anatocismo, la cantonata del “milleproroghe”


La cantonata del “milleproroghe” e “anatocismo” viene confermata anche dalla Corte d’Appello di Ancona che conferma l’inapplicabilità della sciagurata norma “salvabanche”.

Riceviamo e diffondiamo l’ennesima decisione di una corte del Territorio nazionale, in particolare la Corte di Appello di Ancona, che conferma l’inapplicabilità della sciagurata norma “salva banche” di cui all’art. 2 comma 19 della legge 26/2/2011 n. 10 di conversione con modificazioni del decreto legge 29/12/2010 n. 225 inserita abusivamente dal governo nella legge di conversione del decreto “milleproroghe”.
Come ha più volte sostenuto Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, sotto la paventata tutela della stabilità del sistema bancario nazionale, l’attuale governo ha tentato di scippare i cittadini del diritto di ripetere le somme indebitamente percepite dalle banche e quindi di vedersi restituito il maltolto.
Dicevamo ha tentato perché tutte le decisioni successive all’entrata in vigore confermano la cantonata presa dal governo oltrechè per gli evidenti profili d’incostituzionalità della norma, addirittura anche per la sua totale inapplicabilità alle controversie nascenti ed in corso.
Così anche la Corte di Appello di Ancona con un’ordinanza del 03 marzo scorso che alleghiamo di seguito ha statuito quanto già circolava tra gli operatori del diritto, ribadendo la confusione in cui è incappato il presentatore del famigerato emendamento forse troppo preso dalla fretta di chiudere la faccenda con il decreto in scadenza per salvare la lobby delle banche per l’ennesima volta.
In particolare, la corte si sofferma sulla circostanza che secondo il legislatore con la novella di cui parliamo la prescrizione decorrerebbe dall’annotazione sul conto che è operazione meramente interna e non all’operazione di pagamento cui si riferiva la famosa sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24418 del 02 dicembre 2010 che aveva confermato il termine prescrizionale decennale decorrente proprio dal termine di pagamento e non dalla singola annotazione sul conto.
Peraltro, il giudice del gravame riconoscendo portata innovativa alla norma incriminata, stante la natura sostanziale della stessa e quindi non meramente processuale l’ha ritenuta applicabile alla controversia già decisa in primo grado.

lunedì 14 marzo 2011

Allarme Nucleare: il Parlamento Europeo fissa i livelli di radioattività massimi ammissibili per i prodotti alimentari e mangimi


Allarme Nucleare: il Parlamento Europeo quasi profeticamente aveva fissato il 15 febbraio scorso i livelli di radioattività massimi ammissibili per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali

Prima che nel mondo irrompesse prepotentemente e con rinnovato timore l’incubo del nucleare e quindi meno di un mese prima dei tragici eventi del Sol Levante, quasi profeticamente, il 15 febbraio scorso il Parlamento Europeo ha adottato una propria risoluzione al regolamento del Consiglio Euratom che istituisce un sistema che detta i livelli massimi tollerabili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di un incidente nucleare o in qualsiasi altra possibile emergenza radioattiva.
Non dimentichiamo, infatti, ricorda Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” che anche in Europa sono attivi ben 195 impianti e quindi è opportuno rammentare che anche la popolazione europea è soggetta ai pericoli connessi e per dipanare ogni dubbio, chi scrive ritiene utile anche alla luce del disastro di Cernobyl che sconvolse il Vecchio Continente negli anni ’80 e dei recentissimi fatti poc’anzi ripresi relativi al Giappone, una politica europea unitaria di abbandono del nucleare quale fonte energetica e di smantellamento graduale di tutte le centrali atomiche presenti.
La statuizione dell’organo europeo, peraltro, affonda le sue radici nell’art. 168 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), per il quale “nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana” e gli Stati membri sono responsabili di verificare la conformità di alimenti e mangimi anche rispetto ai livelli massimi ammissibili di contaminazione radioattiva stabiliti nel nuovo regolamento.
Il regolamento, disponibile sul sito dell’Europarlamento, è composto di 11 articoli e 5 allegati che riportiamo in sintesi:
- in caso di incidente nucleare o emergenza radiologica, la Commissione adotta immediatamente una decisione – valida per non più di tre mesi - sull’applicazione dei livelli massimi ammissibili di contaminazione, in conformità agli allegati del regolamento. La Commissione è assistita da un comitato di esperti scientifici indipendenti, competenti in materia di sanità pubblica e sicurezza alimentare (art. 2).
- la Commissione aggiorna gli allegati con atti delegati (da notificarsi al Parlamento europeo e al Consiglio, che hanno due mesi per obiettare), tenendo conto di ogni nuovo dato scientifico disponibile o, quando necessario, dopo un incidente nucleare o un’emergenza radiologica (art. 3-6).
- i prodotti alimentari o gli alimenti per animali non conformi ai livelli massimi ammissibili non possono venire immessi sul mercato. Il regolamento si applica anche ai prodotti alimentari e mangimi importati da paesi terzi, in transito doganale o destinati all'esportazione. Gli Stati membri verificano la conformità con i livelli massimi ammissibili di contaminazione radioattiva. Per questo fine, organizzano un sistema di controlli ufficiali e la comunicazione al pubblico, in conformità all'art. 17 Re. CE n. 178/2002 (art. 7).
- entro marzo 2012 la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione su un meccanismo per indennizzare gli agricoltori i cui prodotti alimentari siano stati contaminati oltre i livelli massimi e non possano essere immessi sul mercato. Tale meccanismo dovrebbe essere basato sul principio «chi inquina paga» (art. 8).

- il regolamento, infine, abroga i precedenti (Euratom) n. 3954/87 del Consiglio e n. 944/89 e n. 770/90 della Commissione (art. 10).

domenica 13 marzo 2011

Le famiglie italiane non riescono più a pagare le bollette di luce, gas ed affitti ed il governo nasconde i dati della crisi


Gli ultimi dati sui distacchi per morosità di luce e gas a cui siamo riusciti a risalire riguardano l’ormai lontano 2009, quando già ci si avviava inesorabilmente verso la crisi economica ma non si era ancora raggiunto il picco. Già all’epoca si poteva contare un aumento delle interruzioni delle forniture elettriche alle famiglie pari al 30 per cento rispetto al solo anno precedente. Così come si registravano preoccupanti crescite nei ritardi del pagamento degli affitti, delle spese condominiali, delle rette scolastiche e delle tasse in generale.
La circostanza che non siano reperibili aggiornamenti da circa due anni su tali allarmanti dati ci spinge a prendere in maggiore considerazione le decine segnalazioni della grave difficoltà in cui dibattono i cittadini che ci arrivano non solo dalle aree più disagiate del Paese ma anche dai Territori che in apparenza sembrano sentire meno gravemente la crisi economica che vive la nazione.
Potrebbe sembrare da menagrami riportare costantemente l’attenzione su quanto gravemente la crisi colpisca i cittadini e le famiglie ed al contempo quanto sia inefficacie l’azione del governo per tentare di arginarne gli effetti, ma Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” evidenzia che la difficoltà di reperimento di tali dati appaia un ulteriore tentativo maldestro di nascondere il difficile momento in cui ci dibattiamo.
È come nascondere la testa sotto la sabbia mentre il Paese affonda senza che chi è al timone provi ad invertire la rotta.

venerdì 11 marzo 2011

Istituto Superiore di Sanità: in aumento soprattutto tra i giovani i casi di malattie sessualmente trasmesse


Prevenire è meglio che curare, non solo il motivo di un famoso spot, ma dovrebbe essere per tutti uno stile di vita. Diciamo dovrebbe, perché anche quando nella nostra società si raggiunge una certa consapevolezza sulla dannosità di certi comportamenti, comunque ci ostiniamo a ripeterli o a non osservare le adeguate accortezze.
Accade così che in Italia, nonostante siano noti i rischi di contagio per via sessuale delle più svariate patologie, sia ancora troppo poco diffusa la necessità d’informarsi e di utilizzare le giuste precauzioni, così come sottolinea Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”
A comprova di quanto suddetto, sono a dir poco impressionanti i dati sull’aumento dei contagi, soprattutto tra i giovani della Condilomatosi genitale che come è noto è causata principalmente da due ceppi specifici di Papillomavirus (HPV, Human Papilloma Virus): il 6 e l’11. Si manifesta, per lo più senza alcun sintomo soggettivo, sotto forma di escrescenze carnose presenti sui genitali o nella zona anale (le cosiddette "creste di gallo") e può causare conseguenze irreversibili sulla fertilità e sulla qualità della vita.
Secondo una recente indagine nell’ambito del Sistema di sorveglianza sulle Malattie Sessualmente Trasmesse dell’Istituto Superiore di Sanità, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Igiene e Sanità Pubblica (vol. LXVI n°6, novembre/dicembre 2010) e da uno studio condotto dalla SIGO (pubblicato su It J Gynaecol Obstet, 2008, 20:33-42) i casi di contagio della condilomatosi genitale in Italia sono raddoppiati tra il 2004 e il 2008, sino a raggiungere nel nostro Paese i 250.000 ogni anno ed una maggiore diffusione tra i giovani al di sotto dei 25 anni. Peraltro, nel 2008, in circa il 4% dei pazienti con condilomi si associa anche l’infezione da HIV.
Per non parlare dei costi sociali di questo trend in crescendo che comporterebbero un costo per il servizio sanitario valutato circa sui 400 euro per caso che può essere praticato o attraverso l’utilizzo di farmaci quali l’acido tricloroacetico o l’imiquimod o anche di tipo fisico e tra questi la laserterapia o la crioterapia; v’è da dire che però assai spesso tali trattamenti non sono risolutivi ed il problema può ricomparire già solo dopo poche settimane dalla terapia.
L’unica soluzione reale al problema, come tenevamo a precisare all’inizio, sta certamente nella prevenzione e quindi nella necessità d’informare la popolazione in generale ed in particolare i più giovani circa l’esistenza di questa patologia, ancora troppo poco conosciuta, sulla sua modalità di trasmissione, sull’inevitabilità di rivolgersi precocemente al proprio medico curante per una diagnosi e un trattamento adeguati. Proprio per tali ragioni, come sottolineano tutti gli studi in materia, risulta fondamentale il coinvolgimento dei partner, per evitare la trasmissione non solo dei condilomi, ma per tutte le patologie che si trasmettono attraverso i contatti sessuali, alcune purtroppo letali.

giovedì 10 marzo 2011

Anatocismo e milleproroghe, il Tribunale di Benevento invia gli atti alla Corte Costituzionale


Anatocismo e “milleproroghe”: prima ordinanza sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Benevento che invia gli atti alla Consulta, affinché decida sulla costituzionalità o meno della norma di legge che nega il diritto al recupero delle somme indebitamente percepite a titolo d’interessi anatocistici se richieste dopo dieci anni dalla singola annotazione sul conto corrente.

Era certo, non solo, tra gli operatori del diritto che gli effetti della legge 26/2/2011 n. 10 di conversione con modificazioni del decreto legge 29/12/2010 n. 225, ossia del famigerato “milleproroghe” ed in particolare della scandalosa norma “salva banche” in materia di anatocismo e prescrizione di cui all’art. 2 comma 19 della suddetta legge, si sarebbero fatti sentire immediatamente nelle aule di giustizia.
Ed è così che già solo a distanza di pochissimi giorni dalla pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”, il giudice unico dr. Andrea Loffredo del Tribunale Ordinario di Benevento, ha promosso di ufficio con apposita ordinanza del 10 marzo 2011, che Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” allega, questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione per violazione degli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 della Costituzione.
Ma veniamo al riepilogo della vicenda a partire dalla legge di conversione del “milleproroghe”.
Con la disposizione in questione ormai nota ai più, la lobby delle banche abilmente rappresentata dai parlamentari della maggioranza attuale, aveva sconfessato la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24418 del 02 dicembre 2010 che aveva confermato il diritto da parte dei correntisti a vedersi restituire tutte le somme indebitamente percepite a titolo di interessi passivi dalle banche su tutti i conti correnti con capitalizzazione trimestrale degli interessi come noto di fatto vietata dall'art. 1283 del Codice Civile. Nella sentenza era stato ribadito il principio secondo cui la prescrizione del diritto del correntista a ottenere la restituzione delle somme, illegittimamente addebitate dalla banca sul conto corrente, decorre dal termine di estinzione del rapporto e non dalla data della singola annotazione a debito sul conto, riaffermando il divieto assoluto dell'anatocismo trimestrale e annuale garantendo in questo modo il diritto di tutti i correntisti, vittime dell'anatocismo alla restituzione dell'indebito relativo ad una prassi bancaria illegale.
Con un emendamento che avevamo definito "criminale" inserito nella suddetta legge di conversione veniva ribaltato il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte e stabilito con una norma d'interpretazione autentica secondo cui in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente con l'art. 2935 del codice civile, si interpretano nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa.
Al di là delle giuste polemiche sollevate e dalle dissertazioni dottrinarie sulla efficacia o meno della norma “salva banche”, Giovanni D’Agata ritiene assai importante che tale disposizione venga posta al vaglio di costituzionalità poiché, anche come confermato dall’ordinanza riportata, sussistono evidenti profili d’incostituzionalità della stessa.
Non ci resta che attendere il giudizio della Consulta e confidare come consumatori e correntisti che sia cancellato quest’ennesimo scempio in danno dei cittadini.

mercoledì 9 marzo 2011

Pericolo sventato: la mannaia del “taglia-leggi” Calderoli non ha abolito le norme contro i cibi adulterati.


Chi mette in commercio cibi adulterati potrà essere perseguito ed essere condannato.
Secondo la Cassazione l’etichetta “taroccata” integra la tentata frode alimentare per chi vende merce scaduta
La Suprema Corte chiarisce ufficialmente i dubbi circa la presunta abrogazione della normativa istitutiva dei reati connessi con la messa in commercio e vendita di “cibi avariati” da parte della mannaia del “taglia-leggi” Roberto Calderoli” Ministro della Semplificazione o dell’Impunità, come lo avevamo definito due mesi or sono quando il procuratore della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello aveva lanciato l’allarme circa il rischio connesso alla soppressione di tali reati a seguito dell’entrata in vigore della legge 246/05 (c.d. “taglia-leggi”).
Con la sentenza n. 9276 emessa dalla terza sezione penale della Cassazione le cui motivazioni sono state depositate il 9 marzo 2011, viene sostanzialmente affermato che le norme contro gli alimenti adulterati di cui alla legge 283/62 restano in vigore poiché per configurarsi il reato di tentata frode alimentare è sufficiente che il prodotto presenti una data di scadenza posteriore a quella vera.
Nonostante la normativa su cibi e bevande non sia espressamente indicata nell’elenco delle leggi da salvare, tale norma resta in vigore in quanto coerentemente a quanto stabilito dall’articolo 14 comma 17 della legge 246/05 (c.d. “taglia-leggi”) che disciplina in via generale l’esito delle leggi da mantenere in vigore, è stata esclusa dall’abrogazione la legge 441/63 modificativa della legge 283/62.
Per quanto riguarda in esplicito la violazione dell’articolo 515 del Codice penale, l’etichetta “truccata” può comportare comunque per il commerciante 1.000 euro di multa come già previsto. Secondo gli ermellini integra la tentata frode in commercio non l’effettiva messa in vendita del prodotto, ma è sufficiente che sia destinata alla commercializzazione la merce che per origine, provenienza, quantità o qualità non corrisponde a quanto indicato, ad esempio, dall’etichetta.
Ma i giudici di legittimità vanno oltre: ai fini della configurabilità del reato non bisogna, infatti, dimostrare che vi sia stata un’effettiva contrattazione fra l’esercente e il cliente e la fattispecie sussiste anche a seguito della semplice esposizione sul banco vendita. Ciò che conta, infatti, è la messa in vendita di aliud pro alio.
I consumatori possono tirare così un sospiro di sollievo sostiene Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, mentre tutti quei lestofanti che pensavano di farla franca dopo la paventata abrogazione della disciplina sulla tutela della vendita degli alimenti potranno comunque essere perseguiti. Non ci resta che auspicare, però a questo punto un inasprimento delle pene dalla suddetta legge perché la salute dei cittadini è un bene primario per il quale tutt’oggi appare non sufficiente il deterrente rappresentato dalle esigue sanzioni previste in materia di messa in commercio di cibi adulterati o delle frodi alimentari in generale.

lunedì 7 marzo 2011

E’ Stalking anche se danneggia porta di casa e l’auto della ex


Con la sentenza n. 8832 del 7 marzo 2011 emessa dalla quinta sezione penale la Cassazione interviene in merito al reato di stalking ed interpretando estensivamente la norma di cui all’art. 612 bis del codice penale non fa altro che aumentare le tutele nei confronti delle vittime.
Così Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” commenta l’importante decisione della Suprema Corte per cui “danneggiare l'automobile, il sistema d'allarme, il campanello e la porta dell'abitazione della propria ex sono comportamenti che integrano il reato di stalking, per il quale si puo' essere sottoposti alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla 'vittima'.
La differenza con il reato di lesioni è che basta l’atto persecutorio senza l’accertamento di patologie, per integrarlo risulta dunque sufficiente l’effetto destabilizzante ascrivibile alla condotta incriminata anche senza l’accertamento di uno stato patologico dell’offeso che invece risulta necessario per contestare l’illecito di cui all’articolo 582 Cp..
Nel caso di specie l’uomo, dopo la fine della relazione, aveva cominciato a perseguitare, prendendosela soprattutto con l’auto della donna parcheggiata in strada: dallo specchietto alla carrozzeria, dai fari al lunotto fino alle gomme, poco o nulla si salva dai danneggiamenti in un crescendo che culmina nell’incendio finale della vettura.
La misura interdittiva prevista dal giudice è ritenuta legittima dal momento che la condotta dell’amante “scaricato” ha indotto nella “sua” ex paura e nervosismo nonostante non risulti accertato uno stato d’ansia da un medico specialista: in quel caso, infatti, sarebbe scattato l’ulteriore reato di lesioni personali che può ben essere integrato in caso di malattia psichica e mentale, oltre che fisica.
L’accanimento sul veicolo, e poi sulla porta di casa e contro il sistema di allarme, denota da parte dell’indagato un atteggiamento indubbiamente persecutorio: a legittimare l’ordinanza del giudice, insomma, risulta sufficiente che la condotta dell’agente abbia avuto un effetto destabilizzante sulla serenità della vittima.
Gli ermellini hanno quindi accolto il ricorso, affermando che “il reato ex art. 612 bis cp è previsto quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, sia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, infine, tale da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

domenica 6 marzo 2011

Scuole di Specializzazione di Area Sanitaria. Urge parificazione tra le varie categorie di laureati


Urge parificazione tra le varie categorie di laureati in biologia, biotecnologie mediche, farmacia, chimica da una parte ed i medici dall’altra. IDV pronta a interrogare il governo sul necessario riequilibrio tra categorie e per una proposta di legge

Tra le tante disparità di trattamento presenti in Italia ve n’è una in particolare che merita di essere evidenziata e che riguarda la situazione tra categorie di laureati che accedono a seguito di pubblico concorso nelle Scuole di Specializzazione di Area Sanitaria.
In tali scuole di specializzazione possono infatti entrare per concorso pubblico i laureati specialisti in Medicina, Biologia, Biotecnologie Mediche, Farmacia, e Chimica, che pur lavorando fianco a fianco, per esempio nel medesimo laboratorio di microbiologia, seguendo le stesse procedure di apprendimento con un unico tutor, utilizzando le strumentazioni in comune, osservando gli stessi orari di impegno e uguali obblighi di frequenza (come espressamente previsto nei bandi di concorso), subiscono sostanziali differenze sul piano del trattamento giuridico ed economico: da una parte, infatti, ci sono i laureati in medicina che godono di un “contratto annuale di formazione specialistica” (stipulato tra medico specializzando e università) con regolare retribuzione e tutela previdenziale, e dall’altra ci sono i non-medici (biologi, biotecnologi, farmacisti, chimici) che inspiegabilmente e ingiustamente non godono di nulla di tutto ciò (anzi, meno di nulla, visto che devono pagare le tasse universitarie e sostenere i costi del vivere fuori casa).
Il Decreto Ministeriale 1° agosto 2005 (Riassetto scuole di specializzazione area sanitaria) unitamente al Decreto Legislativo 17 agosto 1999 n. 368 (art. 34 e seguenti) che costituiscono le principali fonti normative della materia, hanno di fatto confermato tali gravissime disparità di trattamento che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” ritiene debbano essere sanate attraverso una nuova normativa che parifichi le varie condizioni tra gli specializzandi con ciò garantendo la piena realizzazione dell’art. 3 della Costituzione, tanto più che risulterebbe che alcuni ricorsi amministrativi abbiano in parte riequilibrato la situazione con ciò colmando le lacune normative esposte.
Per queste ragioni l’IDV avvierà tutte le più opportune azioni parlamentari a partire da un’interrogazione in materia nei confronti del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca e di quello del Lavoro a cui seguirà una proposta di legge riequilibratrice del settore.

sabato 5 marzo 2011

La Lega apre uno sportello anti immigrati. Lo “Sportello dei Diritti” preannuncia l’apertura di sportelli pro immigrati in tutt’Italia al Nord come al


Lo “Sportello dei Diritti” preannuncia l’apertura di sportelli pro immigrati in tutt’Italia al Nord come al Sud.

La notizia odierna dell’apertura in Friuli Venezia Giulia di uno sportello anti immigrati non dice nulla di nuovo sulla natura pseudoxenofoba e popolulista della Lega che più che parlare alla pancia dei “padani” dimostra di saperne sparare di grosse.
Siamo abituati, infatti, a sentirne di tutti i colori da parte degli esponenti del partito del Nord, ma l’ultima novella sull’inaugurazione di quest’ufficio, in sostanza un numero cui i cittadini possano rivolgersi per denunciare di qualsiasi tipo di danno che sarebbe stato causato da uno straniero, appare al contempo un fatto gravissimo se non lo si voglia ridurre ad una semplice provocazione ed un momento utile per riflettere sulla diversa considerazione che hanno le diverse sensibilità sociali e politiche sul fenomeno migratorio in ingresso.
Da una parte vi è chi considera lo straniero alla stregua di un’utilità materiale da sfruttare sino al midollo solo per lavori logoranti e con salari da fame, mentre in tutti gli altri casi si deve fare di tutto per cacciarlo via ed espellerlo perché “non serve a nulla” se non a causare danni. Dall’altra c’è chi riflette sulla complessità della questione e va in fondo al problema che è costellato da un universo di diversità che solo attraverso massicce politiche d’integrazione, condivisione e scambio di esperienze, emersione dalle irregolarità e dalle illegalità, possano individuare soluzioni stabili.
L’esperienza dello Sportello dei Diritti e del “Servizi Immigrazione Salento” che vanno tutte in questa direzione dimostrano che la strada giusta da imboccare nell’ambito della delicatissima materia dell’immigrazione è quella dell’integrazione “senza se e senza ma”, della collaborazione tra popoli ed etnie, della ricerca continua della Legalità anche quando gli strumenti legislativi e regolamentari, specie a partire dalla famigerata legge “Bossi – Fini” sino al “decreto sicurezza” appaiono in contrasto con queste finalità.
Per queste ragioni ad una grave provocazione che non dobbiamo sottovalutare, Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” risponde con il preannunciare l’apertura di sportelli pro immigrati in tutt’Italia, al Nord come al Sud, sulla falsariga di quelli già creati nel Salento e che tanti buoni risultati hanno portato a questo Terra d’immigrazione e d’accoglienza.

venerdì 4 marzo 2011

La “santa” infallibilità dell’autovelox ancora a dura prova: un cittadina multato due volte con due verbali diversi per la stessa identica (presunta)


Quale credibilità potranno mai avere gli “infallibili” autovelox dato che ormai i casi di incredibili errori che vengono portati all’attenzione di Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello Sportello dei Diritti” sono decine e decine e da ogni parte d’Italia.
Dopo il Fiat Doblò sorpreso oltre la velocità del suono che avevamo segnalato solo pochi giorni fa, dopo il caso dei due verbali perfettamente identici rilevati da due comuni confinanti ora quello del cittadino multato due volte con due verbali diversi ma per la stessa, presunta (a questo punto è più che lecito chiederselo!), infrazione.
Come dicevamo nel nuovo caso in questione, il proprietario di un’autovettura si è visto recapitare lo stesso giorno da parte del Comando di Polizia Locale Associata di Polesella (RO) due verbali diversi per numero di protocollo e numero progressivo, ma perfettamente identici rispetto alla rilevazione dell’infrazione in quanto riportanti il superamento del limite di velocità e quindi la violazione dell’art. 142 comma 8 del Codice della Strada allo stesso giorno, alla stessa ora, nello stesso tratto di strada, alla stessa velocità rilevata e dallo stesso agente accertatore.
Rimasto incredulo dopo aver letto attentamente i due atti, l’automobilista si è rivolto direttamente allo “Sportello dei Diritti” per farsi predisporre un ricorso rilevando gli evidenti e gravi vizi di forma presenti sui due verbali probabilmente determinati dalle procedure informatiche di attestazione delle infrazione che sfruttano quasi sempre il cosiddetto “copia - incolla” da parte degli accertatori anche perché anche in questo caso, così come quelli già segnalati, non è dato sapere quale dei due verbali corrisponderebbe al fatto storico effettivamente rilevato.
Perché mai infatti il cittadino dovrebbe pagare due verbali per la stessa infrazione?

giovedì 3 marzo 2011

No alle dimissioni rapide dall’ospedale la salute è più importante


La Cassazione annulla l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente
La salute deve prevalere sui criteri di economicità relativi al contenimento della spesa sanitaria e pertanto le dimissioni del paziente dal ricovero in ospedale devono essere decise solo in base a valutazioni di "ordine medico", e non legate ai criteri fissati dalle 'linee guida' in uso nelle strutture sanitarie. È questo il principio espresso dalla Suprema Corte con la sentenza 8254/2011 della quarta sezione penale che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta, che ha annullato l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente reduce da un intervento cardiaco e dimesso dopo 9 giorni, in virtù dei criteri delle linee guida.
Nel caso di specie la Cassazione ha applicato tale principio accogliendo il ricorso dei familiari del paziente deceduto per essere stato dimesso troppo frettolosamente e della procura della Corte d'Appello di Milano che si erano opposti all'assoluzione di un medico dell'ospedale civile di Busto Arsizio.
L’ammalato era stato ricoverato il 9 giugno 2004 per infarto al miocardio e sottoposto ad intervento chirurgico venendo dimesso dopo 9 giorni, il 18 giugno Nella stessa notte, il paziente decedeva per un arresto cardiocircolatorio nonostante il tempestivo intervento dei familiari che lo avevano trasportato al Pronto Soccorso.
Secondo una perizia medico-legale, la vittima sarebbe certamente sopravvissuta per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto se non fosse stato dimesso frettolosamente tant’è che in primo grado il medico firmò che le dimissioni, venne condannato a 8 mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari. I giudici dell’appello avevano deciso per l’assoluzione di quest’ultimo "perché il fatto non costituisce reato" in quanto il medico aveva seguito le linee guida in tema di dimissioni.
Tale assunto è stato nuovamente ribaltato dai giudici di piazza Cavour che nel cassare con rinvio la sentenza della corte d’Appello non hanno lesinato critiche nei confronti delle 'linee guida' obiettando che "nulla si conosce dei loro contenuti, né dell'autorità dalle quali provengono, né del loro livello di scientificità, né delle finalità che con esse si intende perseguire, né è dato di conoscere sé rappresentino un ulteriore garanzia per il paziente" oppure se "altro non sono che uno strumento per garantire l'economicità della gestione della struttura ospedaliera". Ma gli ermellini hanno calcato la mano applicando un principio sacrosanto: "A nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell' ammalato". Peraltro, la Suprema Corte ha voluto ammonire i medici sulla circostanza che in primo luogo devono rispondere al loro codice deontologico in base al quale hanno il dovere "di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza" e, pertanto, non sono tenuti "al rispetto di quelle direttive laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non possono andare esenti da colpa ove se ne lascino condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico".

mercoledì 2 marzo 2011

Lotta alla discriminazione, la Cassazione boccia il Comune che nega il bonus bebè agli stranieri


Per la prima volta dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione secondo le quali compete al giudice ordinario decidere sulle controversie instaurate dagli immigrati per contrastare provvedimenti amministrativi discriminatori.
È il principio stabilito con l’ordinanza numero 3670 del 15 febbraio 2011 che riporta Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
La vicenda riguarda una coppia di immigrati che si era rivolta al Tribunale perché il bonus bebè era stato riconosciuto dal comune di Brescia solo ai cittadini italiani. Il Comune si era costituito in giudizio sollevando una questione di giurisdizione secondo cui sulla legittimità degli atti amministrativi dovesse decidere il Tar.
La Corte ha però rigettato questa tesi poichè sono in gioco interessi di rango costituzionale. Gli ermellini, hanno sentenziato, “la Corte è intervenuta, per la prima volta, a regolare la giurisdizione in ordine ad un’azione antidiscriminazione rivolta contro un provvedimento autoritativo emesso da una pubblica amministrazione, stabilendo che, versandosi in materia di diritti soggettivi assoluti, come si desume dal quadro costituzionale, sovranazionale ed interno di riferimento, la giurisdizione debba appartenere esclusivamente al giudice ordinario ed i provvedimenti amministrativi discriminatori debbano ritenersi emessi in carenza di poteri. Nella specie, un Comune, dopo aver concesso un contributo per ogni nuovo nato alle famiglie non abbienti (cd. bonus bebé), escludendo gli stranieri, ed aver subito in relazione a tanto, un’azione antidiscriminazione promossa da alcuni cittadini extracomunitari, disponeva, all’esito del provvedimento giurisdizionale che accertava la violazione del principio di parità ed estendeva il contributo ai genitori stranieri, la revoca del beneficio sia alle famiglie italiane che straniere. Anche questo provvedimento veniva denunciato come discriminatorio e, nel corso del giudizio civile, veniva contestata la giurisdizione del giudice ordinario, affermata, invece, dalla Suprema Corte sia con riferimento alla fase cautelare che a quella a cognizione piena dell’azione antidiscriminazione disciplinata dall’art. 4 del d.lgs n. 215 del 2003 e 44 d.lgs n. 286 del 1998”.

martedì 1 marzo 2011

Occupati e disoccupati: l’Istat fornisce le stime provvisorie a gennaio 2011 che confermano la crisi occupazionale in cui versa il Paese


L’emergenza occupazionale in cui ormai versa il Belpaese è confermata dalle stime dell’ISTAT sullo stato dell’occupazione a gennaio che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta nude e crude all’attenzione della cittadinanza affinché l’opinione pubblica comprenda che non è più tempo di aspettare poiché anche se il governo latita ed è impegnato in ben altro, urgono interventi urgenti in campo economico che abbiano concreti effetti sulla ripresa del mercato del lavoro specie quello giovanile che appare il più colpito dalla crisi.
Secondo le indagini dell’istituito nazionale di statistica gli occupati sono 22.831.000, in diminuzione dello 0,4% (83.000 unità) rispetto a dicembre 2010. Nel confronto con l’anno precedente l’occupazione è in calo dello 0,5% (-110.000 unità). La diminuzione registrata nel mese è dovuta sia alla componente maschile sia a quella femminile.
Il tasso di occupazione è pari al 56,7%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto a dicembre e di 0,4 punti rispetto a gennaio 2010.
Cresce purtroppo il numero dei disoccupati, pari a 2.145.000, registrando un aumento dello 0,1% (+ 2.000 unità) rispetto a dicembre. Il risultato è sintesi della crescita della disoccupazione femminile e della flessione di quella maschile. Su base annua la crescita del numero di disoccupati è del 2,8% (+ 58.000 unità).
Per il terzo mese consecutivo il tasso di disoccupazione si attesta all’8,6% con una crescita di 0,2 punti percentuali su base annua. Prosegue la crescita del tasso di disoccupazione giovanile, che raggiunge il 29,4%.
Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,5% (80 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività è pari al 37,8%, dopo tre mesi in cui risultava stabile al 37,6%.